La ruota della Fortuna: “oggi a me, domani a te”. Storia e iconografia

di Selenia De Michele

La ruota della fortuna è una delle immagini simbolo del medioevo. La si ritrova infatti in diversi manoscritti e nelle forme più diverse, con intenti più o meno didascalici.
Il tema della fortuna ha origini antiche. “Fortuna” era una divinità venerata a Roma la cui origine si rimanda ad una divinità etrusca del Fato chiamata “Vortumna” cioè colei che rivolge l’anno. Gli scrittori cristiani, in primo luogo Agostino, condannarono Fortuna come cieca dispensatrice di felicità terrena fino a considerarla uno strumento diabolico. Simbolo della fortuna è la ruota che indica la natura capricciosa e incontrollabile del fato. L’originale di tale attributo è da ricercarsi in un testo di Severino Boezio del IV secolo intitolato “De consolatione Philosophiae”, scritta mentre il poeta era in carcere in attesa di essere condannato a morte. La ruota della fortuna così come la conosciamo è una diretta eredità dell’opera di Boezio che nel frontespizio vedeva raffigurato Severino seduto mestamente ai piedi della Filosofia intenta a consolarlo.

“La ruota della Fortuna”, miniatura tratta da ‘Raccolta di Omelie latine’ (Liguria, XV secolo), Bibliothèque nationale de France, Parigi.
“La ruota della Fortuna”, miniatura tratta da ‘Raccolta di Omelie latine’ (Liguria, XV secolo), Bibliothèque nationale de France, Parigi.

 

Accanto a questa la personificazione della Sorte fa girare la ruota dell’alterna fortuna alla quale vanamente si attaccano gli esseri umani. Un’altra fonte immaginifica del tema si trova nei Carmina Burana, testi poetici ritrovati in alcuni manoscritti del XIII secolo, poi trasposti in musica da Carl Orff. Tra il 1442 e il 1447 la ruota della fortuna compare nel più antico mazzo di tarocchi esistente, il Visconti Sforza, fissandosi definitivamente nell’immaginario collettivo. Abbiamo accennato al fatto che gli scrittori cristiani condannarono questa immagine. Nella cultura medievale l’iconografia classica della Fortuna, ritratta come una giovane donna, circondata da vari attributi simboleggianti la sua incostanza: il timone, il globo, le spighe, la prua della nave, la corda, il cerchio, la sfera o la ruota, fu sostanzialmente abbandonata, mentre la metafora letteraria della fortuna che gira incessantemente la sua ruota, utilizzata di frequente nel mondo antico per esprimere la mutevolezza del destino umano, trovò spazio come immagine didascalica della vanità dell’esistenza terrena. Fu grazie a Boezio che si legittimò la presenza della Fortuna nel mondo cristiano facendone una ministra della Provvidenza divina tratteggiandone un’immagine che ebbe grande efficacia. Tuttavia solo dopo secoli tale immagine trovò una sua applicazione in ambito figurativo: è infatti in un manoscritto dell’ XI secolo che si incontra la prima raffigurazione medievale nota relativa alla Fortuna.  Si tratta di un disegno, in cui quattro figure sono disposte intorno a un cerchio agli estremi di due assi ortogonali, presente nel codice di Montecassino in due versioni successive, una solo abbozzata e una completata.

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L’immagine rappresenta una fase ancora sperimentale nell’elaborazione iconografica del tema, dove, oltre a non comparire la figura della Fortuna, il personaggio posto in alto, incoronato e con scettro, sovrasta nelle dimensioni l’intera composizione: questi elementi hanno fatto pensare al persistere di un rapporto con l’iconografia classica di Kairós, personificazione dell’Opportunità, spesso raffigurata in equilibrio instabile su una sfera o su una ruota, particolare che in epoca tardoantica poteva ritrovarsi anche in raffigurazioni della Fortuna pur non facendo parte dei suoi attributi originari.

