Constantin Brâncuşi: la purezza e la semplicità della forma

di Laura Corchia

“La semplicità non è un obiettivo nell’arte, ma si raggiunge la semplicità anche senza volerlo penetrando nel vero senso delle cose”.

(Constantin Brâncuşi)

Lavoratore tenace e solitario, avvolto da un alone di leggenda e di misero, Constantin Brâncuşi (1896-1957) fa parte di quella categoria di artisti difficilmente inquadrabili in una corrente o in un movimento artistico.

Dal punto di vista formale, la sua scultura può essere accostata al Cubismo per l’estrema tendenza a sintetizzare le forme, ma l’artista negò sempre ogni legame con esso, in quanto non ne condivideva l’atteggiamento analitico.

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Nato in un villaggio romeno da una famiglia di contadini, Constantin entrò a diciott’anni all’Accademia d’Arte di Bucarest e nel 1904, come lui stesso amava raccontare, si recò a piedi a Parigi. Nella città francese subì dapprima l’influsso di Rodin, come dimostra la sua Testa di adolescente. Eseguita nel 1907, l’opera rivela una estrema dolcezza del modellato. La posa si caratterizza per una leggera torsione verso sinistra, in una posa di assorta intimità. La bocca dischiusa e lo sguardo fortemente indagato dal punto di vista psicologico paiono suggerire un rapporto diretto con l’osservatore, come se il giovane volesse comunicare i suoi pensieri. L’impressione è quella che l’artista abbia eseguito l’opera velocemente, al fine di rendere l’immediatezza delle sensazioni.

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Un anno più tardi, Brâncuşi eseguì la sua opera più romantica e famosa: Il bacio. Fortemente influenzato dalla scultura primitiva, l’artista scolpì l’opera con il metodo del taglio diretto, cercando di sbozzare l’immagine direttamente nel blocco di pietra, abbandonando la tecnica accademica del modello, da fondere poi in bronzo, che fino a quel momento aveva caratterizzato la sua produzione. Questa rivoluzione nel processo di creazione verrà poi ricordata dall’artista come la sua personale “via di Damasco”. Il soggetto, ripreso da quello ormai celebre di Rodin, è totalmente reinterpretato: i corpi dei due giovani scolpiti dal maestro francese, dolcemente avvinghiati nella spirale dell’amore, sono posti uno di fronte all’altro da Brâncuşi, a dividere in due parti speculari il blocco di pietra. La perfetta metà dell’altro, potremmo dire. Le due figure sono unite dalle braccia che si incrociano e l’unico elemento di separazione è il taglio verticale che divide i due volti e che, nella parte bassa, si incurva dolcemente per suggerire i seni di lei.

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Nel 1909, Brâncuşi raggiunse quella maturità stilistica cui rimase poi fedele per tutta la sua vita. La testa umana, frequente nelle sue opere, divenne oggetto di una sempre più assoluta sintesi formale. Già ne Il bacio, egli aveva solo abbozzato i lineamenti, lasciando intravedere solo gli occhi e le labbra. Nelle opere successive, eliminò progressivamente tutti i particolari sino al raggiungimento di una forma puramente volumetrica. Quest’evoluzione si può cogliere paragonando due opere: la Musa addormentata (1910) e uno dei ritratti di Mademoiselle Pagany (1913). Affascinato dalla perfetta resa dell’ovale del viso, lo scultore cercava da anni di realizzare un’opera che rendesse compiutamente il senso di abbandono e perfezione formale di un viso addormentato. Immerso in un dolce sonno e chiuso silenziosamente in se stesso, l’essere umano diviene per l’artista uno spettacolo da osservare e da indagare a fondo per poi trasporlo nella materia, semplicemente.

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Analogo processo di trasfigurazione astratta d’una forma organica, ritroviamo nella serie della Maiastra (1912), un uccello magico che per la cultura popolare rumena assiste gli eroi nelle loro imprese e che, secondo un’altra leggenda, riconduce all’innamorato la donna amata.

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Brâncuşi scelse spesso come soggetto la testa umana, l’uccello e il pesce, elementi accomunati dalla stessa origine naturalistica e che, per la loro intima essenza, gli permettevano di esercitare la sua tecnica, fatta di successive e ossessive levigature. Sia che lavorasse il bronzo o la pietra, le superfici si fecero perfettamente lisce e, nel caso del metallo, riflettenti. Lo spazio circostante entrava così nell’opera, rendendola estremamente mutevole.

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Brâncuşi, secondo le testimonianze degli amici, lasciava entrare nel suo studio solo pochi intimi e si liberava malvolentieri delle sue opere. L’ambiente in cui lavorava era dipinto di bianco e può essere considerato il primo white box (scatola bianca), cioè uno spazio espositivo asettico, epurato da qualsiasi elemento che possa distrarre l’osservatore dalla contemplazione delle opere d’arte. Consapevole della sua invenzione, Constantin lasciò il suo studio in eredità allo Stato Francese ed oggi è visitale presso il Centro Georges Pompidou di Parigi.

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