di Laura Corchia
In via Dante Alighieri a Firenze, accanto alla falsa casa del poeta, sorgeva un tempo e sorge tuttora una trattoria. Nel tondo che sormonta il portale è ritratto Mariotto Albertinelli, un bizzarro artista nato nel 1474.
“Persona inquietissima”, come lo descrive il Vasari, ebbe una vita ricca di avventure e degna di un romanzo. Era un tipo tutto arte, godimento e risse. C’era da scegliere tra il Savonarola e i suoi avversari? Lui ovviamente si schierava a favore di questi ultimi. Compariva una donna all’orizzonte? Doveva conquistarla, anche al costo di provocare il malumore degli altri pretendenti.

Fu amico nemico di Fra-Bartolomeo, conosciuto nella bottega di Cosimo Rosselli. Entrambi avevano un carattere forte e sopra le righe, tanto che a tratti le loro strade si divisero. Narra il Vasari: “erano un’anima et un corpo, e fu tra loro tal fratellanza, che quando Baccio partì da Cosimo per far l’arte da sé come maestro, anche Mariotto se n’andò seco, dove alla Porta San Piero Gattolini l’uno e l’altro molto tempo dimorarono, lavorando molte cose insieme; e perché Mariotto non era tanto fondato nel disegno quanto era Baccio, si diede allo studio di quelle anticaglie che erano allora in Fiorenza, la maggior parte e le migliori delle quali erano in casa Medici; e disegnò assai volte alcuni quadretti di mezzo rilievo, che erano sotto la loggia nel giardino di verso San Lorenzo…”
Si racconta che Mariotto morì per una scorpacciata di ciliegie nel Convento della Maddalena alle Caldine.
Entrambi lavorarono gomito a gomito per alcune commissioni. Una passata alle cronache fu lo spaventoso Giudizio Universale nel cimitero accanto a Santa Maria Nuova. Il dipinto faceva da sfondo a uno scenario da incubo. Le mura erano decorate da ossa e nelle nicchie, invece di statue, facevano capolino degli scheletri.
Ad un certo punto della sua carriera, l’Albertinelli decise di appendere al chiodo pennelli e colori per cimentarsi con mestoli, pentole e boccali perché la pittura “imitava la carne e il sangue” mentre la cucina “faceva la carne e il sangue”.
Aprì un’osteria ma la sua parentesi culinaria durò appena un anno. Poi tornò a dipingere.
Chiamato a dipingere a Viterbo, volle visitare Roma. Ma quel viaggio gli fu fatale. Le cronache malignano che gli furono fatali gli strapazzi d’amore. Gravemente malato, fu trasferito a Firenze dentro ad una cesta sul dorso di un mulo. Spirò all’età di quarantuno anni e fu sepolto in San Pier Maggiore.
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