Il successo e l’attualità de “La fuga in Egitto” attraverso i secoli

Da Giotto a Renato Guttuso, l’iconografia de “La fuga in Egitto” attraverso i secoli.

di Adriana Riccioli

L’episodio della “Fuga in Egitto” che, come è noto, ha trovato ampia diffusione in ambito artistico, è invece poco indagato dalla riflessione teologica e storica. Ne fa menzione solo il Vangelo di Matteo, che per altro si esprime in modo essenziale e se, con qualche forzatura, l’evento si è provato a metterlo in relazione con alcuni testi profetici dell’Antico Testamento, nessun riscontro se ne trova nel Nuovo.

Di tale vicenda non c’è notizia nel pensiero dei primi secoli cristiani; nel calendario liturgico non se ne parla come per altri episodi dell’infanzia di Cristo (Natività, Battesimo), non è infine scontato che la Sacra Famiglia si sia rifugiata proprio in Egitto, seppure è vero che la terra dei Faraoni era il luogo relativamente più facile da raggiungere per cercare riparo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E’ indubbio che alla diffusione di tale tematica abbiano contribuito i Vangeli apocrifi e varie Omelie del cristianesimo d’Oriente e d’Occidente, offrendo materiale alla fantasia degli artisti che si sono cimentati su vari momenti e situazioni: dal sogno di Giuseppe al ritorno in Galilea con Gesù cresciuto, dall’inseguimento dei soldati di Erode, ai vari miracoli lungo le tappe, dalla marcia al riposo ecc.

Ma cerchiamo di comprendere meglio le ragioni della straordinaria eco che questo “avvenimento” ha avuto nell’arte occidentale. Innanzi tutto l’ampia diffusione, come appena detto, dei Vangeli apocrifi che non solo hanno fornito nomi di città ( celebre Hermopolis o Sotine con il suo tempio con 365 idoli) ma hanno anche arricchito il viaggio della Sacra Famiglia di accompagnatori come ad esempio Salomè ”cugina della Vergine” secondo il Sinassario alessandrino, o “levatrice di Gesù” secondo il Protovangelo di Giacomo, per non parlare dei numerosi dettagli relativi al moltiplicarsi di miracoli, quali la presenza di leoni e leopardi che scortano la Famiglia ( Pseudo Vangelo di Matteo ) o alberi di palme che si piegano per offrire datteri a Maria, particolarmente golosa, o spighe di grano che crescono rapidamente per nascondere la famiglia in fuga.

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Proprio la varietà di interpretazioni nei testi citati e la difficoltà a definire luoghi e tempi distingue questo soggetto da altri momenti della vita di Gesù come il Battesimo nel Giordano o la Trasfigurazione sul monte Tabor che invece si svolgono in un luogo e in uno spazio temporale ben definiti.

Altro elemento infine del successo duraturo della tematica in oggetto è rappresentato dalla sua capacità di trasmettere sentimenti di emozione molto profondi, in grado di coinvolgere tutti i livelli della società. Chi non ha sperimentato o immaginato il dolore del cambiamento, dell’esilio, della fuga per restare in vita? Quante famiglie senza la pretesa di essere “sante” sono state, e sono ancora oggi, sottoposte a drammi di tale portata?

La delocalizzazione, la solitudine, la durezza del proprio destino, affrontate anche nei tempi presenti da tanti popoli, richiamano alla memoria l’angoscia e il dramma vissute dal Cristo durante l’agonia nel Getsemani, per non parlare della sua Crocifissione, esperienza terribile di cui il Figlio di Dio si è voluto fare carico nel suo immenso amore per il genere umano. Gli artisti dal canto loro, con la sensibilità ed i mezzi espressivi di cui la natura li ha dotati, si sono incaricati nel tempo di dare visibilità ad una iconografia variegata e complessa che riflette le diverse fonti anche non canoniche che la tramandano.

In un primo momento la scena ha solo tre personaggi: Maria, il Bambino e Giuseppe che generalmente appare vecchio e conduce l’asino su cui siede la Vergine col Figlio, come negli affreschi di S. Maria Antiqua a Roma (VII-X sec.), nei mosaici di Monreale e della Cappella Palatina o nella basilica di S. Marco a Venezia, dove Gesù è invece portato sulle spalle di Giuseppe.