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La personificazione della Fortuna, con due teste e in equilibrio su una ruota, appare in un’ampia composizione allegorica facente parte di un gruppo di disegni, datati al 1165, contenuti in un manoscritto proveniente da Prüfenig in Baviera. Nelle due immagini citate, che possono considerarsi un tramite tra i possibili modelli antichi e quella che divenne la raffigurazione medievale della ruota della Fortuna, la presenza di numerose esplicazioni scritte rivela comunque una relazione stretta con le fonti letterarie e in particolare il ruolo del già citato testo di Boezio. Grazie a un resoconto del vescovo Balderico di Dol circa una sua visita all’abbazia di Fécamp, in Normandia, è noto che intorno alla fine dell’ XI secolo nelle chiese si potevano trovare ruote azionate meccanicamente che avevano la funzione di ammaestrare sulla precarietà dei beni terreni. Di tali congegni si hanno numerose testimonianze nei secoli seguenti, spesso nell’ambito di rappresentazioni teatrali e si è ipotizzato che anche lo schema di una ruota della Fortuna contenuto nel taccuino dei disegni di Villard de Honnecourt, del 1225 ca. possa essere un’indicazione per fabbricare un meccanismo di questo tipo.

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Una notevole attenzione verso una resa plausibile del congegno meccanico si riscontra nella raffigurazione della ruota della Fortuna contenuta nell’Hortus deliciarum di Herrada di Landsberg, degli anni fra il 1176 e il 1185, nota grazie a una copia, dove la Fortuna, figura femminile incoronata, appare seduta in trono, su rocce rappresentanti la Terra, in atto di azionare con una manovella una ruota alla quale sono aggrappati sei personaggi: seduto in alto troviamo un re con corona, abbigliamento sontuoso e preziosi recipienti; coloro che precipitano a destra appaiono invece perdere sempre più queste caratteristiche regali, mentre quelli che ascendono dall’altro lato si apprestano a ottenerle. In questa raffigurazione si esprime quindi con chiarezza quel rapporto metaforico tra buona fortuna e condizione regale che costituisce una delle principali caratteristiche dell’allegoria medievale della ruota della Fortuna, che spesso infatti appare accompagnata dalla formula “regnabo, regno, regnavi, sum sine regno”, tratta da un epigramma assai diffuso nel Medioevo. Tale formula appare già nel citato codice cassinese, dove però, come in altri esempi, potrebbe essere dovuta a un successivo intervento.

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L’immagine dell’Hortus deliciarum, anch’essa corredata di numerose didascalie, costituisce un esempio canonico di una delle due principali versioni del tema iconografico, quella in cui la Fortuna appare azionare la ruota dall’esterno. Dell’altra versione, in cui invece la personificazione della Fortuna appare all’interno della sua ruota, alla quale sono comunque aggrappate delle figure, in genere quattro, è stato individuato il presupposto in un passo di Onorio Augustodunense. In più ampi contesti simbolici, non sempre di univoca lettura, sono anche da inserire le grandi raffigurazioni della ruota della Fortuna realizzate nei rosoni delle chiese, come per esempio in quello del 1130-1140 della facciata del transetto nord di Saint-Etienne a Beauvais, in quello della fine del XII secolo della cattedrale di Basilea, in quello della fine del secolo XII e inizi del XII della facciata ovest di S. Zeno a Verona.

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Con più specifica connotazione morale, l’immagine trovò grande impiego nell’illustrazione di manoscritti contenenti testi sacri, componimenti didattici o testi della letteratura profana. Vanno ricordate per la loro peculiarità due illustrazioni del De consolatione philosophiae: una del XII secolo, che mostra una ruota su cui sale e scende lo stesso Boezio, e un’altra della metà del XIII secolo in cui entro un cerchio la Fortuna appare seduta su un faldistorio con gli occhi e le orecchie coperti dai capelli. A partire dal Basso Medioevo la metafora della ruota della Fortuna venne utilizzata anche in senso satirico per illustrare i mali della società.

 

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