Le più belle lettere d’amore del Novecento? Quelle scritte da Italo Calvino all’amata Elsa

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«Io vo­glio scri­vere del no­stro amore, vo­glio amarti scri­vendo, pren­derti scri­vendo, non al­tro»; «Siamo dav­vero dro­gati: non posso vi­vere fuori dal cer­chio ma­gico del no­stro amore». Sono pa­role che Italo Cal­vino scrisse all’ at­trice Elsa de’ Giorgi in let­tere ap­pas­sio­nate, fe­lici, in­fe­lici, po­tenti, sen­suali, in­somma ca­ri­che di vita. E’ un Cal­vino in­so­lito, ben lon­tano dallo scrit­tore «freddo» e in­tel­let­tuale di cui spesso par­lano i cri­tici. La sua sto­ria d’amore con Elsa (di dieci anni più vec­chia), co­min­ciata nel ’ 55 e fi­nita nel ’ 58, cir­cola nel mondo della let­te­ra­tura ita­liana, ma se né sa po­chis­simo. Dell’ epi­sto­la­rio, con­ser­vato dal ’ 94 nel Fondo Ma­no­scritti di Pa­via, al­cune carte fu­rono rese note nel ’ 90 dalla stessa de’ Giorgi. La quale vo­leva di­mo­strare quanto quella re­la­zione in­cise sul per­corso in­tel­let­tuale e ar­ti­stico dello scrit­tore. E’ vero, quell’ amore cam­biò la sua vita e an­che il suo modo di con­ce­pire la let­te­ra­tura. Le let­tere d’ amore di Italo Cal­vino, pre­sen­tano un ver­sante quasi sco­no­sciuto dello scrit­tore (prima che dell’ uomo).

Ap­pas­sio­nato, ina­spet­tato, pri­vato. Ma an­che let­te­ra­rio, cul­tu­rale e po­li­tico. Dal sen­ti­mento tra­vol­gente per l’attrice-contessa al tra­va­glio in­timo per la crisi esi­sten­ziale di una ge­ne­ra­zione. Sullo sfondo del dramma un­ghe­rese del 1956, fra viaggi in treno e in­con­tri ru­bati, si snoda la sto­ria che se­gna la vita e l’opera del grande scrit­tore ita­liano. Pub­bli­chiamo qui al­cuni stralci dalle circa 400 let­tere scritte ne­gli anni cin­quanta da Italo Cal­vino alla con­tessa Elsa de’ Giorgi (Pe­saro, 1914 – Roma, 1997), con­si­de­rate da molti come «le più belle let­tere d’amore del novecento»

Italo Cal­vino

«Vo­glio pren­derti scrivendo»

Certo, il mio amore per te è nato come una pro­te­sta di in­di­vi­dua­li­sta (e quindi d’altera so­li­tu­dine) pro­te­sta con­tro tutto un clima mosso da un bi­so­gno pro­fon­dis­simo, ma con un si­gni­fi­cato ge­ne­rale, una le­zione per tutti, di non-rinuncia, di co­rag­gio alla fe­li­cità. Come que­sta le­zione si tra­durrà nell’opera crea­tiva è an­cora da vedersi. (…)

(…) Se mi man­casse il tuo amore tutta la mia vita mi si sgo­mi­to­le­rebbe addosso. (…)

(…) Tu sei un’eroina di Ib­sen, io mi cre­devo un uomo di Ce­chov. Ma non è vero, non è vero. Gli eroi di Ce­chov hanno la pa­te­ti­cità e la no­biltà de­gli scon­fitti. Io no: o vinco o mi an­nullo nel vuoto in­co­lore. E vinco, vinco, sotto le tue frustate. (…)

(…) No, cara, non hai nulla dell’eroina dan­nun­ziana, sei una grande donna pra­tica e co­rag­giosa, che si muove da re­gina e da amaz­zone e tra­sforma la vita più ac­ci­den­tata e dif­fi­cile in una me­ra­vi­gliosa ca­val­cata d’amore. (…)

