Renzo Vespignani. “Tra l’operare umano e l’opera terrifica della natura”

di Mario Gambatesa

Immaginiamo per un momento di essere catapultati  nella Roma degli anni venti del Novecento: di fronte a noi un contesto di calma apparente che di lì a poco sarebbe stato devastato da un secondo conflitto mondiale, questa volta più distruttivo ed esacerbante del primo; ma è anche il contesto che vede nascere i futuri testimoni e narratori di questi  fatti storici che lacereranno senza ripresa, il tessuto sociale italiano.

Nudo di donna – 1978 tecnica mista su carta applicata su tela, cm 100x70
Nudo di donna – 1978 tecnica mista su carta applicata su tela, cm 100×70

Tra questi personaggi, troviamo Renzo Vespignani (Roma 1924-2001): artista, ritrattista, paesaggista, scenografo ed eccellente disegnatore,  egli è stato uno dei maggiori rappresentanti del neorealismo italiano.  Attraverso il filtro insostituibile della pittura, ha testimoniato le brutalità commesse dall’uomo durante il secondo conflitto mondiale, la lenta ripresa dell’Italia liberata e le vicende dei vari uomini illustri. Nella sua complessa parabola pittorica, Vespignani racconta la sua epoca e contemporaneamente sé stesso, in una trama inestricabile di impegno e autobiografia che trasforma ogni dipinto nel “teatro di una crisi”.

Figura femminile con levriero, 1988, tecnica mista su carta
Figura femminile con levriero, 1988, tecnica mista su carta

Nasce nelle povere borgate romane (Portonaccio), tra scheletri di fabbriche e muraglie di edifici periferici, luoghi fondamentali perché  proprio da lì  prenderà forma la sua trama artistica: attraverso i primi disegni, molti dei quali  inerenti l’occupazione nazista, si nota già da subito il  tratto tecnico deciso e per certi versi Espressionista, fortemente ispirato da Grosz e da Dix; l’utilizzo del bianco e nero dell’inchiostro e dell’acquaforte,  come mezzo povero, cinico, duro come le cose da ricordare di quei tempi calamitosi; l’intesa profonda con le vicende della società a lui contemporanea. Il suo occhio resta aperto e vigile sull’umanità, la studia profondamente e la descrive, dando molta più attenzione agli aspetti morali che alle sembianze fisiche. Documenta il tutto con una pittura sempre più buia, che sembra adattarsi al progressivo decadimento della società, fino a sfiorare la spettralità e l’inorganicità dell’informale, andando oltre i canoni stessi della pittura, scavando non solo nell’animo dei suoi personaggi, ma anche nel loro interno studiandone l’ anatomia. Questo, il desiderio drammatico di Vespignani: di rendere viva la carne. Nel 1982 scrive: “Un quadro, una scultura, un disegno,  sono il risultato di uno scontro durissimo; vinto, se viene vinto, solo dopo cariche e agguati, assalti e ritirate. L’immagine che ne esce è sempre piena di lividi e ferite”.

Periferia - olio su tela 1960 cm 70x103
Periferia – olio su tela 1960 cm 70×103

Ecco che appare nella sua biografia artistica l’appagarsi di questo desiderio: la gioventù di regime nel ciclo pittorico “Tra due guerre” ,  lo studio per le Fosse Ardeatine, l’ erotismo e le dive del Potere, la bellezza e l’ eleganza, i personaggi di “Manhattan Transfert”,  in cui la folla diventa paesaggio, la visione disperata di una città come New York, solo in apparenza allegra,  ma solcata dal male di vivere, come si può notare anche nei lavori dedicati a Pier Paolo Pasolini tra cui uno scritto dello stesso Vespignani intitolato “Come mosche nel miele”, presentato a Villa Medici a Roma nel 1984.

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I suoi lavori sono marcati  dalla sua forte sensibilità letteraria: “La questione di Alleg”, “I racconti di Kafka”, il “Decamerone”, le opere complete di Majakowski, i “Quattro quartetti” di Eliot, i “Sonetti” di Gioacchino Belli, “Il testamento” di Francois Villon, le poesie di Carlo Porta, la “Cantica dell’ Ecclesiaste” , poesie e prose di G. Leopardi sono i testi che hanno fornito gli spunti per la realizzazione dei suoi lavori più notevoli.

Renzo Vespignani (11)

La sua carriera artistica è stata una denuncia tanto più efferata e sadica, quanto più angosciata. Vespignani ha sondato per gradi l’abisso della moderna falsità. Ha esplorato attraverso la luce dei fari le vie insanguinate degli “incidenti stradali”.  E’ penetrato negli interni cittadini, ha forzato il loro segreto, ha vissuto l’uomo, la figura, il rimpianto per  l’antica statuaria bellezza del corpo umano, l’eco della forza possente e drammatica del chiaroscuro rembrandtiano, ma più che altro il recupero della tradizione che per lui era il cercare in avanti, nel futuro dell’uomo, le sue origini, “tra l’operare della mano e l’opera terrifica della natura”. Inconsapevolmente veniva considerato come il profeta del degrado, con un moralismo esasperato, così crudo e amaro da non sfuggire ad una punta di sadica ferocia. Ma al di sotto traspare una luce, una tenerezza ferita: ed è per questa pietà sconvolta, cui ha assoggettato la maestria e l‘abilità della sua arte, che Renzo Vespignani resta e si impone uno dei testimoni più intensi della pittura italiana del Novecento.

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