Il Beato Angelico: la sacra luce della pittura

di Laura Corchia

“Angelicus pictor quam finxerat ante Johannes, nomine non Jotto non Cimabove minor.”

(Domenico di Giovanni da Corella, Theotokon, 1469)

La critica ha considerato a lungo il Beato Angelico come un pittore attardato rispetto alla pittura progressista prodotta dal contemporaneo Masaccio. In realtà fu uno dei primi artisti fiorentini ad assimilarne la lezione e rielaborarla alla luce delle personali esperienze.

Guido di Pietro, più comunemente noto come frate Giovanni da Fiesole o Beato Angelico, nacque tra il 1385 e il 1400 nella cittadina di Vicchio nel Mugello.

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Come osservava il Vasari, già nel 1417, prima di prendere i voti, Beato Angelico figurava come pittore a Firenze: “arebbe potuto comodissimamente stare al secolo, e oltre a quello che aveva guadagnarsi ciò che avesse voluto con quell’arti che ancor giovinetto benissimo far sapeva; e nondimeno, per sua soddisfazione e quiete, essendo di natura posato e buono, e per salvar l’anima sua principalmente volle farsi religioso dell’ordine de’ Frati Predicatori.”

La sua formazione è debitrice di Lorenzo Monaco e di Gherardo Starnina: dal primo apprese l’uso di colori innaturali e accesi e di una luce fortissima. Le sue opere, pervase da un forte sentimento religioso, si caratterizzano per una visione più attenta al dato reale.

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Vergine di Detroit
Vergine di Detroit

Nel 1420 divenne frate nel convento di San Domenico di Fiesole e nel 1427 fu coinvolto nella ricostruzione del convento domenicano di San Marco. L’intera decorazione interessò gli spazi collettivi e privati e, per la prima volta nella storia, le celle monastiche accolsero affreschi sulle pareti che avevano il compito di favorire la riflessione e la meditazione dei monaci. L’Angelico adottò un linguaggio essenziale e simbolico, fatto di colori tenui e di una smorzata lucentezza.

Nel 1447 fu chiamato a Roma da papa Niccolo V per affrescare la cappella Niccolina. Anche in questo caso, l’artista diede propria di una straordinaria duttilità, dando vita ad un ciclo di chiaro stampo umanistico. A tal proposito, il Landino disse di lui: “angelico et vezoso et divoto et ornato molto con grandissima facilità”. 

Consacrazione di san Lorenzo come diacono, Cappella Niccolina, Roma
Consacrazione di san Lorenzo come diacono, Cappella Niccolina, Roma

La sua arte, profondamente intrisa della nuova cultura prospettica quattrocentesca, non dimentica però le raffinatezze dello stile medievale che si era lasciato alle spalle. In questo difficile e raffinato equilibrio tra passato presente dunque sta tutto il segreto della sua personalissima idea di pittura. I suoi personaggi hanno corpi solidi ma, nello stesso tempo, risultano sempre sospesi in un’atmosfera di solenne spiritualità. I colori vivaci e la luce perennemente mattutina rimandano ad una visione simbolica della realtà, nelle quale fede e ragione coesistono con estrema naturalezza.

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Beato Angelico, Imposizione del nome del Battista, ante 1435, Ospizio dei Pellegrini, Museo di San Marco, Firenze

Beato Angelico si spense a Roma il 18 febbraio 1455. La sua lastra tombale è ancora oggi visibile, vicino all’altare maggiore. Su di essa si legge: “Qui giace il venerabile pittore Fra Giovanni dell’Ordine dei Predicatori. Che io non sia lodato perché sembrai un altro Apelle, ma perché detti tutte le mie ricchezze, o Cristo, a te. Per alcuni le opere sopravvivono sulla terra, per altri in cielo. la città di Firenze dette a me, Giovanni, i natali”. 

“…l’Angelico rappresenta, grosso modo, nel quadro delle correnti intellettuali della prima metà del Quattrocento, la filosofia tomista in opposizione alla filosofia neo-platonica personificata dall’Alberti. Ma egli stabilisce altresì la possibilità di mediazione tra le due espressioni. È lui che, tra il realismo di Donatello e le teorie di storicità dell’Alberti, ha creato il compromesso del naturalismo, aprendo così la via a un’arte che non è più una rappresentazione immobile, ma, al contrario, un discorso animato, un colloquio umano. È lui che traccia la strada che più tardi percorreranno tutti i grandi pittori di “racconti” del Quattrocento, da Benozzo Gozzoli al Ghirlandaio; ed è ancora lui, infine, che ha identificato nella luce quel principio di qualità che permette all’esperienza umana, limitata e attaccata alla “quantità”, di elevarsi fino a comprendere l’idea suprema dell’essere. Piero della Francesca partirà di qui per raggiungere quell’identità di spazio e di luce che è la sintesi di tutti i grandi temi dell’arte nei primi anni del XV secolo: la ricerca di una conoscenza che ha dell’umano e del divino, di una forma che possa esprimere altrettanto bene il dramma e il contrasto della vita umana, e le leggi eterne e razionali della natura”. (Giulio  Carlo  Argan, Fra Angelico, 1955).

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