Giuseppe Sanmartino e il mistero attorno al “Cristo velato”

di Laura Corchia

Posto al centro della navata della Cappella Sansevero, il ‘Cristo velato’ (1753) di Giuseppe Sanmartino è una delle opere più note e suggestive al mondo. La scultura fu commissionata da Raimondo di Sangro a Giuseppe Sanmartino, un giovane artista napoletano. Nelle intenzioni del committente, l’opera doveva rappresentare “Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua”.

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L’artista scolpisce la figura sotto un sudario che sembra ancora palpitare di vita. La figura del Cristo morto, scarnificata dal martirio, è misericordiosamente accolta dalle morbide coltri. Le pieghe del velo tormentate e caratterizzate da un ritmo convulso incidono una sofferenza profonda, quasi che la pietosa copertura rendesse ancor più nude ed esposte le povere membra, ancor più inesorabili e precise le linee del corpo martoriato. La fronte è attraversata da una vena gonfia e palpitante, il costato è scavato e liberato dalla sofferenza, mentre i piedi e le mani lasciano intravedere le trafitture dei chiodi. Lo scultore “ricama” minuziosamente i bordi del sudario o si sofferma sugli strumenti della Passione posti ai piedi del Cristo.

Se si volesse cercare un parallelo in pittura, la mente correrebbe subito al bellissimo Cristo morto di Brera dipinto da Andrea Mantegna tra il 1475 e il 1478.

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Questa straordinaria opera è stata meta di pellegrinaggi fin dal XVIII secolo. I visitatori, di fronte a questo miracolo dell’arte, sono da sempre rimasti sconcertati e rapiti. Tra i moltissimi estimatori si ricorda Antonio Canova, che durante il suo soggiorno napoletano provò ad acquistarlo e si tramanda dichiarasse in seguito che avrebbe dato dieci anni di vita pur di essere lo scultore di questo marmo incomparabile.

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E ancora: nelle sue memorie di viaggio il marchese de Sade esaltò “il drappeggio, la finezza del velo […] la bellezza, la regolarità delle proporzioni dell’insieme”; Matilde Seraoconsacrò in un densissimo scritto tutta la passione significata dalle fattezze del Cristo; il maestro Riccardo Muti ha scelto il volto del Cristo per la copertina del suo Requiem di Mozart; lo scrittore argentino Hector Bianciotti ha parlato di “sindrome di Stendhal” al cospetto del velo marmoreo “piegato, spiegato, riassorbito nelle cavità di un corpo prigioniero, sottile come garza sui rilievi delle vene”. Da ultimo, in un’intervista rilasciata a «Il Mattino», Adonis, uno dei più grandi poeti contemporanei, ha definito il Cristo velato “più bello delle sculture di Michelangelo”.

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Ciò che stupisce di più è la trasparenza del velo, quasi frutto di un misterioso prodigio. Raimondo di Sangro era noto per le sue attività di alchimista e di audace sperimentatore. Per molto tempo si è creduto, infatti, che il velo fosse frutto di un processo alchemico di “marmorizzazione” compiuto dal principe di Sansevero. In realtà la scultura è interamente realizzata in marmo, ricavata da un unico blocco di pietra, come si può constatare da un’osservazione scrupolosa e come attestano vari documenti coevi alla realizzazione della statua. Ricordiamo tra questi un documento conservato presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli, che riporta un acconto di cinquanta ducati a favore di Giuseppe Sanmartino firmato da Raimondo di Sangro (il costo complessivo della statua ammonterà alla ragguardevole somma di cinquecento ducati). Nel documento, datato 16 dicembre 1752, il principe scrive esplicitamente: “E per me gli suddetti ducati cinquanta gli pagarete al Magnifico Giuseppe Sanmartino in conto della statua di Nostro Signore morto coperta da un velo ancor di marmo…”. Anche nelle lettere spedite al fisico Jean-Antoine Nollet e all’accademico della Crusca Giovanni Giraldi, il principe descrive il sudario trasparente come “realizzato dallo stesso blocco della statua”. Lo stesso Giangiuseppe Origlia, il principale biografo settecentesco del di Sangro, specifica che il Cristo è “tutto ricoverto d’un lenzuolo di velo trasparente dello stesso marmo”.

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La leggenda del velo, però, è dura a morire. L’alone di mistero che avvolge il principe di Sansevero e la “liquida” trasparenza del sudario continuano ad alimentarla. D’altra parte, era nelle intenzioni del di Sangro suscitare meraviglia: non a caso fu egli stesso a constatare che quel velo marmoreo era tanto impalpabile e “fatto con tanta arte da lasciare stupiti i più abili osservatori”.

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Fonte: Museo Cappella Sansevero