Lo “Staffato” di Giovanni Fattori: indagini diagnostiche

di Laura Corchia

Un cavallo lanciato in una corsa forsennata  trascina il suo cavaliere che è rimasto incastrato con il piede nella staffa. Tutt’attorno un paesaggio arido, reso con poche tonalità. La strada desolata è tragicamente segnata dalla scia di sangue che la follia del destriero imbizzarrito lascia dietro di sé. La regina Margherita di Savoia disse del quadro: “è così straziante che nessuno potrà soffrirne la vista in un salotto”.

L’opera fu eseguita nel 1880 e appartiene al gruppo di opere nelle quali si accentua il carattere drammatico e polemico del Fattori. In aperta contraddizione alla società ipocrita e avida della sua epoca, Giovanni Fattori raffigura un uomo torturato dal suo cavallo, così come ogni creatura va incontro ad un destino crudele e senza speranze. Lo stesso paesaggio spoglio sottolinea l’indifferenza della natura nei confronti dell’umanità.

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Le pennellate fluide tracciano le figure senza conoscere momenti di sosta, dividendo la tela in due fasce distinte il terreno e il cielo bianco di una giornata senza sole, che si incontrano nella linea dell’orizzonte.

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La coda e la criniera del cavallo sono rese con due macchie di colore sfumate, per dare il senso del movimento.

Prima di realizzare il definitivo dipinto su tela, Fattori aveva realizzato un disegno preparatorio eseguito con tecnica a china su supporto cartaceo, firmato in basso a destra. Sul retro, lo stesso artista ha indicato i colori utilizzati.

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Il disegno e il dipinto sono stati oggetto di indagini diagnostiche non invasive svolte dallo Studio Peritale Diagnostico Rosati Verdi Demma e i risultati ottenuti hanno permesso di studiare più a fondo la tecnica esecutiva e di gettare nuova luce sullo stile di uno degli artisti più conosciuti a apprezzati dell’Ottocento.

Disegno a china, fronte.
Disegno a china, fronte.

Sul disegno, in particolare, è stata una riflettografia IR allo scopo di comprendere se la stesura dell’intero bozzetto fosse stata effettuata con un unico inchiostro o se ne fossero stati utilizzati più d’uno e se fossero presenti tratti realizzati con un’altra tecnica, ad esempio carboncino. L’indagine ha confermato l’utilizzo di un solo inchiostro, applicato però con due tratti differenti: più leggero nel paesaggio, più marcato in corrispondenza delle due figure.

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Disegno a china, retro.
Disegno a china, retro.

Più complessa è stata invece l’indagine svolta sul dipinto. Realizzato ad olio su tela, è stato sottoposto a fluorescenza UV, riflettografia IR e microscopia digitale. Questi esami sono utili ad effettuare una comparazione con la versione definitiva dell’opera, conservata nella Galleria Moderna a Palazzo Pitti. Lo studio dei pigmenti, inoltre, ha consentito di verificare che l’elenco scritto dall’autore sul retro del bozzetto a china coincida effettivamente con i pigmenti realmente utilizzati per il dipinto.

IR720nm

La riflettografia non ha messo in evidenza il disegno preparatorio, ma non si esclude la sua presenza. L’indagine ha escluso la presenza di ritocchi successivi e di restauri. Nella zona centrale è stata riscontrata una leggera caduta di colore, probabilmente causata dall’usura del tempo. Interessante è la presenza di un grande segno a matita che attraversa il retro della tela, che potrebbe essere la sigla del donatore del dipinto al collezionista Giovanni Matteucci. La fluorescenza UV ha poi confermato la presenza di una stesura di vernice di finitura, applicata dall’artista allo scopo di proteggere il film pittorico.

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Per maggiori informazioni si rimanda al sito dello Studio Peritale Diagnostico Rosati Verdi Demma: www.rosativerdidemma.com/

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