Dosso Dossi “Giove dipinge farfalle”. Qual è il significato dell’opera?

Di Laura Corchia

Un’opera emblematica, quella dipinta da Dosso Dossi tra il 1523 e il 1524. Anche il suo titolo pone diversi interrogativi: “Giove dipinge farfalle, Mercurio e la Virtù”. Si tratta di un olio su tela, oggi conservato nel Castello di Wawel in Cracovia.

Dosso Dossi, giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù, 1523-24, olio su tela, Cracovia, Castello di Wawel
Dosso Dossi, giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù, 1523-24, olio su tela, Cracovia, Castello di Wawel

Giove, riconoscibile dalla saetta posta ai suoi piedi, è raffigurato nei panni di un pittore intento a creare la propria opera. Sulle tela, ha abbozzato tre farfalle su un fondo blu. Questi animali simboleggiano la volatilità del pensiero, mentre l’arcobaleno che spunta dietro il cavalletto sta a significare l’evanescenza delle idee. La figura indossa un brillante veste rossa che richiama quella della figura posta alle sue spalle. Si tratta di Mercurio, che compie una complessa torsione per azzittire una terza figura che è comparsa all’improvviso. Ma il Dio-pittore, concentrato nell’atto della creazione, non sembra quasi accorgersi di quello che sta accadendo attorno a lui. Mercurio è accompagnato dai suoi attributi: il bellissimo elmo alato, il caduceo e i calzari. Il caduceo, in particolare, rappresenta il suo potere di addormentare e ridestare i viventi. La giovane che fa irruzione nella scena, dallo sguardo contratto e preoccupato, sembra quasi voler comunicare una notizia.

Sotto il profilo fisiognomico, il volto di Giove coincide a grandi linee con quello di Alfonso d’Este (1476-1534), duca di Ferrara, Modena e Reggio.

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Dosso Dossi, Giove dipinge farfalle, Mercurio e la Virtù (particolare), 1523-23, olio su tela, Cracovia, Castello di Wawel
Dosso Dossi, ritratto di Alfonso d'Este (si noti la somiglianza fisiognomica con Giove)
Dosso Dossi, ritratto di Alfonso d’Este (si noti la somiglianza fisiognomica con Giove)

Egli aveva fatto costruire un luogo di delizie sull’isola di Boschetto, posta in mezzo al Po, di fronte a Castel Tedaldo. L’edificio era circondato da boschetti ameno di pioppi, di rovere e di olmi. Il parco era abitato da diversi animali: cervi, capre, conigli, struzzi, pavoni e faraone e le fonti parlano anche di una tigre e di un elefante. Probabilmente, il dipinto di Dosso Dossi era nato per questa villa, come attesta un recente studio di Vincenzo Farinella. La fonte letteraria per tale opera potrebbe essere stata una raccolta piccole storie da convito, composte tra il terzo e il quarto decennio del Quattrocento da Leon Battista Alberti. Questi brevi racconti erano nati per essere letti mentre si mangia e si beve e, come sottolinea lo stesso autore: “Vorrei che da tutte le mie intercenali risultasse chiaro l’obiettivo: che i lettori mi considerino uno scrittore brillante e che trovino nell’opera argomenti validi per rendere meno pesanti le ansie e le preoccupazioni”.

Queste storie erano caratterizzate da temi audaci, anticonformisti e adatti ad allietare le ore trascorse nell’otium.

Mercurio è dunque raffigurato nei panni del “segretario” che difende Giove dai visitatori inopportuni. La Virtù giunge dai Campi Elisi per lamentarsi del trattamento subito dalla Fortuna. Nel primo libro delle Intercenales, Alberti sostiene che “Non bisogna mai allontanarsi dalla virtù, pur riconoscendo che la moralità è sempre soggetta alla varietà dei casi fortuiti”. Tuttavia, dopo lo scambio di batture la Virtù viene sconfitta dalla Fortuna.

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Ed ecco la storia: “Mercurio ha abbandonato temporaneamente il luogo dove risiede Giove per venire incontro alla Virtù che gli ha scritto una lettera di lamentele: il signore dell’Olimpo, quindi, non è presente al dialogo, che idealmente si svolge alle porte del suo regno celeste. (…) Di fronte al tono lamentoso e postulante della Virtù, Mercurio le chiede di essere breve, perché suo compito è tornare presto da Giove. La Virtù si presenta davanti agli occhi di Mercurio non solo come infelice e disprezzata, ma anche ‘nuda’ e ‘sporca’, accusando per questo suo stato indecoroso ‘la barbara ingiuria della dea Fortuna’”.
Quest’ultima, aggredita dalla Virtùintima il silenzio a Platone, che parteggia per la sua avversaria, e Cicerone, che cerca di portare la dea bendata, con un discorso filosofico, a più miti consigli, viene colpito al volto da Marco Antonio. “A quel punto tutti i nobili seguaci della Virtù si danno alla fuga: le persone ‘prepotenti e armate’ al seguito della Fortuna percuotono violentemente la Virtù con pugni e calci, facendole a pezzi le vesti e lasciandola in mezzo al fango. (…) Non appena ristabilitasi da questa disavventura, la malcapitata dea sale all’Olimpo per tentare di informare Giove Ottimo Massimo dell’accaduto: ma dopo un mese sta ancora attendendo alle porte del palazzo di essere ricevuta”. 

Gli Dei cercano in tutti modi di impedire l’incontro con Giove e, nelle Intercalares, ella dice: “Dicono che gli dei devono far fiorire a tempo le zucche o badare a rendere più variopinte le ali delle farfalle. E allora? Avranno sempre qualche nuova occupazione per tenermi fuori dalla porta e non badare a me. Le zucche sono fiorite da un pezzo, le farfalle volano ed è uno spettacolo magnifico. A evitare che le zucche muoiano di sete ci pensa già il contadino: di noi non si curano né gli dei né gli uomini”.

Evidenti, sono dunque i richiami alle Intercalares albertiane. tuttavia, l’opera di Dosso Dossi non è una rappresentazione fedele di questa storia. Il pittore, più che altro, intendeva mettere in evidenza il passatempo di Giove, illustrato come un artista. Le farfalle, allegoria delle operazioni lievi e disimpegnate tipiche dell’ozio del Giove-Duca. Alfonso era infatti dedito ai lavori manuali e nel palazzo fece allestire vari laboratori. Qui fondeva metalli, modellava l’argilla e lavorava il legno al tornio. Inoltre, “aveva chiesto all’ambasciatore estense a Venezia di recuperare colori di grande qualità”. 

Un principe-alchimista, dunque. E, del resto, lo stesso Mercurio è la divinità alchemica per eccellenza. Pittura ed alchimia erano strettamente connesse: al pari di leggere farfalle, esseri volatili e leggiadri, creano dal nulla.

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