Eco e Narciso: una storia antica ma sempre attuale

di Adriana Riccioli

La rappresentazione dell’identità, intesa come categoria che coinvolge non solo l’individuo ma anche la collettività, costituisce il complesso itinerario che le Gallerie Nazionali e la Fondazione Maxxi, in stretta collaborazione, hanno deciso di sottoporre all’attenzione del pubblico.

La mostra (Roma, 18 maggio-28 ottobre 2018), lungi dall’essere un percorso di tipo tradizionale, vuole indurre i visitatori a riflettere sul tema dell’io e dell’altro, in una prospettiva che, attraverso le opere (alcune delle quali realizzate per questa occasione) tenga conto anche delle tematiche della durata e della temporalità, dell’intimità e della socialità, della fama e del potere, delle convenzioni e dell’erotismo che in un modo o nell’altro si collegano fra loro istituendo confronti fra passato e presente.

John William Whaterhouse , Eco e Narciso

Attraverso le undici sale dell’ala meridionale di Palazzo Barberinisi snoda l’itinerario del sé e dell’altro da sé che ha lo scopo di avvicinare i fruitori, coinvolgendoli emotivamente, a capolavori di grande pregio.

Da “pellegrini un po’ spaesati per la maestosità della rappresentazione, come sostiene la curatrice Santori, si viene introdotti nel salone affrescato da Pietro da Cortona(1596-1669) riproducente il “Trionfo della Divina Provvidenza”(1632-39). Il programma, ideato con molta probabilità da Francesco Bracciolini(1566-1645), poeta di corte dei Barberini, illustra la celebrazione, su una superficie molto estesa in un palazzo privato, della gloria di Urbano VIII e della sua famiglia pur nell’assenza dell’immagine del Pontefice. Naturalmente le tre grandi api, con la corona d’alloro che alludono alle ambizioni poetiche del Papa, le chiavi decussate e la tiara sostenuta dall’allegoria di Roma, si riferiscono alle virtù molteplici del “Capo della Chiesa”.

L’esaltazione della propria identità non è però esclusiva della pittura barocca. Anche le “Ore” di Luigi Ontani (1943), per definizione Narciso contemporaneo, confermano l’esigenza parossistica dei nostri tempi volta ad esaltare se stessi. Così, per quanto le opere su citate siano state prodotte in periodi diversi, avendo in comune la connotazione della temporalità impongono allo spettatore l’esperienza di una “durata”dinamica che gli permette di intuire la compenetrazione di fisico ed ideale propria dello spazio barocco. Questa qualità è presente anche nelle ventiquattro figure di L. Ontani che, inquadrate nell’ottica di tableaux vivants, offrono in ogni ora del giorno aspetti diversi atti a collegarli al passato, alla storia, al mito.

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Nella Sala Ovale, riservata per volere del Cardinale alla meditazione e alla riflessione, si viene accolti dal “Narciso” del Caravaggio(1571-1610) e dall”Eco nel vuoto”(1975?) di Giulio Paolini (1940). In questo ambiente la complessa tematica del narcisismo si carica della connotazione della evanescenza. Il vuoto centrale del quadro del Caravaggio indica il nulla, il nulla di sé, nel quale il giovane si specchia e che costituisce alla fine la giusta vendetta delle amanti respinte. L’essere troppo concentrato su se stesso condanna Narciso ad innamorarsi della propria immagine e quindi alla solitudine, quella solitudine che l’istallazione di Paolini, attraverso i frammenti dispersi mette dolorosamente in evidenza.

La tragica storia di Eco trova spazio nella Sala dei Paesaggi che ospita i “Libri Cuciti” di Maria Lai (1919-2013). L’artista di origine sarda, pur conservando un forte legame con l’ambiente di provenienza, ha sempre mostrato l’esigenza di ampliare i propri orizzonti culturali. Questi libri cuciti sono pagine di stoffa improntati ad una scrittura asemantica, priva cioè di parole, ove solo le linee rappresentano lo scorrere del tempo e, di foglio in foglio, delineano paesaggi. Le parole e la scrittura, qui assenti, sono una forma del potere che Maria non accetta e a cui si oppone in modo silenzioso e gentile. Questo salone che i Barberini hanno fatto decorare a metà dell’Ottocento con le vedute dei loro feudi, quando la loro grandezza era ormai un ricordo, conserva tuttavia il suo valore di evocazione emotiva. In tale contesto si avverte la presenza di Eco che, trasformatasi in roccia, in quegli spazi diffonde la propria voce.

Nell’ambiente ispirato alla moda del Japonisme si assiste all’esame impietoso dell’individualità. La bruttezza di un filosofo, forse Cratete di Tebe(IV-III sec.a.C), raffigurato da Luca Giordano(1634-1705) viene annullata dalla nobiltà d’animo e dalle qualità intellettuali dello stesso. Lo spietato realismo però è in potenza presente nella storia di Narciso che, mentre cerca di afferrare la propria immagine, increspa la superficie dell’acqua e quindi deforma il proprio volto. Inevitabile il richiamo a Freud, in particolare in Markus Schinewald (1973) che nei suoi ritratti, partendo da opere preesistenti, le trasforma applicando protesi che ne modificano l’aspetto e pertanto esprimono malesseri ed ansie di matrice freudiana.

