Reliquie, coccodrilli e uova di struzzo: le raccolte medievali

Di Laura Corchia

Il collezionismo, fiorente durante l’antichità greco-romana, decadde nel Medioevo. La Chiesa tendeva, infatti, a reprimere e a condannare ogni forma di ostentazione di lusso e di ricchezza e alle raccolte di tesori conservate nelle chiese e nelle abbazie medievali non veniva attribuito valore storico o estetico ma puramente strumentale, dal momento che avevano il solo fine di avvicinare i fedeli alla sfera spirituale.

Nelle chiese medievali si trovavano principalmente quattro tipologie di oggetti: naturalia, reliquie e reliquiari, ex-voto e spolia (frammenti antichi). In questo periodo si può parlare infatti di raccolta e non di collezionismo, dal momento che non esistono personalità che raccolgono oggetti per se. Tra i Naturalia si trovavano spesso appesi alle volte delle chiese dei coccodrilli e delle uova di struzzo. Nel primo caso, un esempio significativo si può rinvenire nell’Abbazia di Santa Maria delle Grazie a Mantova. Il coccodrillo può essere inteso come simbolo del male che viene catturato e ucciso ed usato dunque come monito ai fedeli in funzione apotropaica, oppure può rappresentare il Drago dell’Apocalisse. L’uovo di struzzo che si nota anche in alcuni dipinti di Piero della Francesca, è investito di un particolare significato: in un passo tratto da un manuale di liturgia Guillame Durand leggiamo  che lo struzzo, essendo un uccello smemorato, lascia le sue uova nella sabbia. In seguito, vedendo una certa stella si ricorda di esse e vi ritorna e le alleva con lo sguardo. Allo stesso modo l’uomo si pente dei suoi peccati e torna da Dio che lo riscalda col suo sguardo. Oltre a coccodrilli e a uova troviamo anche dei pesci mostruosi. La natura entra dunque nelle Chiese perchè è mostruosa, meravigliosa ed eccezionale.

Piero della Francesca, Pala di Brera (1475 circa): particolare con uovo di struzzo appeso nella volta della chiesa
Piero della Francesca, Pala di Brera (1475 circa): particolare con uovo di struzzo appeso nella volta della chiesa

Per quanto concerne le immagini, Gregorio Magno attribuiva loro la stessa funzione che ha la scrittura per chi sa leggere; nella pittura gli ignoranti vedono gli esempi da seguire.  Sicardo Mitralis sosteneva invece che esse non ornano solo le chiese ma servono anche a rammemorare le cose passate e a fornire indicazioni su quelle presenti e le future. Duillame Durand dice che i capitelli sono le parole delle sacre scritture.

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Nel medioevo l’oro e le pietre si consideravano impregnate di luminosità divina. Alla vista dello splendore materiale l’animo si elevava ai piaceri dello spirito, trasportato da un mondo inferiore ad uno superiore, in una regione dell’universo che non è chiusa nel fango della terra nè completamente immersa nel cielo, come scriveva Suger nel suo Libellus de consecratione Ecclesiae Sancti Dionysii nel 1127 ca. Egli può essere considerato un collezionista ante litteram, anche se non collezionava per se ma per l’abbazia. Abate di Saint Denis, dotò la chiesa di vasellame d’oro e pietre preziose, la adornò di perle e gemme, candelabri e sculture, vetrate, mosaici, smalti. Tuttò ciò in aperto contrasto con quanto predicava San Bernardo di Chiaravalle. Per rispondere a tali critiche, Suger si serve degli scritti dello pseudo Dionigi il quale sosteneva che Dio è indefinibile e di manifesta come una specie di cascata di luce. Attraverso quindi il fulgore delle gemme e dell’oro, Dio si manifesta al fedele. Tra gli oggetti che Suger riconfigura in chiave cristiana vi è un’anforetta in porfido con le zampe, le ali e la testa di un’aquila. Intorno alla base corre un’iscrizione in latino: Marmor erat, sed in is marmore clarior est (era marmo, ma in queste gemme è diventato più prezioso del marmo). Questa anforetta ricompare poi in un’incisione del tesoro di Saint Denis assieme ad altri oggetti preziosi e al reliquiario che, attraverso il suo fulgore, trasporta Suger in una dimensione mistica, che non è più quella terrena.

