La foderatura dei dipinti: antiche ricette e orientamenti moderni

Di: Laura Corchia

La foderatura consiste nell’applicazione di una nuova tela per rinforzare quella deteriorata, sulla quale è si trova la pittura. È utile per irrobustire il supporto, ma anche ad ammorbidire e spianare il colore e l’imprimitura e per dare nuova sicurezza e regolarità alla superficie dipinta .
Tale pratica comincia ad essere attuata almeno a partire dal Seicento. Carlo Maratta fece foderare una Natività della Vergine di Annibale Carracci e stessa sorte toccò alla Venere del Pardo di Tiziano .
Nel trattato di Leonardo Fioravanti intitolato De’ Secreti Rationali si danno istruzioni sulla preparazione della colla-pasta: “Si fa colla di farina di formento per adoprarla in diverse cose (…). Tu pigliarai fiore di farina, et distempererai dentro con l’acqua, aggiungendovi una quarta parte di aceto, et per ciascheduna libra di tale materia, vi metterai oncia 1 d’arsenico sottilissimamente macinato (…). Pigliassi adunque tutte queste materie, et si pongano al fuoco, et facciansi bollire fin tanto, che divenni alquanto duretta (…) Questa è la colla di pasta o di farina la qual è fortissima, et mirabile per incollare ogni sorte di carte, et di tele, et altre cose tali.”
Tuttavia, si dovrà attendere il Settecento per ottenere informazioni riguardanti le modalità di esecuzione della foderatura .
Nell’Abecedario Pittorico redatto da Pellegrino Antonio Orlandi viene fornita una esauriente trattazione: “Pitture (…) A foderarle, quando fusse lesa la tela, sopra cui sono dipinte. Levarai la tela dal telaio, e nel rovescio la bagnarai con spugna, & acqua tepida, e così stesa la ponerai in luogo umido, o alla rugiada della notte: provveduta poi una tela nuova, a misura del tuo quadro, farai colla di farina con aceto, e la darai sopra la tela nuova, sopra di cui stenderai il quadro posto sopra una tavola piana, poi con carta oliata, o unta di butirro posta sopra la pittura la calcarai bene con la palma della mano, o la lisciarai con un sasso piano, o lisciatoio di legno, finoché resti tutta unita, e incollata: la ponerai poi tra qualche panno con sopra altra tavola piana pesante, e ivi la lasciarai per due, o tre giorni, e dopo la tirarai in telaio, e vi darai la vernice”.
I due trattati ottocenteschi più ricchi di informazioni sono il già citato Manuale del pittore restauratore di Ulisse Forni e il Restauratore dei dipinti di Giovanni Secco Suardo.
Secondo quest’ultimo, “la foderatura non consiste in sostanza che nell’applicare una tela nuova nuova alla vecchia. Ma, quantunque, isolatamente preso ciò sia della massima semplicità, pure presenta non pochi pericoli, taluno dei quali gravissimi, ed esige perciò somma diligenza, e cognizioni speciali, sia per distinguere i casi, dei quali la foderatura è possibile e conveniente, da quegli altri in cui non lo è, sia per evitare ogni inconveniente, e sia per ottenere un lodevole risultato, cosa impossibile da conseguire, ove non si adottino i mezzi al bisogno” . L’autore elenca poi tutti i casi in cui è utile ricorrere alla foderatura: “quando la tela, per qualsiasi causa, perdette la necessaria robustezza; Quando, essendo stata abbandonata non ben tesa si arricciò; Quando si disseccò e perdette la sua flessibilità; quando fu lacerata o tagliata; Quando il suo colore si raggrinzò o da solo, o insieme con essa; Quando la pittura si distacca dalla mestica; Quando la imprimitura di gesso, perduta la sua forza di coesione, si polverizza insieme al colore e cade”.
Secco Suardo fornisce anche la ricetta della colla da foderatore: “Prendi farina di seme di lino parti una, mettila in una casseruola, nel modo consueto, a 24 parti d’acqua: ponivi anche due parti di colla forte, e falla bollire per una mezz’ora. Ritirala dal fuoco, metti in un vaso parti tre di farina di frumento, ed altrettante di farina di segala, versavi un poco di alla volta il miscuglio che tieni nella casseruola, manipolando con la paletta, acciocché bene si stemperi, poi fallo passare allo staccio, comprimendovelo. Getta le bucce rimaste nello staccio, poni ciò che ne passò in una casseruola, e questa sul fuoco, e rimenando continuamente, portalo alla ebollizione; e quando è ben cotto, vale a dire quando bollì per pochi minuti, ritiralo, che la colla è fatta. Alcuni però, prima che si raffreddi, vi pongono anche una parte di melassa, affinché mantenga sempre un suffciente grado di elasticità. Il che giova molto, ed io lo consiglio”.
Probabilmente, invece, Ulisse Forni delegava la foderatura ad altri artigiani, come si evince dal suo testo: “l’artista stesso (cioè il pittore-restauratore) assista dunque a tutte queste manuali operazioni, onde il proprietario del quadro ed egli stesso non abbiano tardi a dolersi di qualche deterioramento del dipinto, causato soltanto dalla negligenza o pigrizia dell’operatore”.
Quanto all’adesivo da utilizzare, egli suggerisce una colla adatta ai dipinti da collocarsi in ambienti umidi, a base di pasta, colla e mordente oleoso.
Numerosi sono i collegamenti con la Francia, dove la rintelatura era considerata una operazione meccanica, ben distinta da interventi ritenuti più delicati e dunque affidati ai pittori, come il ritocco.

