Gli affreschi di Castel Sant’Angelo: meraviglie del Cinquecento romano

a cura di L’Asino d’Oro Associazione Culturale

Castel Sant’Angelo è tra i monumenti più antichi di Roma: nato come mausoleo per volere dell’imperatore Adriano nel 123 d.C., diventò in epoca medioevale un avamposto militare e una fortezza inespugnabile. Ma la sua più importante trasformazione si ebbe in epoca papale: a partire dal 1367 infatti le chiavi dell’edificio vennero consegnate a papa Urbano V, per sollecitare il rientro della Curia a Roma dall’esilio avignonese e da questo momento il monumento si legò fortemente ai pontefici, i quali lo adattarono a propria residenza.

Castel Sant Angelo_Loggia degli appartamenti papali

Tra i papi che più si adoperarono a rendere la dimora ricca e sontuosa, vi furono Alessandro VI Borgia che chiamò il Pinturicchio (i cui lavori sono però andati perduti); Giulio II della Rovere che scelse Giuliano da Sangallo e Paolo III Farnese che si rivolse invece a Perin del Vaga. Di tutto quello che questi artisti realizzarono, oggi possiamo ammirare le due splendide Logge – realizzate l’una per volere di Giulio II e l’altra da Paolo III – e le ricche sale degli appartamenti privati, interamente decorati ad affresco da un gruppo di pittori legati alla scuola di Raffaello e capeggiati da Perin del Vaga.

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Sala Biblioteca (1)

Il fastoso complesso plastico pittorico della Sala Paolina, salone di rappresentanza della residenza, costituisce infatti, da solo, uno degli episodi artistici principali del Cinquecento romano. La decorazione fu progettata tra il 1545 e il 1547 da Perin del Vaga che la realizzò con una vasta équipe di collaboratori, comprendente Pellegrino Tibaldi, Domenico Rietti (detto lo Zaga), Marco Pino, Girolamo Siciolante, Livio Agresti e Giacomo Bertucci (detto Giacomone da Faenza). Tra stucchi, pannelli a grottesche, emblemi papali e cartigli in greco – omaggio alla cultura umanista del papa – ben si distinguono i riquadri ad affresco con gli episodi della vita di Alessandro Magno e i tondi monocromi con le Storie di San Paolo. E non sono due personaggi casuali, ma anzi vogliono celebrare lo stesso Paolo III, attraverso l’omonimia con il suo nome di battesimo (Alessandro Farnese) e con quello scelto per il pontificato. Sulle pareti brevi della sala poi la compresenza delle figure dell’imperatore Adriano e dell’Arcangelo Michele evidenziano la rinnovata centralità di Roma, lo sforzo di ristabilire una continuità tra la grandezza passata della Caput Mundi imperiale e il tradizionale ruolo di capitale della Cristianità sotto la guida del Papato, messo in discussione, nei decenni precedenti, dalla Riforma luterana del 1517 e dal Sacco di Roma operato dai Lanzichenecchi del 1527.

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Bagno Clemente VII

Nelle due stanzette laterali invece, protagonisti del ciclo decorativo sono due importanti miti pagani. Nello studiolo di Paolo III, la Sala del Perseo, un fregio affrescato corre lungo le pareti e racconta le imprese dell’eroe greco che sconfigge Medusa, libera Andromeda dal mostro marino e pietrifica i suoi avversari superando innumerevoli avversità, grazie al proprio ingegno e alla determinazione. Si tratta di una indiretta celebrazione delle virtù del committente, che esprime la fiducia nel prevalere dell’intelletto sulle forze irrazionali ed oscure, in riferimento alla lotta contro la Riforma luterana, intrapresa proprio allora da Paolo III con l’apertura del Concilio di Trento.

Sala Paolina

Nella vicina Sala di Amore e Psiche, camera privata del pontefice, la presenza di un mito così carico di sensualità si spiega invece leggendo la favola in chiave cristiana: Psiche era considerata come la personificazione dell’anima (in greco Psyché significa infatti “anima”) e le prove sostenute costituivano un difficile ma necessario percorso per meritare la salvezza eterna, attraverso l’elevazione spirituale. Piccoli gioielli artistici dell’appartamento sono poi il bagnetto di Clemente VII Medici, che chiamò Giovanni da Udine, allievo di Raffaello, uno dei più abili specialisti di grottesche e stucchi all’antica, ad affrescare l’ambiente con una fitta decorazione ricca di sfingi, delfini, fantasiosi animali marini, simboli araldici e scene mitologiche allusive all’elemento dell’acqua; il corridoio pompeiano, il passaggio che collega la Sala Paolina alla Sala della Biblioteca, così chiamato per la fitta decorazione a grottesche che lo riveste interamente. L’ultima grande sala di rappresentanza della residenza è la Sala della Biblioteca, impreziosita tra il 1544 e il 1545 da un sfarzoso apparato decorativo ad opera di Luzio Luzi da Todi, qui attivo alla guida di un articolato cantiere di artisti, chiaramente ispirato a quella della Sala della Volta dorata della Domus Aurea di Nerone. Un capolavoro assoluto che fece guadagnare all’artista l’appellativo di Luzio Romano, proprio per la capacità di imitare e rivitalizzare lo stile decorativo degli antichi complessi di età imperiale, adattandolo al gusto del suo tempo.

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