Giove l’amò a tal punto da trasformarsi in pioggia d’oro: il mito di Danae

Di Laura Corchia

Figlia del re di Argo, Danae fu rinchiusa dal padre in una stanza sotterranea perché un oracolo aveva predetto che sarebbe stato ucciso da suo nipote.

Giove tuttavia, invaghitosi della bella principessa, riuscì a penetrare nella stanza sotto forma di pioggia d’oro. Da questa unione nacque Perseo che, per errore, uccise davvero il nonno Acrisio.

Il mito è narrato da Ovidio nelle Metamorfosi: 

Il mito di Danae era molto diffuso tra gli artisti rinascimentali, i quali, illustrando l’episodio, potevano dedicarsi alla raffigurazione del nudo. La giovane viene spesso raffigurata adagiata su un morbido letto, circondata da cuscini. Lo sguardo è rivolto verso l’alto, dove la pioggia dorata cade copiosa. A volte, compare un’ancella che distende il proprio grembiule per accogliere la pioggia preziosa.

La storia dell’arte è ricca di dipinti che raffigurano Danae. Una delle immagini più note è quella eseguita da Tiziano nel 1545.

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L’opera, cioè sarebbe da considerare una raffigurazione erotica, creata per il diletto di un giovane principe e, pertanto, a lungo si è creduto che fosse stata commissionata da Ottavio Farnese.

Il ritrovamento del carteggio del 1544 del nunzio papale, Monsignor Giovanni Della Casa, indirizzato al cardinale Farnese, sembra non lasciar dubbi: Tiziano, scriveva Monsignor Della Casa «…lha presso che fornita, per commession di Vostra Signoria Reverendissima, una nuda che faria venir il diavolo addosso al cardinale San Sylvestro…». Al confronto di questa “nuda”, continua Della Casa, «quella che Vostra Signoria Reverendissima vide in Pesaro nelle camere de’ l Signor duca d’Urbino è una teatina appresso a questa».

Della Casa continua nella lettera aggiungendo che il Farnese aveva mandato a Tiziano una miniatura che raffigurava la cognata della signora Camilla perché ne facesse il ritratto. Ma il pittore aveva avuto l’idea folgorante: applicare la testa della cognata sul corpo della “nuda”. Secondo Monsignor Della Casa, dunque, la Danae non sarebbe altro che il ritratto nudo dell’amante del Farnese, tale Angela, cognata appunto di Camilla Pisana, celebre cortigiana dell’epoca.

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Il quadro venne iniziato a Venezia e terminato a Roma. L’opera fu vista anche da Michelangelo e fu così descritta: «in un quadro che allora aveva condotto, una femina ignuda figurata per una Danae, che aveva in grembo Giove trasformato in pioggia d’ oro e molto, come si fa in presenza, gliene lodarono». In privato, tuttavia espresse serie riserve, riportate dal Vasari: «il Buonarruoto lo comendò assai, dicendo che molto gli piaceva il colorito suo e la maniera, ma che era un peccato che a Vinezia non s’imparasse da principio a disegnare bene e che non avessono quei pittori il miglior modo nello studio». Soprattutto Michelangelo nota alcune imperfezioni della gamba, certo che se Tiziano avesse «disegnato assai e studiato cose scelte, antiche o moderne» avrebbe saputo«aiutare le cose che si ritranno dal vivo dando quella grazia e perfezione, che dà l’arte fuori dell’ordine della natura, la quale fa ordinariamente alcune parti che non sono belle».

L’esame a raggi X del quadro ha rivelato due elementi che fanno riflettere: il primo è la mancanza di disegno al di sotto della pittura. Già Michelangelo aveva notato, come detto prima, l’assenza di disegno e di chiaroscuro e la magnificenza del colore. L’esclusione di disegno preparatorio dà alla pittura una connotazione coloristica molto particolare, quasi impressionistica.

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Il secondo elemento rivelato dai raggi X è che esiste, al di sotto di quella visibile, una primitiva composizione con cassoni e domestici, con un esplicito richiamo, quindi, allaVenere di Urbino; il pittore ha poi modificato l’ambiente perché evidentemente troppo domestico per la rappresentazione di un mito altamente erotico e sensuale come quello di Danae.

Lo sguardo è rivolto verso l’alto, avvolto in un’ombra compiacente; il corpo è languido, rilasciato, le gambe, benché coperte da un lembo, sono aperte a ricevere la pioggia fecondante; l’emozione di Danae è tradita dalle pieghe del letto, le cui lenzuola tormenta con la mano destra: in questa versione la principessa di Argo si dona a Giove per amore, come è testimoniato anche dalla presenza del Cupido, di chiara derivazione classica. Non è l’oro che seduce Danae, dunque, ma un reale sentimento erotico.

Le pennellate sono morbide e sfatte, come spesso in Tiziano; il pittore supera, con quest’opera, la troppa sottolineatura della plasticità dei corpi, come nei lavori precedenti, per approdare ad uno stile libero e coloristicamente puro, di cui volle dare dimostrazione proprio nella Roma michelangiolesca. Infatti «… se Tiziano e Michiel Angelo fussero un corpo solo, over al disegno di Michiel Angelo aggiontovi il colore di Tiziano, se gli potrebbe dir lo dio della pittura, sì come parimenti dono anco dèi propri…».

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Spostandoci in ambito contemporaneo, altra versione molto nota è quella data da Gustav Klimt nel 1908-1909. Il mito di Danae è occasione per il maestro di affrontare alcuni dei suoi temi preferiti, ovvero l’erotismo e la fertlità. La composizione ha un taglio quadrato e l’intera superficie è occupata dalla figura rannicchiata della principessa dormiente. Tutto è sogno. Il completo abbandono è sottolineato dalla bocca schiusa e dalla mano mollemente adagiata sui seni. La pioggia d’oro invade la parte sinistra dell’opera e rievoca il trionfo dell’istintività, ulteriormente sottolineato dalla posizione fetale della figura.

 

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