Michelangelo scultore e il “non finito”

Di Laura Corchia

Non ha l’ottimo artista alcun concetto
c’un marmo solo in sé non circonscriva
col suo superchio, e solo a quello arriva
la man che ubbidisce all’intelletto.

Michelangelo Buonarroti – Rime (151)

Più volte è stato notato che non solo molte delle grandi imprese concepite da  rimasero incompiute o trovarono realizzazione in forme molto lontane dal progetto originario, ma anche che numerose sue opere furono volutamente lasciate allo stato di abbozzo e che alcune parti presentano un livello di finitura diverso dalle altre.

Michelangelo-I-Prigioni-di-Michelangelo

Alcune sculture furono lasciate incompiute a causa del sopraggiungere di insormontabili impedimenti altre perché non soddisfacevano lo stesso Buonarroti. Diverse spiegazioni sono state avanzate nel corso dei secoli e già Vasari mise in evidenza la profonda scontentezza che Michelangelo nutriva nei confronti di ogni sua opera. In tempi recenti, si è ipotizzato che egli non completasse alcune delle sculture che gli venivano commissionate a causa dell’insanabile contrasto tra “spiritualità cristiana” da un lato e “ideale antico” e “forme pagane” dall’altro.

Nel Tondo Taddei e nel Tondo Pitti si notano chiaramente alcune parti condotte ad un buon grado di finitura ed altre appena abbozzate. L’effetto di lento affiorare di alcune figure non può che essere intenzionale e risponde alla volontà di tradurre nel rilievo la suggestione dell’indeterminatezza spaziale, dell’avvolgimento atmosferico e dell’indefinito psicologico. Del resto, analoghe ricerche erano state condotte da Leonardo nel campo della pittura.

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Quasi tre decenni più tardi, lo scultore lasciò incompiute per la stessa ragione le sculture che rappresentano Il giornoIl crepuscolo nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo.

A cause di forza maggiore è invece sicuramente dovuto l’abbandono allo stato di abbozzo della statua di San Matteo, l’unica iniziata delle dodici figure di Apostoli per la cattedrale fiorentina. Proprio perché incompiuta, la scultura offre la possibilità di osservare i procedimenti esecutivi dell’artista, che concepiva la scultura come arte che si esercita “per forza di levare” e non per “via di porre”, come nel caso dell’argilla. Egli aggrediva il blocco di pietra da una delle facce e faceva gradualmente emergere le forme come dall’acqua di una conca che lentamente si svuoti. Dalle cronache biografiche riportate dal Condivi e da Vasari sul Maestro, emerge che Michelangelo lavorava ininterrottamente per giorni e giorni quando lo spirito creativo si impossessava di lui. Poteva non dormire per giorni, o calzare gli stessi panni e stivali per molto tempo. Non era solito creare grandi calchi preparatori, solo qualche bozzetto, prima di affrontare la nuda pietra con scalpello o subbia.

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Nel 1853, il pittore francese Eugène Delacroix annotava sul suo Diario: “una parte dell’effetto prodotto dalle statue di Michelangelo è dovuto a certe sproporzioni oppure alle parti incompiute, che accrescono l’importanza di quelle finite. Mi son detto spesso che, nonostante l’opinione che egli poteva avere di sé, Michelangelo è più pittore che scultore. Nella sua scultura egli non procede come gli antichi, cioè per masse; sembra sempre che abbia tracciato un profilo ideale, che ha in seguito riempito, come fa un pittore. Si direbbe che la sua figura o il suo gruppo gli si presenti solamente sotto una faccia: come a un pittore”.

Del San Matteo emerge poderosamente il ginocchio sinistro, quindi sporgono la testa e il braccio, mentre il torso e la gamba destra affiorano appena dal masso. Le figure dei Prigioni appaiono, più che incatenate a pilastri, come schiacciate dal peso immane della materia, dalla quale tentano vanamente di liberarsi. C’è un senso di tensione, di movimento impresso dall’accentuata torsione: questa lotta esprime in Michelangelo una sorta di analogia simbolica fra la figura che tenta di fuoriuscire dal marmo e lo spirito che cerca di liberarsi dalla carne per anelare a Dio. Le quattro figure poggiano il peso su una gamba, contorcendosi in varie pose del busto e delle spalle. Ogni blocco mostra una solida muscolatura delle braccia e delle gambe abbozzati in modo dinamico e potente, traccia concreta della profonda passione che Michelangelo nutriva per l’anatomia umana. La conoscenza minuziosa dei dettagli era infatti stata affinata grazie alla possibilità di dissezionare cadaveri presso i frati agostiniani di Firenze negli anni ’90 del Quattrocento.

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Per Michelangelo il “levare il soverchio” dal blocco è un atto che tende a liberare la figura, preesistente e come imprigionata nella pietra. In queste opere è insita una antica metafora, secondo la quale il corpo tiene imprigionata l’anima immortale dell’uomo.

Nel suo stesso processo creativo, pertanto, l’artista coglie in atto il drammatico contrasto tra la materia che lo rinserra e la parte spirituale dell’uomo, che anela alla liberazione: un contrasto che i Prigioni, ancora avvinti e immersi nella pietra, esprimono in forma intensa e diretta.

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