La “Resurrezione di Cristo” di Andrea Mantegna: un capolavoro ritrovato

di Adriana Maria Riccioli

Da qualche mese il catalogo delle opere del Mantegna (1431-1506) si è arricchito di un nuovo capolavoro. Si tratta della “Resurrezione di Cristo”, una piccola tavola di cm. 48,5 per 37,5 che per circa duecento anni è rimasta conservata nei depositi dell’Accademia di Carrara di Bergamo, con l’indicazione “copia da Andrea Mantegna”.

Questa convinzione della non originalità viene ribadita nell’Ottocento (G. Morelli) e poi confermata negli anni trenta del Novecento (B.Berenson). Successivamente anche F. Zeri si mostra del medesimo avviso, ne attribuisce infatti la paternità a Francesco, figlio di Andrea.


Il cambiamento di opinione si è verificato in seguito ai lavori eseguiti per il catalogo completo dei “Dipinti italiani del Trecento e del Quattrocento” da parte dell’Accademia di Carrara di Bergamo. In tale occasione, Giovanni Valagussa, mentre si occupava della catalogazione delle opere, ha scoperto un dettaglio del dipinto in questione che ha rivoluzionato completamente la situazione. Alla base della tavola ha notato una piccola icona a forma di croce attaccata ad un’asta che presupponeva il completamento con un’altra opera del pittore veneto, rintracciata dal conservatore nella “Discesa al limbo”, presente nella collezione privata di Barbara Piasecka Johnson a Princeton. A sostenere la possibilità che le due opere siano una la continuazione dell’altra ha contribuito anche il giudizio di Keith Christiansen, massimo esperto dell’artista padovano, curatore d’Arte Europea del Metropolitan  Museum di New York.

Le ricerche effettuate intorno alle due tavole, eseguite nel periodo della maturità del Mantegna, quando l’artista lavorava a Mantova per i Gonzaga, hanno indotto gli studiosi ad affermare che in origine doveva trattarsi di una grande pala, costituita da due scene che nella parte inferiore presentava la “Discesa al limbo,” secondo una iconografia poco diffusa di origine tedesca.

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Il destino delle due opere appare dunque strettamente legato per cui, fugati i dubbi sulla attribuzione della “Resurrezione di Cristo” al Mantegna, dopo averla vista protagonista di un tour tra la National Galerie di Londra e la Gemaldegalerie di Berlino, a partire dal 25 aprile fino al 21 luglio il pubblico potrà approfondirne la conoscenza assieme alla “Discesa al limbo, nella sede dell’Accademia di Carrara a Bergamo.

Ma torniamo alla scoperta clamorosa di Giovanni Valagussarelativa a questo capolavoro, inaspettatamente ritrovato, la cui tematica ha affascinato non poco il pittore padovano.

Come è noto, infatti, già al tempo della realizzazione della “Pala di S. Zeno”(1457-59) l’artista aveva inserito nella predella assieme all”Orazione nell’orto” e alla “Crocifissione”anche la “Resurrezione di Cristo,” un epilogo gioioso delle vicende tragiche vissute dal Figlio di Dio. Senza ricorrere ad effetti speciali ma facendo ricorso in modo pragmatico ad una fisicità molto concreta, espressa attraverso il gesto del piede posto sul bordo del sarcofago, indizio della vittoria sulla morte, il Padovano presenta la figura del Cristo, circondata da raggi d’oro, con in mano il vessillo con la croce rossa in campo bianco, simbolo dell’avvenuto risuscitamento. Le guardie, disposte a raggiera intorno alla tomba, contrariamente alla iconografia tradizionale che le vuole immerse nel sonno, hanno un’espressione atterrita sui volti per l’improvviso spalancarsi del sepolcro.

Andrea, evitando qualunque elemento di suggestione, illustra in modo pragmatico l’evento, coinvolgendo così il mondo terreno che per la sua natura ha “difficoltà” a relazionarsi con il trascendente.

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Un confronto con il medesimo soggetto, trattato da Piero della Francesca (1415/20-1492), intorno al 1458, propone unatteggiamento diverso nei soldati che appaiono immersi nel sonno. Tra questi, solo uno sembra destarsi dal torpore che avviluppa gli altri, come se la presenza del Salvatore lo facesse emergere dal baratro del peccato in cui i compagni tendono a rimanere per una propria scelta. La scena è pervasa da un senso di immobilità e silenzio, tipica della concezione pierfrancescana, anche se la natura, nella parte destra della composizione, con gli alberi verdeggianti e frondosi, si mostra partecipe della resurrezione.

Anche Andrea del Castagno (1421/2-1457) realizza la stessa tematica includendola nella serie di affreschi che esegue per il refettorio del convento di S. Apollonia a Firenze (1445-1450). Purtroppo il cattivo stato di conservazione in cui versa l’opera in questione, rispetto al resto, seppure non consente di valutare appieno l’immagine, non impedisce tuttavia di notare la presenza di una luce cristallina, indizio dell’avverarsi della redenzione e quindi di un messaggio positivo di salvezza. Innovativi appaionoil trattamento vaporoso della veste del Cristo e la presenza di una linea meno aspra e grave che definisce il volto dello stesso, contrariamente a quanto si può rilevare sulle fisionomie degli altri personaggi.

Il capolavoro ritrovato, grazie anche ad una firma tracciata a penna o con un sottile pennello sul retro del dipinto, e la “Discesa al limbo,” sono riconosciuti dagli esperti come un raffinato frutto della maturità dell’artista (1492/93). Nel caso della “Resurrezione,” il restauro effettuato ha restituito all’opera i colori di un tempo oltre a dare l’opportunità di visualizzare la vigorosa definizione anatomica del corpo del Salvatore, il cui atteggiamento, nonostante la vittoria sulla morte, non ha nulla di trionfalistico. Per quanto attiene alla “Discesa al limbo,” è opportuno sottolineare che si tratta di un tema raffigurato di rado, da cui tuttavia il Mantegna si è lasciato affascinare, come dimostrano alcuni disegni, tra cui quello conservato all’ÉcoleSupérieure des Beaux-Arts di Parigi. Anche in questo caso non si assiste alla celebrazione del Cristo, almeno non nella maniera tradizionale. Il Figlio di Dio è raffigurato in primo piano, voltato di spalle mentre si rivolge ai savi del Limbo, che verranno da lui trasportati in Paradiso. Lo si riconosce per il lungo bastone-scettro coronato dalla croce. Ai lati alcuni personaggi, già tratti fuori, palesano espressioni di deferenza e gratitudine.

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Come si è detto, in entrambe le rappresentazioni tutto accade in modo “naturale”, senza squilli di tromba, non perché il Mantegna volesse minimizzare l’importanza dei “fatti” narrati ma proprio in virtù del desiderio di rendere accessibile agli esseri umani ciò che, per ovvie ragioni, non poteva avere quella connotazione.

Restituire al mondo una straordinaria opera d’arte, dovuta alla creatività di Andrea Mantegna, ha rappresentato un evento sorprendente ed entusiasmante che ha dimostrato una volta di più come la ricerca scientifica sia fondamentale ai fini della valorizzazione del patrimonio artistico del nostro paese. Che poi questa scoperta si possa condividere, a livello internazionale, come accennato in precedenza, con due tra le più importanti istituzioni europee, costituisce un ulteriore punto di forza, volendo prescindere dal sottolineare come le quotazioni delle due opere, per l’occasione, hanno raggiunto valori d’asta davvero eccezionali.

 

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