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Guido Reni, Fortuna con la corona in mano, olio su tela, 1637.
Guido Reni, Fortuna con la corona in mano, olio su tela, 1637.

La foderatura “alla fiorentina” appare nel corso del Novecento e assume i caratteri di un procedimento standardizzato, da applicarsi “quando il colore comincia a non avere più adesione con la tela su cui è stato dipinto e tende a distaccarsi (…) si riporta sopra una seconda tela, e tutto torna a posto”.
Un interessante convegno sul tema della foderatura si è svolto nel 1974 a Greenwich. Vi presero parte numerosi restauratori, ognuno dei quali rappresentava un metodo di foderatura e cercava di illustrarne i pregi e, di conseguenza, di giustificarne l’utilizzo. Tra i tanti, Gustav Berger fece una dimostrazione dei suoi metodi di foderatura ed elogiò le virtù del Beva 371 .
Durante tale incontro, emersero per la prima volta degli interrogativi: quali fossero i benefici della foderatura e se non si dovesse foderare affatto e, alla fine, non essendoci un’idea unitaria fu avanzata la proposta di una moratoria, per dare a tutti il tempo di riflettere.
Dal congresso di Greenwich sono stati fatti notevoli progressi e, grazie agli studi condotti, attualmente si hanno più informazioni riguardo la struttura di una tela, la sua reazione all’ambiente esterno e agli interventi di restauro.
I due materiali indispensabili alla foderatura sono una tela e una colla, elementi che entrano a far parte della composizione del dipinto su cui sono attaccati. Il dipinto, dopo la reintelatura, non risulta più composto soltanto dai suoi materiali originali, ma quantomeno è condizionato da quelli apportati dal restauro.
Inoltre, il metodo di applicazione degli stessi influisce pesantemente sull’opera: umidità, calore e peso rappresentano fattori di trasformazione .
Tuttavia, i materiali di origine naturale impiegati nella foderatura presentano degli innegabili pregi e non sempre possono essere sostituiti con sostanze sintetiche. A differenza di quest’ultime infatti, essi sono stati sperimentati per secoli e, di conseguenza, si hanno più informazioni riguardo il loro comportamento, l’interazione con i materiali costitutivi e le alterazioni nel tempo.
L’affinità con i materiali costitutivi è un’altra caratteristica fondamentale, mentre la reversibilità è determinata dalla scelta degli ingredienti e dalla quantità impiegata per la preparazione della pasta da rifodero .
Se le tecniche innovative si rivelano consigliabili per risolvere alcuni problemi su determinate opere, le tecniche antiche presentano un grado di compatibilità e di reversibilità tali da sconsigliarne la sostituzione.
La foderatura a pasta è tuttavia stata frequentemente criticata poiché determina: aumento dell’acidità nel tempo, eccessiva tenacia dell’adesivo impiegato, aspetto rigido che le tele possono assumere dopo l’intervento. Inoltre, umidità, calore e pressione possono alterare la superficie pittorica.
Esistono, tuttavia, casi in cui la foderatura è stata rimossa con facilità, come il san Marco fra sant’Andrea e san Francesco di Andrea Busati, e casi in cui addirittura si è deciso di conservarla, come la Donna con monili di Alessandro Maganza .