(…) Ho la tua let­tera dal treno – Cara, amore – Ho sem­pre un’apprensione quando apro una tua let­tera e uno slan­cio enorme di gra­ti­tu­dine e amore leg­gendo le tue pa­role d’amore. Il ri­tratto del gio­vane P.P. [Pier Paolo Pa­so­lini, ndr] è molto bello, uno dei mi­gliori della tua vena ri­trat­ti­stica, di que­sta tua in­tel­li­genza delle per­so­na­lità umane fatta di di­scre­zione e ca­pa­cità di in­ten­dere i tipi più di­versi, que­sta tua gran dote lar­ga­mente pro­vata nei coe­ta­nei. È la stessa dote che por­tata all’estremo ac­ca­ni­mento dell’amore ti fa dire delle cose così acute e sor­pren­denti quando parli con me di me che ti sto a sen­tire a bocca aperta, ab­ba­ci­nato in­sieme d’ammirazione per l’intelligenza, o in­con­fes­sa­bile nar­ci­si­smo, e di gra­ti­tu­dine amorosa. (…)

(…) Ho più che mai bi­so­gno di stare fra le tue brac­cia. E que­sto tuo ghi­ri­bizzo di ci­vet­tare che ora ti ri­pi­glia non mi piace niente, lo giu­dico un’intrusione di un mo­tivo psi­co­lo­gico com­ple­ta­mente estra­neo all’atmosfera che deve re­gnare tra noi. Gioia cara, vor­rei una sta­gione in cui non ci fossi per me che tu e carta bianca e vo­glia di scri­vere cose lim­pide e fe­lici. Una sta­gione e non la vita? (…)

(…) Ora ba­sta, per­ché ho co­min­ciato così que­sta let­tera, io vo­glio scri­vere del no­stro amore, vo­glio amarti scri­vendo, pren­derti scri­vendo, non al­tro. È forse an­che qui la paura di sof­frire che prende il so­prav­vento? Cara, cara, mi co­no­sci troppo, ma no, troppo poco, devo an­cora farmi co­no­scere da te, devo an­cora sco­prirmi a te, stu­pirti, ho bi­so­gno di farmi am­mi­rare da te come io con­ti­nua­mente ti am­miro. Sto scri­vendo una cosa su Tho­mas Mann per il Con­tem­po­ra­neo – sotto forma di let­tera – su cosa si­gni­fica per me il suo at­teg­gia­mento d’uomo clas­sico e ra­zio­nale al co­spetto dell’estrema crisi ro­man­tica e ir­ra­zio­nale del no­stro tempo. Sono temi che ri­tor­nano pun­tual­mente nella cul­tura e nell’arte con­tem­po­ra­nea come nella mia vita: il mio rap­porto con Pa­vese, o la co­scienza della poe­sia, il mio rap­porto con te, o la co­scienza dell’amore. (…)

«Sas­so­lini di Lukacs»

(…) Il male non ha de­stino, del male né vanno di­sperse le ce­neri. Il bene re­sta, non si di­strugge, sparge i suoi semi e ricresce. (…)

(…) Ho avuto co­rag­gio ad amarti, a por­tarti in que­sta mia vita d’uomo che sem­pre in­se­gue la fe­li­cità e non co­no­sce la calma. (…)

(…) Ho due belle let­tere tue cui ri­spon­dere. Una (quella di gio­vedì) sulla «mis­sione di darmi gioia» che tu con me­ra­vi­gliosa ge­ne­ro­sità amo­rosa hai scelto (e io po­trei par­lare di una mia «am­bi­zione di darti gioia», di un mio or­go­glio, che quando non rie­sco mi fa sen­tire scon­fitto), l’altra, quella di ieri, col dia­logo delle donne sul per­fetto amante, che pare un po’ da corte d’amore, ma con una ma­li­zia da bri­gata di Boc­cac­cio in villa du­rante la pe­ste, e con una ra­zio­na­lità da ra­gio­na­mento fi­lo­so­fico e cor­tese cin­que­cen­te­sco e in più un senso dello sca­broso e dell’insoddisfatto che è tutto mo­derno. Ma tu che taci, e dici l’ultima bat­tuta, e le al­tre che stanno in si­len­zio, e quel tipo di Pan­filo o Fi­lo­strato o Dio­neo che trae, ga­lante ma con­cet­toso, la mo­rale, è un qua­dro di pura bel­lezza. Ma a parte quest’ammirazione for­male, quello che so­prat­tutto m’ha at­tratto è la bel­lezza della tua etica amo­rosa, che è an­che mia, che io t’ho in­se­gnato – per­dona il mio or­go­glio – nel mo­mento stesso in cui l’imparavo da te, su te e di cui tu ora dai una for­mula per­fetta, que­sto «su­sci­tare l’amore senza mai sti­mo­lare il vi­zio», que­sta con­di­zione così rara, che tu sola sai creare.