E’ interessante rilevare come il soggetto in questione non sia solo appannaggio del campo pittorico ma anche della scultura, soprattutto nei capitelli istoriati (ad esempio capitello di Gislebertus, primi decenni XII sec. Cattedrale di Saint Lazare d’Autun) o anche negli avori di scuola salernitana (XI-XII sec. Museo civico medievale di Bologna), in cui si hanno prove di alto livello artistico e ove cominciano ad apparire altri personaggi oltre ai protagonisti.

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Anche Giotto nella Cappella degli Scrovegni illustrando l’episodio della “Fuga”(1303-06), decide di arricchire il racconto evangelico con la presenza di tre giovani, figli di Giuseppe nati da un precedente matrimonio, e di una donna in nero, con una corona d’edera sul capo, posta accanto all’asino, considerata la levatrice di Gesù. Nella rappresentazione l’artista esplicita non solo l’ansia della Famiglia di Nazareth per il forzato viaggio ma sembra renderne partecipe la natura attraverso le ripetute pendenze delle rocce. E’ come se il paesaggio volesse far da guida ai pellegrini nel loro difficile cammino.

L’essenzialità della natura in Giotto si trasforma invece in un luogo che brulica di vita in Tiziano. “Nel viaggio della Sacra Famiglia”(1509) (Ermitage,S.Pietroburgo) il pittore, arricchendo l’ambiente naturale di pastorelli con il gregge, volpi, caprioli, palesa la volontà di rendere meno tragica la fuga dei protagonisti. Del resto, il clero dell’Inquisizione non vedeva nessun pericolo di eresia nell’abbellimento della scena, marginale rispetto alla dottrina della chiesa per cui si rischiava la tortura e il rogo.

Diversa è la soluzione del Tintoretto che nella tela del 1582-87, realizzata per la Scuola Grande di S. Rocco a Venezia, trasforma l’evocazione paesistica in visione lirica, in emozione religiosa, come rileva Paola Rossi in un suo scritto del 1982. Il povero corredo, fatto di un sacco appeso ad un bastone abbandonato in primo piano al centro della composizione, ricorda quello dei pellegrini odierni nel loro percorso carico di incertezze e pericoli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un sapore domestico e umile, coerente con la sua visione realistica anche del sacro, è quella che Caravaggio fornisce del “Riposo durante la fuga in Egitto”(1594-96) (Galleria Doria Pamphili, Roma). La figura di Giuseppe è quella di un contadino anziano con barba e capelli incolti che, con aria perplessa e confusa, sorregge lo spartito ad un efebico angelo violinista, spuntato all’improvviso. Maria, una ragazza comune, scalza, vestita poveramente, indulge al sonno per la stanchezza in un ambiente che non ha nulla di esotico ma evidenzia una vegetazione italica.

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Una perfetta fusione, tra paesaggio e Famiglia in fuga (Lione, Museo delle Belle Arti) si ritrova in Nicolas Poussin. Guidati dall’angelo i fuggitivi vanno verso la salvezza, ma la Vergine col Bimbo tra le braccia, non riuscendo a nascondere la sua preoccupazione, guarda indietro. Una condizione tipica degli esseri umani in ansia per la propria sorte.

Una versione legata alla contemporaneità è quella che propone Guttuso in un grande murale che ha preso il posto dell’affresco di uguale soggetto di Carlo Francesco Nuvolone, pittore lombardo del XVII secolo. Incaricato da Monsignor Pasquale Macchi, segretario di Paolo VI, l’artista siciliano, illustrando il racconto evangelico di Matteo ne sottolinea la tragica attualità. Consapevole del fatto che l’esodo dalla propria terra per sfuggire da un’oppressione, senza aver commesso alcun crimine, è un dato oggettivo spesso presente, ne interpreta la difficoltà senza ricorrere a schemi manieristici. Se poi nella rappresentazione di Giuseppe, ad esempio, non ha seguito la tradizione che lo vuole a piedi e non in groppa all’asino, gli ha dato fattezze e abbigliamento “semiti” o ha evidenziato nel ridotto bagaglio arnesi da falegname, tutto ciò è da ricondurre alla sua volontà di fare “un dipinto efficace, comprensibile, di immediato contatto con il pubblico, senza stupidi intellettualismi.”

Del resto, da un pittore” civile” del suo livello non ci si poteva aspettare nulla di diverso!!

La Sacra Famiglia diventa quindi punto di riferimento di gruppi familiari sradicati dal proprio ambiente e, nelle varie interpretazioni, oltre ad essere un simbolo fornisce anche un’occasione di riflessione e di meditazione profonda.

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