Vincent Van Gogh: il tragico epilogo di un genio

di Laura Corchia

Con Vincent Van Gogh si consuma l’ultimo definitivo strappo con l’arte impressionista: nelle sue opere non c’è più posto per la sola realtà apparente, ma si fa strada una ricerca tesa a rappresentare il mondo dei sentimenti e delle emozioni che si provano guardando il mondo.

Nella sua breve esistenza, iniziata il 30 marzo 1853 e tragicamente conclusasi trentasette anni dopo con un colpo di pistola, Van Gogh ricercò, attraverso la pittura, un mezzo per esprimere la propria interiorità. Nell’ansia di capire se stesso e di procurarsi un ben definito ruolo umano e professionale, dipinse un grandissimo numero di opere che, tuttavia, non gli procurarono il successo sperato. Gli insuccessi, i rifiuti e l’isolamento fecero il resto: piombò dapprima in una profonda depressione e poi in una forma di alienazione mentale che gli procurava violente crisi e un completo distacco dalla realtà.

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Tuttavia, a momenti di morte interiore si alternavano in lui spensieratezza, serenità ed euforia: “Intanto il prigioniero continua a vivere e non muore, nulla traspare di quello che prova, sta bene e il raggio di sole riesce a rallegrarlo”.

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Nato a Groot Zundert da una modesta famiglia, condusse studi incostanti e, prima del 1880, credette di voler diventare pastore protestante come il padre. Nel 1878 partì nel Belgio Meridionale, dove da predicatore condivise la vita misera dei minatori. Allontanato dai minatori per troppo zelo, iniziò a studiare pittura a L’Aja e, dopo un breve soggiorno nel Brabante, raggiunse il fratello Theo a Parigi. Dinanzi al panorama delle sperimentazioni che offriva l’ambiente artistico parigino, la tavolozza di van Gogh si schiarì, mentre l’uso della spatola venne progressivamente sostituito da una pennellata violenta e spezzata. Se le sue prime opere protagonisti furono contadini e tessitori, quelle successive accolsero i temi cari all’Impressionismo: ritratti e soprattutto paesaggi.

Nel 1888 conobbe Gauguin, ma la loro amicizia si concluse tragicamente ad Arles, dove Van Gogh aveva preso in affitto la famosa “casa gialla” e dove sognava di costituire una piccola comunità di artisti. Le differenti opinioni artistiche dei due uomini erano oggetto di continue liti che culminarono in un gesto autopunitivo di Van Gogh che si tagliò parte di un orecchio. Dall’inizio del 1889, Vincent fu più volte ricoverato in ospedale per eccessi di follia finché, nel luglio dell’anno successivo, la situazione precipitò: impugnò una pistola e si sparò al cuore. Morì fra le braccia dell’amato fratello Theo.

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Poco prima di morire, Vincent aveva dipinto la disperazione, la rabbia, la solitudine e la dolcezza che ancora aveva nel cuore in Campo di grano con volo di corvi. L’opera, vista dopo il tragico gesto, appare come un presagio di lutto. Un campo di grano scosso dal vento e attraversato da piccole stradine bordate di verde è dominato da un cielo incupito dal nero delle nubi minacciose. Tra le pennellate violente, uno stormo di corvi vola sull’oro lucente del grano e sull’azzurro del cielo. L’artista pare guardare impotente l’evento che si compie sotto i suoi occhi e, come l’uccellino in gabbia della lettera al fratello Theo, se ne sta immobile “a guardare fuori il cielo turgido, carico di tempesta, e sente in sé la rivolta contro la propria fatalità”.

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