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(…) Ti scrivo in una pausa di una gior­nata in­ten­sa­mente «fi­lo­so­fica», in di­scus­sione d’estetica con Lu­kács la mat­ti­nata, poi a pranzo con lui in col­lina (nel ri­sto­rante in cui un anno fa ho por­tato la più af­fa­sci­nante delle donne, quest’anno sono an­dato con la più for­mi­da­bile te­sta di fi­lo­sofo) e tra poco lo do­vrò ac­com­pa­gnare in giro per To­rino. È un vec­chietto dalla for­mi­da­bile chia­rezza, ve­nata dalla ma­lin­co­nia e ma­li­zia de­gli ebrei. Mi di­verto a cer­care di but­tare sas­so­lini pun­tuti nella sua mac­china e ve­der­glieli re­sti­tuire per­fet­ta­mente le­vi­gati e sferici. (…)

(…) L’averti in­con­trata è stato un’esplosiva con­qui­sta di tante cose per me, den­tro di me, un tale salto e volo nella mia vita, che mi sem­bra di non riu­scire a toc­care terra, a ri­por­tare que­ste mie forze in una vita in­te­grata. E tu di­rai: «E che do­vrei dire io al­lora?». E io sa­rei al so­lito con­fuso, ma non è vero: per te sono crol­late cose in­torno, tu sei ri­ma­sta te stessa, puoi de­ci­dere di te come ora di­cendo che re­ci­te­rai con si­cu­rezza di quel che sei. A me, in una ge­ne­rale ir­ri­ta­bi­lità per tutto, non re­sta che un nu­golo di ra­gioni astratte, e la con­cre­tezza del tuo corpo nudo. (…)

(…) Amor mio. Tutte le let­tere ora mi viene da co­min­ciarle con l’elemento climatico-atmosferico ma non è una cosa da scher­zare. Qui si vive sotto un cielo ca­li­gi­noso, un freddo che ser­peg­gia nelle ossa, un’aria da fi­ni­mondo. Se né parla poco, ma la co­scienza che un ter­ri­bile ca­ta­cli­sma ato­mico sia stato sca­te­nato e sia or­mai im­pos­si­bile sal­varci, s’affaccia all’animo di tutti. Da anni vi­vevo nella com­pleta igno­ranza della piog­gia e del sole; ora que­sto ini­zio dell’inverno alla fine di mag­gio mi riem­pie di un ner­vo­si­smo che non co­no­scevo finora. (…)

(…) La tua lon­ta­nanza s’inserisce in que­sta si­tua­zione come qual­cosa di sim­bo­lico. La tua iden­ti­fi­ca­zione col sole non è ca­suale. Bi­so­gna che ti rag­giunga al più pre­sto e che que­sta tri­stezza, che non è, di­rei, psi­co­lo­gica ma quasi me­ta­fi­sica, si dis­sipi… Dopo que­sta let­tera ar­rivo io. Ti ab­brac­cio e desidero. (…)

«Te­le­fo­nata a Caracciolo»

Mia cara, sono qui con un dia­volo per ca­pello. Sono ar­ri­vato all’una e ho tro­vato tutti che ce l’avevano con me per­ché sono stato fatto og­getto ne­gli ul­timi giorni d’una cac­cia te­le­fo­nica da tutta Ita­lia per que­sto ma­le­detto pre­mio Pa­vese che l’accidente m’ha preso quando ho ac­cet­tato di occuparmene. (…)

(…) Cec­chi non viene, Levi vuole che si ri­mandi per­ché ci ha i poeti russi, Sol­dati ha l’influenza, Mila non vuol ve­nire per­ché non ha avuto in tempo i ma­no­scritti, An­to­ni­celli per­ché non c’è Cec­chi e non si può fare senza presidente (…)

(…) Bo è an­cora il più bravo e vuol solo sa­per tutti gli orari, Ei­naudi vuole che il pre­mio non sia as­se­gnato, a Alba hanno pre­pa­rato tutto e ci aspettano (…)

