Degas: la pittura tra movimento e solitudine

di Laura Corchia

Al pari di Manet, Degas svolse la propria formazione e la propria esperienza artistica in solitudine, viaggiando anche tra Napoli, Firenze e Roma. Dopo il soggiorno italiano e l’incontro con i pittori impressionisti, iniziò a frequentare il Café Guerbois e ad esporre regolarmente le sue opere alle mostre impressioniste. Nonostante ciò, l’artista seppe sempre mantenersi ai margini del movimento, rivolgendo lo sguardo al costume, alle consuetudini sociali, ai brani di vita contemporanea.

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I suoi dipinti si caratterizzano per gli inediti tagli compositivi: le figure sono riprese dall’alto o da sotto in su, determinando interessanti deformazioni prospettiche e uno spazio claustrofobico ripreso dalle stampe giapponesi. Tra i suoi temi prediletti, le ballerine sono colte nei momenti di pausa, negli spogliatoi e durante gli esercizi. In questi soggetti, l’incompletezza del taglio ha l’intento di comunicare il dinamismo, il movimento fuggevole, la vita che trascorre e che non si lascia contenere entro i limiti della tela. le scene di danza, spesso dipinte a olio o a pastello, presentano evidenti derivazioni dalla fotografia. Questa dipendenza è sottolineata anche dalle pennellate sciolte e vaporose.

 

Altro tema frequente nel repertorio di Degas è il nudo femminile, rappresentato nell’atto di compiere gesti intimi e quotidiani. Le figure, tratteggiate a pastello, si amalgamano con l’ambiente circostante e ne diventano parte integrante.

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Ne “L’assenzio” (1876) Degas si sofferma su un tema caro agli scrittori del tempo: l’abiezione quotidiana della Parigi della seconda metà del secolo. Rifacendosi alle opere letterarie di Zola, Flaubert e dei Goncourt, l’artista scelse un angolo del caffè La Nouvelle-Athènes, allora punto di ritrovo serale di artisti e scrittori. Seduti ai tavoli di marmo, due amici sono assorti nei loro pensieri e non comunicano. Solo il volto tradisce uno stato d’animo afflitto e desolato. La donna è l’attrice Ellen Andrée, mentre accanto le siede l’incisore Marcellin Desboutin. Fuma la pipa con i gomiti appoggiati al tavolo, gli occhi iniettati di rosso sono attratti da qualche scena che si sta svolgendo nel bar. Lo spettatore, come se si trovasse seduto di fronte ai suoi assenti interlocutori, è posto all’interno del quadro ed è partecipe di una sofferenza alleviata dall’assenzio, un liquore verdastro, aromatizzato con menta e anice, molto comune intorno alla metà dell’Ottocento. Valéry dirà, a proposito dell’attitudine di Degas di dipingere la solitudine, che il pittore stesso aveva vissuto la maggior parte della sua esistenza senza compagnia, forse proprio a causa di quel “suo sguardo nero [che] non vedeva niente di rosa”.

 

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Dal punto di vista tecnico lo stesso Valery dice: “Tutta l’opera di Degas è improntata alla serietà. Per quanto possano essere apparsi così piacevoli, così vivaci, la sua matita, il suo pastello, il suo pennello non si rilassano mai. La volontà predomina; il segno non è mai abbastanza vicino a ciò che egli vuole. Non tende né all’eloquenza né alla poesia della pittura; non cerca che la verità nello stile e lo stile nella verità. La sua arte è paragonabile a quella dei moralisti: una prosa delle più chiare, che racchiude o articola con forza un’osservazione nuova e veritiera. Ha buon gioco nell’applicarsi alle ballerine: le cattura piuttosto che lusingarle; le definisce. Come uno scrittore teso a raggiungere il massimo della precisione della forma, moltiplica le brutte copie, cancella, procede a tentoni, e non si illude mai di aver raggiunto lo stato “postumo” del proprio pezzo, così è Degas: riprende all’infinito il disegno, l’approfondisce, lo chiude, lo avviluppa di foglio in foglio, di calco in calco. Ritorna a volte su questi tipi di prove; vi stende colori, mescola il pastello al carboncino: le gonne sono gialle in una, viola nell’altra […] Credo che sentisse la paura di avventurarsi sulla tela e di abbandonarsi alle delizie dell’esecuzione. Era un eccellente cavaliere che diffidava dei cavalli” (Degas Dans Design, 1934).

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Altre informazioni tecniche vengono da un testo di Rouardt del 1945: “Il lato materiale dell’opera lo preoccupava molto, e cercava il miglior mezzo o la migliore sostanza fissativa, la migliore tela o la migliore preparazione, peraltro senza mai arrivare a una soluzione definitiva. Tutta la sua vita è trascorsa in ricerche, sia in campo estetico sia in campo tecnico, per ciò che riguarda l’arte. Non si lasciava scoraggiare né dalle difficoltà né dai problemi che incontrava. Al contrario, gli piaceva affrontarli, e, forse, se non fossero esistiti li avrebbe creati: ‘Felice me, che non ho trovato il mio stile, cosa che mi farebbe imbestialire!’, proclamava…” 

 

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