Maurice Utrillo: il pittore ubriaco e pazzo di Montmartre

di Laura Corchia

Venne al mondo il 26 dicembre 1883. Sua madre Suzanne Valadon, ragazza nota per la sua bellezza e per i suoi facili costumi, posava per diversi artisti e dipingeva anch’ella.

Non rivelò mai chi fosse il padre e attorno a questa vicenda è ben noto un aneddoto. Suzanne, una volta nato il bambino, iniziò a vagare di studio in studio, alla ricerca del presunto padre. Interpellato, Renoir rispose: “Non può essere mio, ha un colore orribile!”. Anche Degas non riconobbe il piccolo dicendo: “Non può essere mio, ha una forma terribile!”. Così nel 1881 il piccolo venne riconosciuto da un pittore catalano, Miquel Utrillo i Morlius, che disse: “Sarei molto felice di dare il mio nome ad uno dei lavori di Renoir o Degas!”.

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Malaticcio e sofferente, Maurice Utrillo visse con la nonna materna che, per fronteggiare le frequenti crisi epilettiche, gli faceva tracannare grossi bicchieri di vino rosso. Questa precoce inclinazione all’alcolismo gli valse il soprannome di Litrillo, affibbiatogli dai bambini del quartiere.

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Trascorse gli anni dell’adolescenza negli ospedali per curare le malattie neurologiche e la sua dipendenza dall’alcool. Quando era fuori, nei bistrot frequentati dalla madre, alle prime avvisaglie di una possibile crisi, veniva legato per ore per evitare che distruggesse l’intero locale.

Dal canto suo, la madre era troppo presa a soddisfare i suoi clienti per prendersi cura del giovane.

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Su consiglio dei medici, Suzanne lo incoraggiò a dipingere, impartendogli i primi rudimenti del disegno e della pittura e notando che quello sfortunato giovane nascondeva un precoce talento. La cura diede i suoi frutti: Maurice passava intere giornate sulle sue tele, intento a raffigurare le strade di Montmartre. Le sue opere si caratterizzano per le tonalità chiare e gessose, per le vie quasi sempre deserte e per la vena malinconica.

L’amore e il successo arrivarono molto tardi. All’età di cinquantadue anni sposò Lucie Valore, una vedova più grande di lui che in breve tempo si impossessò di tutti i suoi averi. Vecchio, pazzo e malato, dipingeva paesaggi visti dalla finestra, da cartoline o a memoria perché non era più in grado di lavorare en plen air.

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La sua pittura parla di solitudine, di abbandono e di vuoto. Anche in una città piena di vita come Parigi, i suoi quadri restano deserti, aridi come un cuore che, suo malgrado, non ha mai conosciuto affetto e amore. Morì nel 1955, solo, come quando era venuto al mondo.

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