(…) Levi vuole la mac­china a pren­derlo all’aereo ma non sa quando ar­riva, An­to­ni­celli dice che non si deve fe­steg­giare Pa­vese con una fe­sta po­po­lare, Sol­dati dice che in quell’albergo c’è puzza di tar­tufi. Tutti sono d’accordo di pre­miare la R. ma nes­suno è con­vinto che me­riti un milione. (…)

(…) Ba­sta, de­ci­sa­mente sta­sera non sono ca­pace che di que­sti sfo­ghi ed è per­ché mi man­chi molto, mi manca molto la tua pre­senza con­so­la­trice e ras­se­re­na­trice, te­sti­mo­nianza si­cura della felicità. (…)


Mia cara, ec­comi qui e ap­pena ar­ri­vato mi sono tro­vato di­fronte a un pic­colo ten­ta­tivo scan­da­li­stico da parte dell’Espresso che spero d’aver fatto in tempo ad evi­tare. M’hanno man­dato la bozza dell’articolo per la ma­ni­fe­sta­zione delle fiabe e alla fine dell’articolo, che è piut­to­sto lungo, ti­rano fuori la de­dica a Rag­gio di sole e che a via Ve­neto la sera si di­scu­teva su chi era Rag­gio di sole. Fu­rono sug­ge­riti molti nomi, ma sol­tanto a sera tarda, dopo molte di­scus­sioni, ad un ta­volo di let­te­rati fu tro­vata la ri­spo­sta esatta: Elsa de’ Giorgi. Rag­gio di sole è in­fatti l’anagramma quasi esatto del tuo nome, manca solo la «e». Ho man­dato su­bito un te­le­gramma lampo a Be­ne­detti rac­co­man­dan­domi alla sua cor­te­sia per­ché eli­mini la parte fi­nale. E ho te­le­fo­nato a Carlo (Ca­rac­ciolo, ndr) per­ché te­le­fo­nasse su­bito e si in­te­res­sasse della cosa, ma­gari sol­tanto fa­cendo to­gliere il nome. Non so però se si è an­cora in tempo, o se il nu­mero è stato già stam­pato. Me lo sen­tivo che qual­cosa com­bi­na­vano. Spero sol­tanto che il man­darmi le bozze (per due giorni avevo inu­til­mente dato loro la cac­cia per riu­scire a leg­gere l’articolo) sia stato fatto per ve­dere se pro­te­stavo. Sulla bozza il ti­tolo non c’è e an­che que­sto po­trebbe es­sere uno scherzo di que­sto tipo. (Però, que­sta dell’anagramma è una sco­perta loro, a cui noi non ave­vamo mai pen­sato, e che cor­ri­sponde alla ve­rità! E se di­sto­gliamo il pen­siero per un mo­mento dalle im­pli­ca­zioni le­gali e gior­na­li­sti­che è molto bello).

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«Vince la controrivoluzione»

(…) Mia cara, siamo tor­nati ai bom­bar­da­menti delle città. Sono ama­reg­giato e scon­volto. La rete dei pen­sieri più volte ri­tes­suta e cer­cata di as­se­stare sta­bil­mente ne­gli anni della sem­pre cre­scente mi­nac­cia ato­mica e guerra fredda, e poi in que­sti ul­timi tempi in cui pa­reva ria­prirsi una pro­spet­tiva di pace e di pro­gresso straor­di­na­ria, an­cora va ri­tes­suta per po­ter guar­dare in mezzo al fuoco. Mi sento come sbal­lot­tato e pe­stato. No­ti­zie an­cora più ter­ri­bili ar­ri­vano dall’Ungheria dove tutte le mie spe­ranze che il moto in­sur­re­zio­nale po­tesse avere alla te­sta la parte dei co­mu­ni­sti non com­pro­messa coi cri­mini pas­sati e sal­vare il so­cia­li­smo sono or­mai ca­dute e la con­tro­ri­vo­lu­zione trionfa e i co­mu­ni­sti ven­gono mas­sa­crati in massa. Le po­si­zioni che gruppi di com­pa­gni e io con loro ave­vamo preso in que­sti giorni, di cri­tica alla di­re­zione del no­stro par­tito per la sua in­ter­pre­ta­zione dei fatti un­ghe­resi, ri­ce­vono una smen­tita dai fatti, an­che se pro­fon­da­mente giu­sti­fi­cate nel fondo. Ora siamo fatti og­getto di gravi ac­cuse da parte del par­tito, e ieri sera di fronte a una grande as­sem­blea tu­mul­tuante ho ri­co­no­sciuto la parte d’errori nella mia po­si­zione, ho ri­con­fer­mato la giu­stezza dell’esigenza che li aveva mossi. Sono ar­ri­vato ad as­su­mere un po’ il ruolo di lea­der di que­sta pic­cola ri­volta qui a To­rino e devo bat­termi fino all’ultimo per non ri­sol­verla in di­sfatta, e a fianco de­gli amici e com­pa­gni che ho spinto a pren­dere po­si­zione e non posso abbandonare (…).

