Carlo Maratta e il restauro della Loggia di Psiche nella Roma del Seicento

Di Laura Corchia

Carlo Maratta o Maratti ebbe un ruolo molto importante nel restauro. Pittore, restauratore e Principe dell’Accademia di San Luca nel 1664, la sua vita ci è nota grazie alle notizie di Giovanni Pietro Bellori, uno dei biografi più importanti degli artisti del Barocco.

Da giovane, egli fu incaricato di restaurare una Natività della Vergine di Annibale Carracci. Secondo quando riferisce il suo biografo, l’opera era stata danneggiata dalle nottole che si annidavano dietro al muro. Maratti decise di intervenire con un rinforzo del supporto, foderando la tela da tergo e munendola di tavole.

Abbiamo altresì notizia di due importanti restauri che egli effettuò alla fine del Seicento: la Galleria Farnese e la Loggia di Psiche alla Farnesina. In entrambi i casi, committente degli interventi fu il duca Farnese.

Eros_Psiche

Bellori racconta che la Galleria Farnese era interessata innanzitutto da una pericolosa spaccatura : “una crepatura da capo a piede della volta, che segando per mezzo la larghezza si stendeva giù per i muri sin al pavimento…”

L’intonaco, chiamato “colla” nel Seicento, si stava progressivamente staccando dalla muratura, probabilmente anche a causa di problemi legati alla statica dell’edificio.

Il secondo problema era la presenza di una “fioritura di salnitro”, ovvero uno sbiancamento della pittura provocato dall’umidità.

Con l’aiuto di un celebre architetto del tempo, Carlo Fontana, il cedimento strutturale venne risanato attraverso l’inserimento di catene che tenevano uniti i muri, quattro sopra la volta e quattro sotto il pavimento. La causa delle infiltrazioni di umidità fu individuata nell’errata inclinazione delle pietre del cornicione delle finestre. Si decise di mettere altre lastre di marmo in controtendenza, in modo da scaricare l’acqua verso l’esterno.

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Il problema del distacco dell’intonaco fu invece risolto grazie alla felice intuizione diGiovan Francesco Rossi, collaboratore di Maratti. A Rossi si deve, infatti, quella che il Bellori definisce una “mirabile invenzione”: inserimento nell’intonaco di staffe metalliche a forma di L o di T, in modo da bloccarne le scaglie.

Raffael,_Loggia_di_Psiche,_Villa_Farnesina,_Rome_08

 

Così il Bellori descrive il procedimento: “Prima di conficcarlo andava scoprendo il luogo più bisognevole, percotendolo con la mano per udirne il suono e ‘l rimbombo del vano, e dove erano le tinte più scure, faceva con somma diligenza un buco col trapano, penetrando sin dove conveniva per rendere più forte l’attaccatura, e poi l’empiva di pasta di gesso. Indi, scelto un chiodo della lunghezza, che richiedeva la profondità del buco, ve lo conficcava dentro fino alla superficie della colla, ove faceva il suo incastro per nascondere il capo del medesimo chiodo, o siano le coste laterali di esso. Fatta quest’operazione, lasciava che s’asciugasse la colla, che l’uso del gesso aveva bagnata intorno al chiodo, e poi v’andava sopra con certe acquerelle di tinta in tutto somigliante a quelle di prima e corrispondente alle parti rimaste della pittura, quasi rese asciutte, s’univano così bene che non era possibile ritrovarvi un divario imaginabile”.

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Per quanto concerne la Loggia di Psiche dipinta da Raffaello, il problema era dato dal distacco dell’intonaco e dal viraggio delle campiture azzurre del cielo, alterate probabilmente dall’umidità. Raffaello aveva probabilmente impiegato un pigmento a base di rame che, in seguito a fenomeni di ossidazione, si era inscurito. Il Bellori descrive il degrado con queste parole: “La Loggia di Raffaello, benché più antica, è stata rispettata nel tempo più di quello, che abbia fatto l’inclemenza dell’aria… Il danno fatto dall’aria a detta loggia è stato molto più considerabile, perché, essendo stato per centoquaranta anni in circa aperta senza il riparo, che oggi si vede di tavole, e vetri ne’ vani degli archi tra un pilastro , e l’altro, n’è accaduto che sia stata sempre in potere dell’aria così notturna, come de’ giorni torbidi, e nebbiosi, e de’ venti specialmente aquilonari, che portavano le piogge anco colà dentro”.

Il problema dell’intonaco fu risolto, come nella Galleria Farnese, attraverso l’impiego di ben 850 chiodi. Maratti poi intervenne nelle campiture azzurre operando un ritocco pittorico e completando la decorazione svanita.

 

Bellori difende gli interventi di Maratti adducendo due motivazioni:

  1. la possibilità di poter tramandare alle generazioni future un’opera di così tale pregio e che, a causa del degrado, rischiava di svanire per sempre.
  2. Il confronto con il restauro delle sculture, settore nel quale il reintegro era ampiamente applicato e lecito. In sostanza, se tutti pensano che sia giusto reintegrare le parti mancanti in una scultura, perché non dovrebbe essere corretto farlo anche sulla pittura?
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A seguito di un restauro moderno, diretto da Rosalia Varoli Piazza dell’Istituto Centrale del Restauro, si è potuto conoscere più a fondo il lavoro del Maratti.

Egli, per dissimulare la presenza dei chiodi, li aveva applicati nelle parti scure della pittura e, cosa ancor più sorprendente per l’epoca, aveva effettuato i ritocchi con materiali assolutamente reversibili: matita, grafite, carboncino, lapis rosso, sanguigna, pastelli. Questi interventi denotano un artista dotato di grande intelligenza e umiltà, in grado di intervenire senza prevaricazione nei confronti del maestro su cui opera.

 

L’idea della reversibilità era evidente già in un restauro effettuato dal Maratti in precedenza e commissionato da Papa Innocenzo XI. Era intervenuto, infatti, su unaMadonna che cuce di Guido Reni che presentava una scollatura eccessiva.

La ridipintura fu fatta ed acquerello ed era dunque removibile anche con un sol colpo di spugna.

L’ultimo grande intervento di restauro realizzato da Maratti fu quello delle pitture delle Stanze Vaticane, che avevano bisogno di una pulitura. Inoltre, si occupo di completare la fascia inferiore, per conferire completezza all’insieme.

Nonostante Carlo Maratta sia stato a lungo bersagliato dalla critica oggi, alla luce degli studi moderni, si può affermare che egli svolse un lavoro discreto e attento, calibrato minuziosamente punto per punto.

 

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