Il sapore dell’arte in Sicilia: analisi di due opere di Renato Guttuso

Di Adriana Riccioli

Arte e cucina regionale: un binomio che mette in relazione due attività che hanno in comune colori, suggestioni, sapori, modalità di esecuzione.

Selezionare ingredienti, dosare spezie e aromi, regolare i diversi tempi di cottura, è del tutto simile allo scegliere i colori, dosarli e disporli sulla tela, sulla tavola o sulla carta. L’abilità, la passione, la creazione estemporanea o meditata hanno per entrambe le occupazioni la stessa natura e gli effetti finali, il piacere del palato e l’emozione del gusto da un lato, quello dell’occhio e dell’anima dall’altro.

In proposito, a collegare le due realtà interviene la creatività di un artista siciliano, riconosciuto a livello internazionale Renato Guttuso (1911-1987) che, sempre fedele alla propria cifra figurativa (realistica, naturalistica) lo è stato anche nei confronti della terra che meglio assecondava le sue caratteristiche, la Sicilia, e questo si può rilevare non solo nelle opere direttamente ispirate o dedicate alla sua isola.

L’amore per la terra che gli ha dato i natali costituisce il sostrato di tutto il suo  percorso artistico.

Come ha scritto Maurizio Calvesi, “la Sicilia chiama” e alla voce di questo grembo materno non si può non rispondere.

E’ proprio questo legame viscerale con la sua terra, l’elemento più significativo dell’opera dell’artista di Bagheria, quello da cui scaturisce l’arte sociale che lo caratterizza e che gli fa dipingere braccianti, contadini (“io sono uno dei loro, sostiene, i loro volti mi vengono continuamente davanti agli occhi, qualunque cosa io faccia”), pescatori, gente umile…,legame che emerge chiaramente nel dipinto “Vucciria”(forte brusio, chiacchiericcio, più suggestivo del termine francese boucherie, macelleria).

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L’olio su tela, di dimensioni considerevoli (300×300cm.), realizzato nel 1974, rappresenta una testimonianza del suo modo di esprimere l’anima siciliana, una sicilianità che come ha affermato Cesare Brandi non è folchlore, ma consonanza segreta che lega alla madre, fluido che monta da terra e per le vene risale il corpo, lo irrora come un altro sangue.”

Questo cordone ombelicale, nelle opere del pittore, fa riemergere miti mediterranei e mercati arabi, ricordo della dominazione passata. La“grande natura morta con figure,” come Guttuso ha definito il suo quadro, una specie di souk, non si sa se più arabo o italiano, ricostruisce il mercato della Vucciria a Palermo, un luogo vivacissimo in cui “banniaturi”(venditori ambulanti) ed acquirenti s’incontrano, dialogano ed effettuano contrattazioni. Ancora oggi, esso è agorà, luogo di confluenza e di attrazione, spazio in cui i prodotti esposti in vendita sulle bancarelle, dalle corone di salsicce alle frattaglie, ai pomodori di un rosso vivo, dalla ricca varietà di pesci, su cui emergono le guglie dei pescespada fino al quarto di bue appeso al gancio e alla frutta profumatissima, indicano la loro realtà di ingredienti appetitosi e stuzzicanti di cui si avvale la cucina siciliana.

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Dinanzi alla bontà e alla freschezza di tali prodotti che occhieggiano dalla tela vien da chiedersi se, più che di natura morta si debba parlare invece di natura viva come ha scritto Cesare Brandi.

Il mercato, infatti, con il suo vocio, la cantilena quasi araba dei banniaturi, oltre che con la fragranza della merce esposta, evoca senza ombra di dubbio l’idea di vita, di società, di alimenti per cui vengono effettuate vivacissime transazioni tra gente che vende e gente che compra l’essenziale e talvolta anche il superfluo per nutrirsi e quindi vivere e, data la varietà e la bontà dei prodotti, nutrirsi con gusto, con soddisfazione.

Ma non è solo con “Vucciria” che Guttuso celebra la sua terra e i suoi abitanti.

Anche il dipinto “Pesca del pescespada a Scilla” (1949-50) evidenzia il rapporto privilegiato che il pittore ha sempre avuto con la Sicilia e in particolare con la città dello Stretto e con Scilla in Calabria, un rapporto che oltre a scaturire da ragioni familiari (la madre Giuseppina era nata proprio a Messina) aveva motivazioni culturali, come ad esempio, la formazione del “Gruppo dei Quattro”, un movimento artistico che propugnava un rinnovamento estetico in chiave realista, contro i modelli novecenteschi o quello della “Scuola di Scilla”, che aveva come obiettivo fondamentale di attingere alla natura, all’attività giornaliera dei lavoratori umili, visti in chiave epica e non come gente da sfruttare.

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Proprio in riferimento al dipinto su indicato, il critico Giuseppe Marchioni ha riconosciuto che la “fantasia dell’artista e il suo legame col territorio natale ha sollevato l’episodio della vita quotidiana nella realtà del mito”.

Da ciò deriva il clima di sacralità che il pittore imprime alla illustrazione della “pesca del pescespada”(ricordata da Modugno in una sua famosa canzone) dove la fatalità costringe col suo potere l’uomo e il pesce a partecipare insieme ad un destino di vita e di morte.

Ecco perché la rappresentazione del pescatore, posto sull’albero del “luntro” (antica, agile, imbarcazione) per avvistare la preda continua a provocare grandi suggestioni ed emozioni nei fruitori dell’opera, le stesse che nel corso dei secoli ad oggi, determina la visione dei mosaici del frigidarium delle Terme Vigliatore(I sec.d.C) a Castroreale e quelli della Villa del Casale a Piazza Armerina(III-IV sec.d.C).

Entrambe le opere costituiscono infatti chiara testimonianza non solo dell’eccellente livello artistico presente nel territorio ma anche prova inconfutabile dell’intimo rapporto che lega ancora nel tempo presente l’uomo siciliano alla propria terra e quindi al mare che la circonda, fonte per lui inesauribile di vita, di sacrificio e di creatività.

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