Il metodo della foderatura a cera-resina è diffuso nei Paesi del Nord Europa a partire dalla seconda metà del XVIII secolo. Esso sfrutta le naturali caratteristiche della cera d’api: insolubilità nell’acqua e maggiore permeabilità all’umidità nei confronti della paraffina. La foderatura a cera si esegue sulla “tavola calda” ma, sui dipinti di piccole dimensioni, è possibile adoperare ferri da stiro . Tuttavia, la cera-resina ingloba la vecchia e la nuova tela, ma anche la preparazione e il supporto e diviene, dunque, irreversibile . Sebbene la foderatura a cera sia meno sensibile all’umidità rispetto alla foderatura a colla-pasta, essa può disturbare la trasparenza di un olio e può rendere troppo evidenti o troppo trasparenti le preparazioni.
Attualmente si ricorre alla foderatura nei casi in cui la si ritiene veramente indispensabile e ogni opera d’arte viene considerata come un caso a sé. Ogni dipinto, infatti, presenta delle specifiche peculiarità che necessitano di una attenta analisi e ogni operazione deve essere dettata e suggerita dal manufatto stesso.
Gli orientamenti recenti sono rivolti verso metodi meno invasivi, come la foderatura parziale dei bordi con strisce di tela o la controfoderatura che protegge il dipinto con l’ausilio di tele non incollate al supporto originale.
Una valida alternativa alla foderatura è stata proposta da Winfred Heiber in occasione del convegno di Cesmar7 sul “minimo intervento” . Il vecchio metodo di riparazione degli strappi per mezzo di toppe viene sostituito dall’incollaggio dei singoli fili. Egli propone una miscela di colla di storione e colla di amido di frumento, caratterizzata da reversibilità, solubilità in acqua, fluidità e buona lavorabilità.
Una piccola dose di miscela viene prelavata con uno spillo e posta sui lembi dello strappo e, con l’ausilio di un termocauterio, i fili vengono poi riposizionati nella tessitura originale. L’incollaggio deve perseguire due obiettivi: la durabilità nel tempo e la mobilità che deve mantenere il tessuto e che deve essere il più possibile uguale a quella che aveva prima del danno.
Nell’ambito dello stesso convegno, sono stati presentati dal Cesmar7 due casi di “non foderatura”: la Crocifissione di Dro (Trento) e la Crocifissione dell’Abbazia di Novacella (Bolzano) . Buchi e lacerazioni del supporto sono state risanati attraverso l’applicazione di innesti di tela, seguendo, quando è possibile, il metodo del prof. Heiber. Come adesivo è stato scelto l’E.V.A.
Vishwa Rai Mehra ha sviluppato un metodo di foderatura a freddo basato sull’impiego della tavola a bassa pressione e del Plextol B 500, un adesivo che può essere applicato a freddo, ha una eccellente forza coesiva e può essere asportato senza causare danni al dipinto. Può essere utilizzato in una concentrazione molto bassa e, per impedire che penetri nella tela e che raggiunga la preparazione e la pellicola pittorica, si può aggiungere il Nastrosol, un polimero solubile in acqua. Come tela da rifodero è stata proposta la tela di polipropilene , le cui fibre sono chimicamente inerti ed hanno una grande resistenza alle fluttuazioni di umidità e temperatura.
Ulteriori sviluppi di questa tecnica prevedono il Nap Bond System (adesione per gocce), ovvero il fissaggio della tela da rifodero al supporto originale per mezzo di piccoli punti adesivi.

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