“Amor sacro e Amor profano”: un’opera controversa

di Selenia De Michele

“Amor sacro e Amor profano” è il titolo che abitualmente si da ad uno dei capolavori di Tiziano, gemma della Galleria Borghese. Il quadro è un’opera di estrema altezza e affascina con il segreto del suo significato, con l’incertezza della committenza e dell’occasione di realizzazione. Anche lo stesso titolo “Amor sacro e Amor profano” è di origine relativamente recente: fu infatti il Vasi a chiamarlo così nel 1792. Dalla critica era denominato come “Amor celeste e Amor mondano”, “Amore ingenuo e Amore sazio” ecc. L’opera è nota non solo per la sua altissima qualità estetica – è considerata infatti uno dei capolavori giovanili di Tiziano – ma soprattutto per l’alone di mistero che avvolge l’interpretazione del suo soggetto e più in generale l’intera storia del dipinto.

I dubbi riguardano soprattutto l’interpretazione della scena rappresentata. Il fatto che l’iconografia dell’opera sia costituita da temi le cui fonti letterarie sono molto varie non permette di dare una spiegazione univoca ad un soggetto carico di significati simbolici e di riferimenti storico-sociali.

Tiziano, Amor Sacro e Amor profano, 1514
Tiziano, Amor Sacro e Amor profano, 1514

Il quadro raffigura un sarcofago marmoreo con basso rilievo di ispirazione classica nel quale un amorino immerge le mani. Su di esso sono sedute due donne: quella a sinistra è vestita con un ricco costume veneziano del XVI secolo mentre quella a destra, seminuda, con un mantello sul braccio sinistro, regge un piccolo vaso o braciere che fuma. La scena è ambientata in un vasto paesaggio aperto, montuoso e occupato a sinistra da una costuzione turrita, alberato e frondoso al centro, più disteso a destra con pecore al pascolo e una veduta lacustre. Piccole figure, alcune delle quali in atteggiamento erotico, animano la composizione.

Data l’estrema difficoltà d’interpretare l’iconografia del dipinto gli studiosi ne hanno dato diverse spiegazioni la maggior parte delle quale legate a fonti letterarie e filosofiche. Per Wickhoff il significato del dipinto dovrebbe essere la persuasione all’amore indicando come fonte letteraria l’Argonautica di Valerio Flacco dove Venere, identificata nella donna nuda, esorta Medea a seguire Giasone. Hourticq e Friedlander interpretano il soggetto sulla base di un brano dell’Hypnerotomachia Poliphili, un famoso testo rinascimentale di carattere simbolico, in cui Venere torna al sarcofago di Adone, il giovane da lei amato e morto durante una caccia al cinghiale. Si tratterebbe di un’iniziazione ai misteri dell’amore a cui Venere, da identificare con la figura a destra, cerca di avvicinare la donna in abiti suntuosi. Questa è stata identificata da Friedlander con Polia, la protagonista dell’Hypnerotomachia, e dello stemma con quello della famiglia veneziana Aurelia. Ciò fornirebbe notizie anche circa il committente dell’opera che potrebbe essere Niccolò Aurelio, segretario del Consiglio dei Dieci della repubblica veneta dal 1509 al 1523, grande amico di Pietro Bembo, il letterato probabile ispiratore del soggetto del quadro. Altre interpretazioni, tra cui quella di Panofsky, avvicinano il quadro ai brani degli Asolani di Pietro Bembo in cui si fa riferimento al Convito di Platone e alla sua teoria d’amore. Il personaggio nudo rappresenterebbe la Venere celeste che ha in mano il fuoco dell’amore divino, mentre quello vestito sarebbe la Venere terrena incarnazione della bellezza sensuale. L’intermediario tra le due realtà è il piccolo Cupido e le due donne sarebbero la personificazione di due gradi e modi diversi dell’amore.

