Masaccio: lo spazio nella pittura e la nuova dignità dell’uomo

di Laura Corchia

Pinsi, e la mia pittura al ver fu pari.

L’atteggiai, l’avvivai, le diedi il moto, 

Le diedi affetto. Insegni in Bonarroto

A tutti gli altri; e da me solo impari. 

(A. Loto)

Nato a San Giovanni Valdarno nel 1401, Tommaso di Giovanni Cassai fu soprannominato Masaccio. Vasari ci spiega il motivo, attribuendo tale nomignolo alla poca cura nei confronti della sua persona e di ciò che lo circondava: “Fu persona astrattissima e molto a caso, come quello che, avendo fisso tutto l’animo e la volontà alle cose dell’arte sola, si curava poco di sé e manco d’altrui. E perché e’ non volle pensar già mai in maniera alcuna alle cure o cose del mondo, e non che altro al vestire stesso, non costumando riscuotere i danari da’ suoi debitori, se non quando era in bisogno estremo, per Tommaso che era il suo nome, fu da tutti detto Masaccio. Non già perché è fusse vizioso, essendo egli la bontà naturale, ma per la tanta straccurataggine”.

Trasferitosi a Firenze dopo la morte del padre, si iscrisse nel 1422 all’Arte dei Medici e degli Speziali, la corporazione che accoglieva al suo interno anche coloro che esercitavano il mestiere di pittore.

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Assieme a Brunelleschi e a Donatello, i quali diedero una svolta in campo architettonico e scultoreo, Masaccio può essere considerato il fondatore dell’arte rinascimentale in pittura. Vasari, nelle Vite, usa parole molto lusinghiere nei sui confronti: “…mediante un continuo studio imparò tanto, che si può anoverare fra i primi che per la maggior parte levassimo le durezze, imperfezzioni e difficultà dell’arte, e che egli desse principio alle belle attitudini, movenze, fierezze e vivacità, et a un certo rilievo veramente proprio e naturale. Il che insino a lui non aveva mai fatto niun pittore. E perché fu di ottimo giudizio, considerò che tutte le figure, che non posavano né scortavano coi piedi in sul piano, ma stavano in punta di piedi, mancavano d’ogni bontà e maniera nelle cose essenziali. E coloro che le fanno mostrano di non intender lo scorto. […] E dipinse le cose sue con buona unione e morbidezza, accompagnando con le incarnazioni delle teste e dei nudi i colori de’ panni, i quali si dilettò di fare con poche pieghe e facili, come fa il vivo e naturale”. 

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Secondo la tradizione, Masaccio sarebbe stato allievo del più anziano Masolino da Panicale. La critica più recente ha tuttavia smentito questo apprendistato, collocandolo piuttosto come un suo collaboratore. La prima opera eseguita a due mani fu la Sant’Anna Metterza, dipinta tra il 1424 e il 1425. A Masolino spetterebbe la Sant’Anna, Masaccio invece avrebbe dipinto la Madonna con il Bambino. In effetti, le tre figure, poste in sequenza piramidale, rivelano evidenti differenze esecutive. La Sant’Anna si presenza priva di volume e il solo accenno alla terza dimensione sarebbe dato dalla mano che, tuttavia, appare come rattrappita. Le solide mani della Vergine trattengono l’erculeo fanciullo, memore della scultura di Donatello e di Nanni di Banco.

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In quegli stessi anni, Masolino e Masaccio collaborarono alle decorazione della Capella Brancacci, nella chiesa del Carmine a Firenze. Il tema è quello della vita di San Pietro, al quale si aggiungono anche scene tratte dalla Genesi. I due maestri concordarono preventivamente la distribuzione delle scene, in modo che i loro diversi modi di dipingere potessero amalgamarsi con un certo equilibrio.

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Nell’affresco del Tributo, Masaccio concentrò nello stesso spazio tre momenti temporalmente diversi. Al centro, il gabelliere chiede il tributo a Gesù. Gli apostoli, sconcertati, assumono espressioni e atteggiamenti differenti. I loro sguardi si incrociano, dialogano, cercano soluzioni. Sulla riva, a sinistra, è raffigurato Pietro da solo, intento a pescare  le monete dalla bocca di un pesce. A destra, egli consegna il denaro all’esattore. Il paesaggio appare brullo e desolato, mentre le montagne sono rese con colori diversi per accentuare il senso dello sfondamento prospettico.

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Se in questa scena i sentimenti sono misurati, ne La cacciata dal Paradiso Terrestre essi ne diventano i protagonisti. La bocca di Eva è spalancata, lo sguardo rivolto al cielo. Adamo piange e si copre con le mani il volto. Il suo volto, sfigurato dalla disperazione, rappresenta uno dei vertici più alti e drammatici della pittura di Masaccio.

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L’ultima opera realizzata dall’artista prima della prematura scomparsa è la Trinità, dipinta nella navata sinistra della chiesa fiorentina di Santa Maria Novella.

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Masaccio morì dunque a Roma nell’estate del 1428 a soli 26 anni, secondo Vasari per avvelenamento. Tutta Firenze lo pianse e Brunelleschi, alla notizia della sua dipartita, esclamò:  “Noi abbiamo fatto in Masaccio una grandissima perdita”. 

Resta da chiedersi, cosa altro ci avrebbe riservato questo giovanissimo artista se la vita fosse stata meno ingrata e crudele con lui.

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