Il silenzio nel grido di Laocoonte

di Valentina Grispo

«Come la profondità del mare rimane sempre tranquilla, per quanto infuri la superficie, così l’espressione delle figure dei Greci mostra, in mezzo a tutte le passioni, un’anima grande e posata. Quest’anima si mostra nel volto del Laocoonte…»

Così Winckelmann, uno fra i massimi teorici ed esponenti del Neoclassicismo, si esprime nei confronti di questo complesso gruppo marmoreo, in accordo con il suo ideale riassunto dall’espressione  “nobile semplicità e quieta grandezza”, caratteristica attribuita all’arte classica greca come fonte di assoluta armonia tra le parti.

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Il gruppo del Laocconte suscitò interesse sin dalle sue origini, il ruolo unificante delle linee spiraliformi dei serpenti è stato colto dal più autorevole commentatore dell’opera nell’antichità: il romano Plinio il Vecchio, il quale vedendo l’opera nel palazzo dell’ imperatore Tito ne esaltò i “grovigli meravigliosi”.

L’opera, realizzata nella seconda metà del I secolo a.C. nel florido ambiente ellenistico dell’isola di Rodi, tratta di un episodio del ciclo epico Ilioupèrsis, reso noto dal poeta latino Virgilio che lo riprese nell’Eneide. Laocoonte era un sacerdote troiano di Apollo che, durante l’assedio di Troia da parte degli Achei, cercò di dissuadere i suoi concittadini dal fidarsi del cavallo di legno lasciato dai nemici. Per volere della dea Atena, che aveva già stabilito l’esito della guerra con la vittoria degli Achei, due serpenti marini aggredirono lui e i suoi due figli al fine di non comprometterere il disegno divino.

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La rappresentazione di un momento drammatico e la ricerca dell’espressione del dolore si inseriscono perfettamente nell’ambito dell’arte figurativa ellenistica che recupera, da un lato elementi stilistici della tarda Età classica ma li reinterpreta in senso realista tramite la ricerca di vitalità e spazialità, senso del movimento e virtuosismo. Il realismo si evince soprattutto, come nella produzione letteraria del tempo, dall’importanza e dignità date ad aspetti emotivi e psicologici riferiti alla condizione umana.

Questa ricerca della bellezza affiancata alla rappresentazione della verità umana però non si traduce in una riproduzione effettiva delle passioni. Il gruppo del Laocoonte suggerisce un forte senso drammatico non attraverso posizioni scomposte o espressioni esageratamente contratte, ma tramite soluzioni teatrali ed esteriorizzanti che rivelano un’estrema dignità del personaggio anche nel momento del dolore. Ci suggerisce ancora una volta Winckelman: «Crediamo quasi di sentire noi stessi, quel dolore – io dico – non si esprime affatto con la rabbia nel volto o nell’intera posizione. Egli non leva alcun grido orribile…».

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Gotthold Ephraim Lessing, scrittore, filosofo e drammaturgo tedesco ritenuto un importante esponente dell’Illuminismo letterario e filosofico germanico, dedica al Laocoonte un saggio di estetica : “Laocoonte, dei limiti della pittura e della poesia”, nel quale riflette sui diversi mezzi che le arti figurative e quelle letterarie usano, avendo in comune il fine di imitare la natura.

Secondo Lessing, la poesia non è accostabile alla pittura o alla scultura poiché opera “nel tempo”, mentre le arti figurative operano nello “spazio”, devono raffigurare «i corpi e le realtà sensibili di questi» nello spazio e perciò possono rappresentare «solo un unico momento dell’azione». L’opera, dunque, deve passare per una concettualizzazione filosofica che renda l’idea delle passioni provate dal corpo ma  imbrigliate in una statica compostezza. L’opera deve sia suggerire l’instante precedente l’azione, sia quello immediatamente successivo, e questo principio è pienamente riscontrabile nel gruppo scultoreo che rende evidente il momento del dilaniamento delle carni e blocca eternamente quell’istante come se Laocoonte, colpevole di avere attentato al volere divino fosse destinato a subire questo martirio per l’eternità.

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BIBLIOTECA CONSULTATA PER LA REDAZIONE DI QUESTO ARTICOLO:

  • Lessing Gotthold E., “Lacoonte”, edizioni Aesthetica, 2007
  • Winckelmann Johann J, “Il bello nell’arte. La natura, gli antichi, la modernità” , Einaudi, 2008