Meraviglia e metodo: dalle Wunderkammern alle raccolte scientifiche

Di Laura Corchia

All’inizio del Cinquecento si assiste ad un rinnovato e più profondo interesse per il mondo naturale  che si esprime nella creazione di nuovi strumenti conoscitivi e di mezzi di indagine che portarono alla revisione di testi classici. Il desiderio di classificare, catalogare e comprendere tutti gli aspetti della natura porta alla creazione di erbari, orti botanici e illustrazioni scientifiche.

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In tale ottica, grande importanza assume la figura di Ulisse Aldrovrandi, medico e naturalista, cui si deve il più sistematico esperimento di raffigurazione e illustrazione delle forme vegetali e animali. Accanto a questa sorta di archivio della natura, egli aveva riunito una collezione botanica e zoologica di cui ci parla nel suo Trattato. Nelle intenzioni del proprietario, la raccolta doveva offrire un supporto didattico per la formazione professionale di medici e speziali, da qui la decisione di renderla fruibile al pubblico attraverso una clausola testamentaria.

Centri propulsori di questo interesse per la natura erano le farmacie, gli orti botanici, gli erbari, le spedizioni geografiche e naturalmente le collezioni. In queste raccolte enciclopediche, i reperti naturali convivevano in stretto legame con le meraviglie create dall’uomo, nel tentativo di riunire la totalità dell’esistente. Esse riguardavano soprattutto il collezionismo di corte, che si caratterizzava per la mancanza di specializzazione e quindi da uno strenuo eclettismo.

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La tendenza a bilanciare naturalia e artificialia si ritrova anche nei suggerimenti di un gentiluomo torinese a Cristina di Francia per l’allestimento di una stanza delle curiosità sul modello di quella dell’Aldrovrandi.

Accanto alle raccolte di corte, agli studioli e alle gallerie, iniziano a comparire raccolte più specifiche e settoriali rivolte soprattutto alla zoologia, alla botanica e alla mineralogia. In questi musei privati non solo si raccoglievano oggetti rari e meravigliosi, ma si cominciavano a svolgere le prime embrionali ricerche e sperimentazioni. Nel museo di Teodoro Ghisi, ad esempio, accanto a materiali di diversa natura, si custodivano reperti paleontologici e fossili.

Il museo eclettico dello speziale Filippo Costa, noto da una descrizione di Giovan Battista Cavallara, era orientato verso il settore naturalistico-farmacologico.

La raccolta di Francesco Calzolari, nata all’origine dal desiderio di raccogliere piante officinali e campioni di minerali al fine di verificare le antiche ricette greche, si trasforma in un museo naturalistico.

Anche il museo dello speziale Imperato, autore di una Historia Naturale (1599) dedicata a illustrare alcuni rari pezzi naturali, era composto da un ricco erbario e da una raccolta che divenne una delle meraviglie di Napoli.

La raccolta di Ferrante Imperato
La raccolta di Ferrante Imperato

La disposizione di queste due raccolte si evince dai cataloghi delle stesse e obbediva a canoni estetici mutuati dagli studioli e dalle gallerie, con gli oggetti più pesanti e straordinari all’aspetto appesi in alto.

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Nel Seicento si inizia a raccogliere anche oggetti comuni e reperti attinenti al quotidiano, per influsso di Bacon, di Cartesio e di Galileo che propongono lo studio di fenomeni comuni. In Italia si assiste ad una sempre più progressiva specializzazione delle raccolte, mentre in Europa permangono le collezioni fondate sull’eterogeneità e sull’eclettismo.

Accanto a raccolte ancora attestate all’accumulo di oggetti stravaganti dai misteriosi poteri,  come la bottega-laboratorio del negromante descritta da Michelangelo il Giovane, si affiancano progetti focalizzati sullo studio della natura.

A Roma, gallerie e quadrerie nobiliari convivono con raccolte scientifiche e naturalistiche descritte dal Bellori:  il museo delle curiosità del cardinale Flavio Chigi, le raccolte dei borghesi e dei dilettanti ( Corvini, Divini, Degli Effetti, Magnini), e quelle dei naturalisti e dei medici. I materiali erano organizzati secondo un criterio che mirava a suscitare meraviglia , come nel museo veronese di Ludovico Moscardo che raccoglieva i reperti più strani dell’arte e della natura.

Il marchese Ferdinando Cospi riunisce a Bologna una collezione che abbracciava tutti gli aspetti della realtà: una quadreria di scuola locale e soprattutto strumenti e reperti etnografici. Dalle incisioni del catalogo si nota che  gli oggetti erano disposti in scaffalature in un connubio decorativo e funzionale.

La collezione del milanese Manfredi Settala, iniziata nel 1630, era scompartita in sei settori: quadri medaglie e reperti archeologici; libri, stampe e disegni; strumenti di precisione e congegni meccanici; prodotti artigianali, strumenti musicali, armi e balestre; reperti etnografici; fossili, minerali, animali e vegetali. La raccolta, nelle intenzioni del proprietario doveva costituire un teatro delle meraviglie ma anche una sorta di enciclopedia oggettiva necessaria alle ricerche scientifiche.

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Nel Settecento si evidenzia la dicotomia tra arte e scienza e, di conseguenza, le raccolte divengono sempre più settoriali.

La collezione dell’olandese Eberard Rumph, costituita da reperti provenienti dalle isole Molucche e Maldive e illustrata in un catalogo redatto dallo stesso possessore, fu poi acquistata in blocco da Cosimo III de Medici il quale, inoltre, creò il primo museo scientifico pubblico, “La Specola”, compostao da conchiglie, crostacei, dentriti, pietre paesine, fossili e reperti preistorici.

La raccolta di Giuseppe Giananni di Ravenna era invece tesa alla raccolta di reperti comuni classificati in parti, classi, generi e articoli.

Famoso museo fu anche quello di Ignazio Paternò, inaugurato a Catania nel 1758 e diviso in due sezioni (storico- antiquaria e scientifico- naturalistica) con annessa biblioteca.

Va ricordato infine il museo di storia naturale di Giovanni Battista Gazola a Verona, diviso in cinque stanze cui erano annessi una biblioteca e un gabinetto di macchine.

 

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