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Il tema della”proiezione pubblica della personalità trova la sua giusta collocazione nell’appartamento d’estate del Cardinale. Qui i ritratti di Stefano IV Colonna (1546) di A. Bronzino (1503-1572)e di Enrico VIII (1536-7) di H. Holbein (1497-8-1543) mostrano una perfetta interpretazione fisiognomica e caratteriale dei personaggi rappresentati oltre che del loro ruolo nella società.

Le sale del Trono e della Cappella hanno le donne come protagoniste. Il breve video di Shirin Neshat (1957), imperniato sull’idea di emancipazione femminile non solo musulmana ma anche in senso più universale, mette in evidenza attraverso Natalie Portman, personaggio principale, sogni, fantasmi, illusioni della figura femminile. Guido Reni (1575-1642) dal canto suo, nel presunto ritratto di Beatrice Cenci (1599 ) offre all’attenzione del pubblico l’immagine di una fanciulla dallo sguardo supplichevole ed innocente. L’interpretazione successiva di Shelley, Stendhal, Arnaud ecc. fa della giovane, vittima della violenze fisiche e sessuali del padre, l’emblema dell’innocenza morale travolta dalla colpevolezza legale.

A ben considerare, il tema stesso di Eco e Narciso lascia sottintendere una dimensione tragica non troppo nascosta, ne sono una prova le punizioni esagerate che gli dei infliggono ai due personaggi, e che vengono proiettate in Beatrice Cenci o nelleimmagini suggestive della Neshat.

L’appartamento d’inverno, caratterizzato dalla tematica dell’intimità, offre una varietà di rappresentazioni : dal “nudo femminile di schiena”(1740) di P. Subleyras (1699-1749) che coinvolge provocatoriamente in un gioco voyeristico la sua donna, alle immagini prese da internet da parte di Stefano Arienti (1961) di coppie gay, “al ritratto della famiglia Quarantotti”(1756) di M. Benefial (1684-1764) in cui è protagonista il giovane religioso G.Battista mentre predica sullo sfondo di un improbabile luogo esotico.

In questo percorso, la sala successiva è ancora dedicata alle donne. La “Maddalena”(1490) di Piero di Cosimo (1461\2-1521) e” La Fornarina” di Raffaello (1483-1520) si trovano a dialogare con un’opera di Monica Bonvicini (1965) Bent and Fused”. La prima viene presentata non come la penitente nel deserto di antica memoria ma nei panni di una bellezza ideale per condotta morale e per aspetto, la seconda invece, chiaramente consapevole della propria femminilità, per avere al braccio l’armilla col nome di Raffaello, è collegata all’artista in qualità di sua donna e quindi potrebbe rappresentare non solo l’affermazione del soggetto ma anche l’immagine del pittore. Il singolare confronto con l’opera dell’artista contemporanea serve a spiegare l’esigenza sempre viva di dare più potere alla figura femminile che in arte come nella realtà si scontra con forme che tendono a limitare e manipolare la coscienza di sé delle donne. La Bonvicini con l’energia accecante della luce evidenzia simbolicamente il valore dell’universo femminile.

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La tematica dell’io viene ribadita in modo inequivocabile nella Sala dei Marmi, ove il busto berniniano di Urbano VIII e le grandi tele (Pape, Mao) di Yan Pei Ming (1960) si impongono all’attenzione del pubblico. L’immagine del Pontefice, uomo insigne che aveva dato vita ad una nuova stagione dell’arte, è fiancheggiata dai dipinti di Ming, grandi come manifesti, chiaro esempio mediatico che potrebbe sembrare attuale, ma che trova riscontri nelle aspirazioni di Urbano che, affidandosi al Bernini, voleva fare di Roma un’emanazione visiva della sua “persona,” nel senso antico del termine.

Un’eco della mostra è presente infine al Maxxi con la “Velata”(1743) di Antonio Corradini (1688-1752) e la singolare performance VB74 di Vanessa Beecroft (1969). La Velata, che allude alla sacerdotessa di Vesta, ingiustamente accusata d’aver violato il voto di castità, poi salvata dalla stessa dea, rappresenta la celebrazione dell’arte che, attraverso l’apparenza del proprio mezzo, velando il soggetto, lo rende in realtà visibile, per quanto possa sembrare assurdo. Il riscontro della Velata trova magica intesa nei tableaux vivants della Beecroft (1969).Le numerose figure, coperte solo di veli, esprimono oggi un concetto metaforico e teologico diverso da quello dei tempi andati. Se in Botticelli (1445-1510) nella “Calunnia”(1495) o in Tiziano(1488-1576) nell’’Amor sacro e amor profano”(1515) ad esempio la nudità era sinonimo di bellezza e perfezione morale, ai giorni nostri come afferma Benjamin nell”Angelus novus”invece la bellezza si manifesta “solo in ciò che è velato”.Unostravolgimento, dunque, di principi consolidati nel tempo che dovrebbero indurre il pubblico a considerare questa mostra con occhi nuovi, orientati verso prospettive diverse.

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