Giacomo Balla: le cose in movimento

di Laura Corchia

“Data l’esistenza della fotografia e della cinematografia, la riproduzione pittorica del vero non interessa né può interessare più nessuno”.

(Giacomo Balla)

Nato a Torino il 18 luglio 1871, Giacomo Balla si interessa precocemente all’arte e alla musica: suona il violino sin dalla tenera età e molto presto inizia anche a disegnare e a dipingere.

Nel 1895 si trasferisce a Roma, città che gli consente di dedicarsi con maggior dedizione alla pittura. Le sue prime opere si caratterizzano per l’intenso verismo attraverso la tecnica divisionista e per una forte attenzione verso le tematiche sociali e ispirate al mondo degli operai e dei poveri.

Giacomo Balla (1871-1958) Donna che cuce, c1897
Giacomo Balla (1871-1958) Donna che cuce, c1897

Dopo un soggiorno a Parigi, nel 1910 aderisce al Futurismo, corrente che abbandona venti anni più tardi in favore di una pittura figurativa fatta di paesaggi e ritratti. La sua aspirazione, come afferma egli stesso, è “l’assoluto realismo”, senza il quale la pittura “cade in forme decorative e ornamentali”. Nonostante questo cambiamento così radicale, Balla è un futurista, un amante della tecnologia e del progresso.

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Affascinato dalla fotografia, cerca di catturare nelle sue opere il movimento, come in una sequenza di fotogrammi sovrapposti. Balla fissa sulla tela le singole fasi del movimento, non percettibili dall’occhio umano. Ciò è particolarmente visibile nel dipinto Dinamismo di un cane al guinzaglio, eseguito nel 1912: come l’artista stesso dice, “il primo studio analitico delle cose in movimento”. Si riconoscono un cane, un guinzaglio e i piedi di una figura femminile. Questi tre elementi appaiono moltiplicati, deformati. Scrive Argan: “Balla che sul tema del dinamismo meditava già da alcuni anni (il famoso Cane al guinzaglio è del 1912), va al di là di Boccioni: prescinde quasi totalmente dall’immagine visiva per dare l’immagine psicologica del moto.La sua ricerca è prevalentemente linguistica: mira a stabilire un codice di segni significanti velocità, dinamismo ecc. Sono concetti che interessano intensamente l’uomo moderno: concetti che vogliono essere espressi visivamente perché la percezione è più rapida della parola, e che non possono essere espressi tramite segni che implichino riferimenti alla natura, perché debbono esprimere qualcosa di naturale, di realizzato mediante congegni meccanici”.

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Giacomo Balla, Dinamismo di un cane al guinzaglio, 1912
Giacomo Balla, Dinamismo di un cane al guinzaglio, 1912

Il suo taccuino comincia a riempirsi di studi sulla velocità. Soggetto prediletto diventa l’automobile, simbolo del progresso e del futuro. Veloce e scattante, questo mezzo di trasporto è raffigurato in modo quasi astratto, attraverso il succedersi di forme disposte lungo linee ora parallele ora convergenti. Se il cane mantiene ancora tracce di verità, l’automobile non è più riconoscibile, ma è fatta attraverso un intreccio di forme che di fatto danno vita ad un’opera astratta. Le linee oblique possono essere interpretate come le scie del veicolo che sfreccia sulla strada. Anche i colori concorrono a rendere il senso del movimento: la tavolozza dell’artista, infatti, si riduce a poche tinte illuminate da qualche accenno biancastro.

Giacomo Balla, velocità d'automobile, 1913
Giacomo Balla, velocità d’automobile, 1913

Tra la fine del 1912 e il 1914, Balla avvia un’altra serie di ricerche denominata Compenetrazioni iridescenti. Protagonista è la luce, scomposta nei suoi colori fondamentali. La luce, indagata nelle sue caratteristiche di puro fenomeno fisico, diviene così un elemento capace di modificare il modo in cui il mondo si presenta ai nostri occhi.

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Giacomo Balla muore a Roma il 1 marzo 1958.

“Fu Giacomo Balla, divenuto nostro maestro, che ci iniziò alla tecnica moderna del divisionismo senza tuttavia insegnarcene le regole fondamentali e scientifiche. Balla era un uomo di assoluta serietà, profondo, riflessivo e pittore nel più ampio senso della parola. […] Fu una grande fortuna per noi di incontrare un tale uomo, la cui decisione decise forse di tutta la nostra carriera. L’atmosfera della pittura italiana era a quel momento la più fangosa e deleteria che si potesse immaginare; in un simile ambiente anche Raffaello sarebbe arrivato appena al quadro di genere!” (G. Severini, Tutta la vita di un pittore, 1946)

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