Il macabro e il reale: il Giano Bifronte della contemporaneità in Andrei Molodkin

di Rubino Angela Federica

L’artista Andrei Molodkin nasce in Russia e investe gran parte della sua produzione artistica nella realizzazione di opere dalla forte valenza concettuale, dotate di un linguaggio proprio e originale rispettato nella gran parte dei suoi lavori, in cui si presenta un reale sincretismo tra il significato dei materiali e l’impegno socio-politico. Andrei Molodkin può, senza dubbio, fornirci, mediante il suo apparato artistico, dei filtri funzionali alla lettura degli avvenimenti di politica economica a noi coevi, non solo su scala mondiale, ma sopratutto circa la situazione italiana attuale ed anche in questo consiste la sua rilevanza. Alcuni dei suoi lavori sono caratterizzati da installazioni ambientali composte dalla ripetizione sistematica di monolitici blocchi in ferro, dipinti di nero, e raffiguranti visivamente delle lettere, che a loro volta compongono delle parole: le lettere sono dissestate, confuse, e l’intera installazione sembra in costruzione, in fieri, ed è così possibile cogliere un sottile parallelismo tra la sconnessione visiva delle nere lettere, che compongono parole quali government o ancora capitalism, con la condizione politica, ma soprattutto umana, contemporanea. Un’altra declinazione del genio dell’artista è caratterizzata dalla creazione di installazioni ambientali realizzate attraverso box acrilici volti a formare anch’essi delle parole, come ¥€$, Fuck o Democracy, oppure incavati in modo da assumere la conformazione di figure riconoscibili e presenti nella quotidianità, e irrorati di petrolio greggio e talvolta di sangue umano, creando un ambiente ansiogeno degno della filmografia del regista Dario Argento. Questi lavori hanno una trama sinestetica poiché accompagnati da rumori cadenzati, ritmici, prodotti da un sistema di pompe idrauliche che pompano sangue all’interno dello spazio interno dei box, i quali ricordano un orologio rallentato, uno stanco cuore palpitante in procinto di spegnersi del tutto, ma in grado di battere ancora, come la democrazia occidentale, nata con l’umanità, lambendone le gesta sin dalla sua fase protointellettuale venuta alla luce nella Grecia Antica. In particolare, l’incavatura di uno dei box richiama i lineamenti della Nike di Samotracia, una scultura in marmo di scuola rodia, dea della Vittoria, nonché simbolo dell’ellenismo greco, periodo di forte rinnovamento culturale e di fermento creativo, anch’essa riempita di fluido sanguigno come a simboleggiare un’arteria fondamentale all’interno del corpo dell’intera tradizione artistico-culturale occidentale figlia del logocentrismo e di una storica e millenaria apertura verso l’altro, messa attualmente a dura prova. Intercorre, dunque, una similitudine tra sangue e petrolio all’interno del messaggio espresso dall’artista? Sono interscambiabili ermeneuticamente? Riflettendo sul potere che l’Occidente ha esercitato,  ed esercita ancora, sui territori in possesso dell’oro nero e sugli esseri umani che li abitano, è facile intuire come la presa di posizione di Molodkin sia radicalmente critica e di quanto il petrolio spesso sia più importante del sangue delle vittime che miete, di quanto sia esso stesso macchiato di sangue, del sangue dei “dannati della terra”, richiamando il titolo del testo del filosofo francese Frantz Fanon, ovvero coloro i quali subiscono le violenze di un potere soverchiante, che fuggono da situazioni di conflitto, ricevendo l’etichetta di immigrati. La democrazia stessa è macchiata di sangue e il suo trionfo è una vittoria dalle ali spezzate, acefala, sfregiata, usurpata, che probabilmente non potrà mai più spiccare il volo a causa del fardello demoniaco che si trascina in termini di vite umane. La complessità dello spirito dell’artista induce alla problematizzazione del dato quotidiano, mira a sensibilizzare l’osservatore, che è probabilmente anche elettore, circa le condizioni di violenza, precarietà, sradicamento, in cui versa la trama sociale a causa del capitale globale e delle oligarchie finanziarie, mostrandoci ancora una volta come l’operato di un artista possa essere di fatto foriero di riflessioni impattanti circa l’effettività del reale, calandoci in giochi linguistici e campi semantici grazie al significante dischiuso dal suo fenomeno artistico. La portata speculativa della produzione di Molodkin rimanda ad un ripensamento dell’attualità e delle linee essenziali della  nostra civiltà, a duecento anni dalla nascita del filosofo di Treviri Karl Marx, strettamente sposata con le istanze economiche mondializzate, le quali sono immerse pragmaticamente in un regime etico di matrice plautina, dove l’uomo è lupo per l’altro, nelle cui maglie perdura una condizione antropologica, dalle tinte hobbesiane, di costante guerra di tutti contro tutti.

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