L’addio alla politica

(…) Ieri sono stato so­len­ne­mente si­lu­rato alle ele­zioni del con­gresso. La cosa non ha fatto al­tro che ral­le­grarmi per­ché coin­cide con la mia de­ci­sione di ab­ban­do­nare l’attività po­li­tica sul piano spic­ciolo, delle pic­cole bat­ta­glie interne. (…)

(…) Io vivo gior­nate tese in cui le cose da fare mi si ac­cu­mu­lano a va­langa, e non rie­sco a fare che po­chis­simo, con Carlo Levi che mi ha preso ieri tutto un lun­ghis­simo po­me­rig­gio e oggi di nuovo e do­mani forse an­che, col len­tis­simo ritmo delle sue cor­re­zioni, men­tre la casa edi­trice è nel suo pe­riodo di punta sta­gio­nale, sono ca­rico di te­sti pub­bli­ci­tari da fare e in più c’è la po­li­tica in un mo­mento cul­mi­nante e non si fa­rebbe che star tutto il giorno a di­scu­tere e com­bat­tere le po­si­zioni dell’uno e dell’altro. In mezzo a tutto que­sto t’amo d’un amore fu­rioso, la notte non dormo, ec­ci­ta­tis­simo e gi­rando a vuoto come una gi­ran­dola. Gioia bella t’abbraccio e corro da Carlo che mi in­calza di te­le­fo­nate, a cer­care di con­cen­trarmi sulle sue vir­gole e congiunzioni. (…)

(…) Il mondo pub­blica nella co­lon­nina dell’«invitato» un di­ti­rambo sul mio li­bro, con­trap­po­sto po­le­mi­ca­mente a tutto il re­sto della let­te­ra­tura con­tem­po­ra­nea. Si vede che l’ambiente Mondo-Espresso, che so­stiene molto il li­bro, non ha man­dato giù la re­cen­sione piena di ri­serve di Bo­celli e ha vo­luto re­pli­care. Ot­tima cosa per­ché lan­cia il li­bro su un piano di «moda» ma an­che un po’ sec­cante per­ché sem­bra con­trap­pormi all’ambiente let­te­ra­rio e que­sto né è vero né mi può giovare.

(…) Guarda come rie­sci a in­fluen­zarmi an­che nel giu­di­zio sulle cose mie, non in­fluen­zarmi cam­bian­domi idee, ma ri­dan­domi il senso di che cosa è vivo e man­dan­domi a monte im­po­sta­zioni sta­ti­che di stile di vita, met­tendo tutto al va­glio della tua fol­go­rante ve­rità umana, ve­rità di donna, ve­rità di amante. In treno ho pen­sato e scritto una poe­sia: Amore, dieci anni fa ero nei par­ti­giani. Se non oggi do­mani ci scan­na­vano uno a uno. E la cosa più esal­tante di tutto quel che uno vi­veva era che chi lo vi­veva non era un al­tro, ero io. Amore, dieci anni dopo – che dono, o vita! – sono il tuo amante. È ter­ri­bile come la guerra, la fe­li­cità che mi dai. E la cosa più esal­tante di quel che provo fra le tue brac­cia è quando penso che chi ti ab­brac­cia non è che sia un al­tro, sono io.

(…) Amor mio. Tutte le let­tere ora mi viene da co­min­ciarle con l’ ele­mento climatico-atmosferico ma non è una cosa da scher­zare. Qui si vive sotto un cielo ca­li­gi­noso, un freddo che ser­peg­gia nelle ossa, un’ aria da fi­ni­mondo. Se né parla poco, ma la co­scienza che un ter­ri­bile ca­ta­cli­sma ato­mico sia stato sca­te­nato e sia or­mai im­pos­si­bile sal­varci, s’ af­fac­cia all’ animo di tutti. Da anni vi­vevo nella com­pleta igno­ranza della piog­gia e del sole; ora que­sto ini­zio dell’ in­verno alla fine di mag­gio mi riem­pie di un ner­vo­si­smo che non co­no­scevo finora.

