L’Oriente romantico di Eugène Delacroix

di Laura Corchia

“Ciò che esiste in me di più reale, sono le illusioni che creo con la pittura. Il resto sono sabbie mobili”.

(Eugène Delacroix)

Oasi nel deserto, moschee, mercati, antiche rovine, beduini e harem: sono questi i soggetti sviluppati da quei pittori che alla fine del XVIII secolo ebbero modo di visitare l’Oriente.

Tra di essi, uno in particolare se ne innamorò, al punto da trasporre in tutte le opere successive tutto il fascino di queste terre lontane e misteriose: Eugène Delacroix. 

Allievo di Géricault, Delacroix si forma osservando e studiando anche le opere dei maestri del passato, tra cui Michelangelo, Veronese e Tiziano. A partire dagli anni Venti, il suo interesse si sposta sulla pittura orientalista. Una serie di opere mostra scene di interni abitate da arabi, come il Turco che fuma su un divano (1825). 

La vera svolta nella resa di questi soggetti si ha, però, solo nel 1832, anno in cui Delacroix parte per il Marocco e l’Algeria assieme ad una delegazione inviata da re francese Luigi Filippo. Prima di imbarcarsi per il Marocco, il gruppo sosta in Spagna del sud che, con le sue architetture moresche, è considerata l’anticamera dell’Africa. Con gli occhi colmi di colore e di poesia, Delacroix non smette di annotare tutto sul suo diario, che in breve tempo si riempie di schizzi e di acquerelli. Queste annotazioni si riveleranno fondamentali quando, al suo rientro in Francia, eseguirà i suoi quadri destinati al Salon.

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In viaggio da Tangeri a Meknes, Eugene Delacroix, dai tacquini del Marocco.

Osservando il dipinto dal titolo Fantasie Arabe non si può non trovare un confronto diretto con ciò che il pittore annota in 2 marzo, quando si trova nei pressi di Tangeri: “La corsa di cinque o sei cavalieri. Il giovane a capo scoperto, caffettano verde orina. […] Gli uomini illuminati sul fianco. L’ombra degli oggetti bianchi con molti riflessi azzurri. Il rosso delle selle e del turbante quasi nero”. I beduini, da egli definiti “pittoricamente meravigliosi”, sono resi con un meraviglioso gioco di luci e di contrasti, completamente investiti dalla luce equatoriale.

Eugène Delacroix, Fantasia arabe, 1833
Eugène Delacroix, Fantasia arabe, 1833

Delacroix non cerca il dettaglio esotico, l’insolito, ma vuole raffigurare la dignità di questi popoli, il loro modo di vivere, la loro cultura e per farlo cerca di unire la monumentalità alla semplicità.

In questi luoghi carichi di fascino e di mistero, Delacroix riscopre l’antichità. Scrive all’amico Pierre “Immagina, caro amico, di vedere per le strade, sdraiati al sole, o mentre si aggiustano le ciabatte rotte, personaggi che assomigliano a consoli, come Catone o Bruto, con quell’atteggiamento di sdegno che doveva essere tipico dei signori del mondo; queste persone non possiedono altro che quel mantello dentro il quale camminano, dormono e vengono sepolti. Eppure hanno l’aria soddisfatta, la stessa che doveva avere Cicerone per la sua sedia curule. Non crederete mai a quello che vi riporterò da questo viaggio, perché sarà comunque molto lontano dall’autenticità e dalla nobiltà di questi personaggi. Non c’è nulla di più bello nell’Antichità . . . Tutto questo è in bianco, come i senatori romani o le feste Panatenee“.  E ancora: “Questo popolo è veramente antico: vita all’aperto e case chiuse accuratamente. Donne che vivono ritirate. (…..) I grandi del luogo vanno a mettersi in un angolo della strada, accoccolati al sole e parlano fra loro o vanno ad appollaiarsi in qualche bottega da mercante (…..). Le abitudini e le antiche usanze regolano tutto. (….). Noi ci accorgiamo di mille cose che loro mancano; la loro ignoranza dà loro la calma e la felicità. (…). In mille modi loro sono felici nella natura. (….). Noialtri, nei busti, nelle scarpe strette, nelle ridicole guaine, facciamo pietà“.

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Donne di Algeri nei loro appartamenti. 1834
Donne di Algeri nei loro appartamenti, 1834

Straordinario risultato del nuovo stile di Delacroix è il dipinto che raffigura Le donne d’Algeri nei loro appartamenti (1834). Eseguito a Parigi, il dipinto raffigura un harem, luogo che ha modo di visitare in tutta segretezza. Profondamente colpito dall’ambiente, annota sul suo diario: “E’ bello, come ai tempi di Omero”. L’intimità delle giovani concubine è ricreata facendo posare alcune amiche. La sensualità delle donne è resa attraverso gli sguardi languidi, le pose abbandonate sui tappeti, i piedi nudi, gli abiti, le acconciature e i gioielli. In questo dipinto si ritrova al fascino di una cultura che vive e si muove oltre le porte socchiuse degli edifici orientali, nell’intimità nascosta di luoghi proibiti all’occhio estraneo e straniero.

Mondi incantati, dunque, dove il tempo sembra essersi fermato. Mondi lontani e carichi di fascino, che Delacroix registra con gli occhi di un viaggiatore su un diario che si chiude con queste parole:

“la pittura mi fa tribolare e mi tormenta in mille modi come un’esigentissima innamorata […] all’alba mi affretto e corro a questo lavoro affascinante, come ai piedi dell’innamorata più cara”. 

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