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La figura vestita è stata in alcuni casi identificata con l’amore pudico, in altri con quello cortigiano e carnale. In realtà è legata all’amore terreno ma quello universalmente accettato del matrimonio. Ciò sarebbe confermato dall’abito chiaro riferimento di quello nuziale cui rimandano gli attributi della veste: i guanti, la cintura, lo scrigno, il mirto e le rose. Al dato matrimoniale rimanderebbero anche la coppia di conigli presente alla spalle della donna, augurio di prole. Secondo le più recenti esegesi l’immagine della donna nuda, evocata nella sua piena carnalità, sarebbe il simbolo del più alto grado dell’amore, quello intellettuale. La nudità non alluderebbe alla carica erotica ma al fatto che la bellezza celeste per essere ammirata non ha bisogno di ornamenti. Il vaso tenuto in mano dalla Venere nuda, protesa in avanti nel tentativo di persuader ela figura vestita, simboleggerebbe la fiamma dell’amore divino. Il piccolo Cupido collocato al centro del sarcofago nell’atto di immergere la mano nell’acqua ha un ruolo importante nell’iconografia del dipinto. Egli non è solo l’intermediario tra le due specie di amore ma è anche colui che tempera l’acqua cioè permette il dissidio tra l’amore casto e l’amore sensuale. Il problema era fortemente sensito dalla cultura veneta ed è trattato negli Asolani di Pietro Bembo. Il sarcofago rimanda invece al sarcofago di Venere presente in un brano dell’Hypnerotomachia Poliphili narrante le peripezie amorose di Polia e Polifilo. Inoltre la presenza dell’acqua al suo interno, che lo rende in realtà una fontana, è simbolo di riconciliazione tra la vita e la morte. Nelle due immagini del paesaggio, ripreso quasi fedelmente da un’incisione con Ercole di Durer, si riscontrano i temi in contrasto della castità e della voluttà nel matrimonio.

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Tutti questi riferimenti alla realtà matrimoniale ne fanno l’interpretazione più plausibile e forniscono dati circa l’occasione di commissione. I due sposi sono identificabili con Niccolò Aurelio e Laura Bagarotto, i cui stemmi di famiglia compaiono sul sarcofago e sul bacile posato sopra. Laura Bagarotto era figlia di un eminente giurista mandato a morte dalla Serenissima per aver preso le parti imperiali nella crisi del 1509 e vedova di Francesco Borromeo, imprigionato per gli stessi motivi. Nel 1509 fu proprio lo stesso Niccolò a restituire a Laura la ricca dote confiscatale dalla Repubblica veneta consentendole così di contrarre un nuovo matrimonio. Pertanto il dipinto fu realizzato in occasione del nuovo matrimonio della Bagarotto con un preciso intento persuasivo nei confronti della vedova veneziana. Secondo il significato dell’allegoria, Amore, rappresentato dal piccolo Cupido, e la nuda Venere avrebbero dovuto convincere la sposa, ravvisabile nella donna in abiti sontuosi, all’evento imminente.

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Il quadro è abitualmente datato al 1515 in un momento in cui lo stile dell’artista è caratterizzato dalla perfetta fusione del colore e della figura umana con il paesaggio circostante. Il dipinto è stato recentemente liberato da vecchie vernici giallastre che ne offuscavano l’equilibrio cromatico e che lo rendevano quasi monocromo. Le zone più colpite erano soprattutto quelle della vegetazione eseguite con verdi a base di rame che si presentavano molto scure. Durante il restauro è stato possibile evidenziare dati interessanti relativi la tecnica pittorica di Tiziano in età giovanile. Essa consisteva essenzialmente nell’abbozzare con un disegno a carboncino le figure o gli elementi essenziali della scena utilizzando poi il colore steso per aree. Sono inoltre emersi i pentimenti dell’artista che si concentrano soprattutto sulla donna di sinistra. Dall’analisi stratigrafica è emerso che la veste era stata originariamente eseguita in rosso e solo in un secondo momento è stata ricoperta di grigio portando così dei sostanziali cambiamenti al significato del dipinto. Altri pentimenti riguardano la probabile presenza di un’altra figura femminile seduta e di una più ricca vegetazione costituita da fiori e foglie di vario genere.

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