(…) La tua lon­tanza s’ in­se­ri­sce in que­sta si­tua­zione come qual­cosa di sim­bo­lico. La tua iden­ti­fi­ca­zione col sole non è ca­suale. Bi­so­gna che ti rag­giunga al più pre­sto e che que­sta tri­stezza, che non è, di­rei, psi­co­lo­gica ma quasi me­ta­fi­sica, si dis­sipi… Dopo que­sta let­tera ar­rivo io. Ti ab­brac­cio e desidero.

(…) Guarda come rie­sci a in­fluen­zarmi an­che nel giu­di­zio sulle cose mie, non in­fluen­zarmi cam­bian­domi idee, ma ri­dan­domi il senso di che cosa è vivo e man­dan­domi a monte im­po­sta­zioni sta­ti­che di stile di vita, met­tendo tutto al va­glio della tua fol­go­rante ve­rità umana, ve­rità di donna, ve­rità di amante. In treno ho pen­sato e scritto una poe­sia: Amore, dieci anni fa ero nei par­ti­giani. Se non oggi do­mani ci scan­na­vano uno a uno. E la cosa più esal­tante di tutto quel che uno vi­veva era che chi lo vi­veva non era un al­tro, ero io. Amore, dieci anni dopo — che dono, o vita! — sono il tuo amante. E’ ter­ri­bile come la guerra, la fe­li­cità che mi dai. E la cosa più esal­tante di quel che provo fra le tue brac­cia è quando penso che chi ti ab­brac­cia non è che sia un al­tro, sono io.

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(…) Mia cara, ec­comi qui e ap­pena ar­ri­vato mi sono tro­vato di fronte a un pic­colo ten­ta­tivo scan­da­li­stico da parte dell’Espresso che spero d’ aver fatto in tempo ad evi­tare. M’ hanno man­dato la bozza dell’ ar­ti­colo per la ma­ni­fe­sta­zione delle fiabe e alla fine dell’ ar­ti­colo, che è piut­to­sto lungo, ti­rano fuori la de­dica a Rag­gio di sole e che a via Ve­neto la sera si di­scu­teva su chi era Rag­gio di sole. Fu­rono sug­ge­riti molti nomi, ma sol­tanto a sera tarda, dopo molte di­scus­sioni, ad un ta­volo di let­te­rati fu tro­vata la ri­spo­sta esatta: Elsa de’ Giorgi.

Rag­gio di sole è in­fatti l’ ana­gramma quasi esatto del tuo nome, manca solo la «e» . Ho man­dato su­bito un te­le­gramma lampo a Be­ne­detti rac­co­man­dan­domi alla sua cor­te­sia per­ché eli­mini la parte fi­nale. E ho te­le­fo­nato a Carlo per­ché te­le­fo­nasse su­bito e si in­te­res­sasse della cosa, ma­gari sol­tanto fa­cendo to­gliere il nome. Non so però se si è an­cora in tempo, o se il nu­mero è stato già stam­pato. Me lo sen­tivo che qual­cosa com­bi­na­vano. Spero sol­tanto che il man­darmi le bozze (per due giorni avevo inu­til­mente dato loro la cac­cia per riu­scire a leg­gere l’ ar­ti­colo) sia stato fatto per ve­dere se pro­te­stavo. Sulla bozza il ti­tolo non c’ è e an­che que­sto po­trebbe es­sere uno scherzo di que­sto tipo. (Però, que­sta dell’ ana­gramma è una sco­perta loro, a cui noi non ave­vamo mai pen­sato, e che cor­ri­sponde alla ve­rità! E se di­sto­gliamo il pen­siero per un mo­mento dalle im­pli­ca­zioni le­gali e gior­na­li­sti­che è molto bello).


