Il restauro tra Riforma e Controriforma

Di Laura Corchia

Gli anni della Controriforma, oltre a produrre enormi conseguenze storiche, politiche e religiose, ebbero delle ripercussioni anche sulle vicende conservative delle opere d’arte.

I Padri Conciliari assegnarono all’arte un carattere strumentale e, di conseguenza, occorreva porre un freno alla libertà rappresentativa degli artisti. Secondo i nuovi dettami, la pittura doveva essere chiara e doveva essere il testo per coloro che non sapevano leggere. Nacque tutta una letteratura rivolta al ruolo dell’arte e questo comportò nuove creazioni artistiche e l’adeguamento delle opere già esistenti. Alcune iconografie furono addirittura eliminate.

Dal punto di vista architettonico, le chiese subirono delle sostanziali modifiche. Furono eliminati i tramezzi, luoghi tradizionalmente deputati ad accogliere le icone dipinte e le enormi croci. L’altare maggiore assunse dimensioni monumentali, mentre i laterali furono uniformati alle campate. Queste operazioni comportarono la perdita di numerosi affreschi e le trasformazioni di molti dipinti per adattarne le dimensioni e per collocarli dunque nei nuovi altari.

Singolare è la vicenda che coinvolse la Trinità di Masaccio. Vasari, incaricato di seguire le operazioni di modifica delle strutture, decise di montare il nuovo altare in modo da non arrecare danni al dipinto. Per secoli, l’opera è stata nascosta finché, dopo l’Unità d’Italia, si decise di restituire alle chiese il loro aspetto medievale e venne smontato l’altare vasariano. Gaetano Bianchi, importante restauratore fiorentino dell’epoca, eseguì lo stacco dell’affresco e la sua collocazione sulla controfacciata della chiesa. A metà Novecento, la brillante intuizione di Ugo Procacci portò alla scoperta che sotto la Crocifissione vi era raffigurata una la morte con lo scheletro orizzontale e con la scritta che spiega la morale dell’opera. Fu così che Leonetto Tintori, altro importante restauratore, eseguì lo stacco di entrambe le porzioni dell’opera e le ricongiunse, in modo da ricostituire l’unità del dipinto.

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Le trasformazioni attuate durante la Controriforma si rilevano dunque fondamentale da indagare al fine di comprendere le eventuali dispersioni delle opere.

Nel Cinquecento, la tecnica dello stacco a massello era molto diffusa. Vasari ricorda che nel 1515 Francesco I si era talmente invaghito dell’Ultima Cena di Leonardo da ipotizzarne lo stacco a massello in un sol pezzo per portarselo in Francia. Questa tecnica ha però i suoi limiti e, in alcuni casi, può portare al danneggiamento delle opere.

Ugualmente dannose si rivelavano le continue manutenzioni a cui venivano sottoposti gli edifici. Un esempio ben documentato è quello della Cappella Sistina che, per il continuo uso che se ne faceva, presentava le pareti annerite dal fumo delle lampade. Al compito attendeva il domestico di Michelangelo, tal Francesco Amadori, che era stato incaricato di mantenere pulite le pitture. Fino all’avvento della chimica, per effettuare la pulitura si impiegavano materiali “umili”, tratti dalla vita quotidiana: vino o aceto per solubilizzare il nero fumo e mollica di pane per incorporare le particelle di sporco.

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La volta della Cappella Sistina fu poi restaurata dopo il 1565, dal momento che un lieve terremoto aveva provocato la caduta di alcuni frammenti di pittura. Il lavoro fu eseguito da Domenico Carnevale da Modena che, in maniera frettolosa, aveva adoperato gli stessi frammenti dell’intonaco caduto come materiale da riempimento, stendendovi poi sopra una leggera mano di intonaco nuovo e ridipingendo la parte.

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Anche il Giudizio Universale fu oggetto di interventi abbastanza pesanti. Durante il Concilio di Trento, alcuni religiosi accusarono Michelangelo per il troppo ardire, in quanto tutti i personaggi erano ignudi, tranne le figure del Cristo e della Vergine, e potevano perciò suggerire pensieri licenziosi in chi li guardava. Daniele da Volterra fu dunque incaricato di coprire con dei veli e con dei panneggi le nudità dei personaggi. Il restauro moderno ha scoperto che nel Giudizio l’intervento di tipo censorio è durato fino al Settecento. Si è deciso di mantenere le ridipinture più antiche, anche perché essendo rifatte ad affresco non si sarebbe recuperato niente al di sotto di esse, mentre sono state eliminate le ridipinture più moderne.

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Una trasformazione a carattere devozionale e non censorio, avvenuta nel Seicento, si ritrova nella Madonna con il Bambino attribuita a Beato Angelico. Alla Vergine era stato posto in mano il Rosario (attributo iconografico che solitamente non si ritrova nel Quattrocento) e ai lati erano stati inseriti due vasi con gigli. Inoltre, era stata aggiunta un’iscrizione. Il restauro moderno ha optato per l’eliminazione di tutte le aggiunte antiche.

Un caso contrario è rappresentato dal restauro della Croce di Montalve, risalente alla metà del Duecento. Nel Seicento, furono aggiunti San Giovanni e la Madonna dolenti, gli angeli ai lati (uno dei quali raccoglie il sangue di Cristo) e in basso la Maddalena con gli unguenti. Alla figura del Cristo era stata aggiunta la corona di spine e l’effluvio sanguinisera stato incrementato. In fase di restauro, effettuato dall’Opificio di Firenze, ci si accorse che sul retro era posta un’iscrizione che raccontava le vicende della Croce. I restauratori, ritenendo le aggiunte come un valore da rispettare, hanno deciso di conservarle.

Un altro aspetto da considerare è la rivalutazione delle reliquie, fenomeno che portò alla trasformazione di alcuni dipinti in reliquiari. È questo il caso della Madonna della febbre di Francesco da Rimini, la cui cornice fu modificata per accogliere i sacri frammenti.

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