La chiesa custodiva anche reliquie contenute nei reliquiari. Si tratta di frammenti organici fatti oggetto di culto soprattutto nel Medioevo.  I santuari che custodivano questi resti erano spesso oggetto di pellegrinaggi. Le reliquie primarie sono quelle appartenute alla Vergine e al Cristo: il latte della Vergine o il prepuzio di Cristo. Altre reliquie primarie sono la Terra della Palestina e i chiodi della croce. Le reliquie, per essere considerate autentiche, devono possedere due caratteristiche:

  • POTENTIA (devono cioè essere miracolose, devono risanare)
  • PRESENTIA (energia carismatica)
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Il culto delle reliquie viene giustificato da una serie di scritti. Nell’Epistola ai corinti, San Paolo afferma che esiste un corpo corruttibile che risorge incorruttibile. Nel Secondo Libro dei Re si parla di Elia ed Eliseo: Il mantello di Elia consente alle acque del Giordano di dividersi e di far passare i due all’asciutto, mentre il corpo di un defunto, gettato nel sepolcro di Eliseo, risuscita a contatto con il corpo del santo. In un passo del Vangelo di Luca, una donna viene guarita da delle perdite ematiche toccando la frangia del mantello di Gesù e anche nel vangelo di Matteo è menzionato un altro episodio simile. Anche negli Atti degli Apostoli si parla di miracoli, come ad esempio San Pietro che risana gli infermi con la sua ombra.

Dopo la controriforma, le reliquie più importanti dei diversi tesori  verranno raffigurate in alcune tavole a stampa, ad esempio la tavola del tesoro di Aquisgrana e la tavola della Sainte Chapelle di Luigi IX. In questa cattedrale erano custodite delle importantissime reliquie: le spine della corona di Cristo, e un pezzo della Vera Croce. In un codice vediamo infatti il santo Sovrano mentre mostra dei preziosi reliquiari giunti dalla Terrasanta al popolo. Le reliquie venivano infatti mostrate in particolari circostanze. In un’incisione della fine del ‘400 proveniente da un Libro dei Pellegrini, vediamo il momento dell’ostensione delle reliquie. Su di un palco diversi personaggi espongono i preziosi resti, mentre in basso una donna cerca di catturarne l’influsso positivo emanato per mezzo di uno specchietto.

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I reliquiari hanno una loro storia morfologica, cambieranno forma nel corso del tempo ma manterranno costante la preziosità. Fino al XIII secolo il reliquiario è concepito come una sorta di cassaforte, di cassetta metallica spesso impreziosita da smalti e pietre, mentre dal XIII secolo in poi la reliquia comincia a mostrarsi soprattutto attraverso il cristallo di rocca. Un esempio di reliquiario in cristallo di rocca è la stauroteca del tesoro di Pienza, con un ramo di corallo che allude alla passione di Cristo. A partire dal 1215, anno in cui si proclama il dogma dalla transustanziazione (presenza di Cristo nell’Ostia), le reliquie vengono conservate in reliquiari a forma di ostensorio. Agli inizi del rinascimento, la reliquia diviene marginale nella compagine del reliquiario. In un reliquiario appartenuto a Carlo IV di Boemia, la reliquia era infatti contenuta in una piccola mitra sorretta da un Angelo chinato di fronte a Cristo. A partire dalla Controriforma, si hanno poi dei reliquiari che presentano degli aspetti macabri i quali ricordano all’uomo quale sia la sua triste sorte. Si parla invece di reliquiari parlanti quando presentano la forma delle reliquie che contengono, ad esempio a forma di piede. Alcuni reliquiari, destinati a contenere la Terra della Palestina, si presentavano sotto forma di borse in cuoio da appendere al collo.

Un importantissimo reliquiario, appartenuto a Piero dè Medici, è il Reliquiario del libretto. Esso conteneva delle reliquie della passione di Cristo, probabilmente provenienti dalla Sainte Chapelle. E’ inserito in un tabernacolo realizzato da Sogliani dopo la cacciata dei Medici da Firenze.

 

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