(…) Ti scrivo in una pausa di una gior­nata in­ten­sa­mente «fi­lo­so­fica» , in di­scus­sione d’ este­tica con Lu­kacs la mat­ti­nata, poi a pranzo con lui in col­lina (nel ri­sto­rante in cui un anno fa ho por­tato la più af­fa­sci­nante delle donne, quest’ anno sono an­dato con la più for­mi­da­bile te­sta di fi­lo­sofo) e tra poco lo do­vrò ac­com­pa­gnare in giro per To­rino. E’ un vec­chietto dalla for­mi­da­bile chia­rezza, ve­nata dalla ma­lin­co­nia e ma­li­zia de­gli ebrei. Mi di­verto a cer­care di but­tare sas­so­lini pun­tuti nella sua mac­china e ve­der­glieli re­sti­tuire per­fet­ta­mente le­vi­gati e sfe­rici. Un uomo che eser­cita su di me in­sieme av­ver­sione e at­tra­zione, di cui per­corro pa­gine e pa­gine av­ver­sando il suo — pur dut­ti­lis­simo e acu­tis­simo– si­ste­ma­ti­ci­smo e ogni tanto ci trovo uno squar­cio di una tale am­piezza d’illuminazione da la­sciare storditi.

(…)Le cose che scrivi sul li­bro di Pa­so­lini sono giu­ste. Lui ha pun­tato sull’impianto plu­ri­lin­gui­stico in­fi­schian­do­sene delle con­trad­di­zioni, ma non ha l’inventiva e l’allegria per farne una grande cosa alla Ra­be­lais o an­che solo alla Gadda. Rag­giunge però un ge­ne­rale clima li­rico , sin­cero, ab­ba­stanza mo­du­lato. Ho la tua let­tera dal treno — Cara, amore — Ho sem­pre un’ ap­pren­sione quando apro una tua let­tera e uno slan­cio enorme di gra­ti­tu­dine e amore leg­gendo le tue pa­role d’ amore. Il ri­tratto del gio­vane P.P.P. è molto bello, uno dei mi­gliori della tua vena ri­trat­ti­stica, di que­sta tua in­tel­li­genza delle per­so­na­lità umane fatta di di­scre­zione e ca­pa­cità di in­ten­dere i tipi più di­versi, que­sta tua gran dote lar­ga­mente pro­vata nei Coe­ta­nei. E’ la stessa dote che por­tata all’ estremo ac­ca­ni­mento dell’ amore ti fa dire delle cose così acute e sor­pren­denti quando parli con me di me che ti sto a sen­tire a bocca aperta, ab­ba­ci­nato in­sieme d’ am­mi­ra­zione per l’ in­tel­li­genza, o in­con­fes­sa­bile nar­ci­si­smo, e di gra­ti­tu­dine amorosa.

(…) No, cara, non hai nulla dell’ eroina dan­nun­ziana, sei una grande donna pra­tica e co­rag­giosa, che si muove da re­gina e da amaz­zone e tra­sforma la vita più ac­ci­den­tata e dif­fi­cile in una me­ra­vi­gliosa ca­val­cata d’ amore.

 

(…) Ho due belle let­tere tue cui ri­spon­dere. Una (quella di gio­vedì) sulla «mis­sione di darmi gioia» che tu con me­ra­vi­gliosa ge­ne­ro­sità amo­rosa hai scelto (e io po­trei par­lare di una mia «am­bi­zione di darti gioia», di un mio or­go­glio, che quando non rie­sco mi fa sen­tire scon­fitto), l’ al­tra, quella di ieri, col dia­logo delle donne sul per­fetto amante, che pare un po’ da corte d’ amore, ma con una ma­li­zia da bri­gata di Boc­cac­cio in villa du­rante la pe­ste, e con una ra­zio­na­lità da ra­gio­na­mento fi­lo­so­fico e cor­tese cin­que­cen­te­sco e in più un senso dello sca­broso e dell’ in­sod­di­sfatto che è tutto mo­derno. Ma tu che taci, e dici l’ultima bat­tuta, e le al­tre che stanno in si­len­zio, e quel tipo di Pan­filo o Fi­lo­strato o Dio­neo che trae, ga­lante ma con­cet­toso, la mo­rale, è un qua­dro di pura bel­lezza. Ma a parte quest’ am­mi­ra­zione for­male, quello che so­prat­tutto m’ ha at­tratto è la bel­lezza della tua etica amo­rosa, che è an­che mia, che io t’ ho in­se­gnato — per­dona il mio or­go­glio– nel mo­mento stesso in cui l’ im­pa­ravo da te, su te e di cui tu ora dai una for­mula per­fetta, que­sto «su­sci­tare l’ amore senza mai sti­mo­lare il vi­zio» , que­sta con­di­zione così rara, che tu sola sai creare.