Tesori di Napoli: Il ritratto di papa Paolo III Farnese coi nipoti Alessandro e Ottavio. Quel gesto di riverenza forzata

di Fabio Strazzullo

Il ritratto, carico di tensione drammatica, è esposto nel Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli ed è il più importante dipinto realizzato da Tiziano a figura intera durante il suo unico soggiorno a Roma, occasione di incontro con Michelangelo e di confronto con gli sviluppi del Manierismo, presumibilmente nel dicembre del 1545. Al centro, su di uno sfondo scuro, tagliato trasversalmente da una tenda rossa, che stacca e sembra accentuare la posa del nipote Ottavio, sono ritratti il papa in compagnia dei due nipoti.

Ottavio è ritratto a destra nell’atto di far riverenza, ovvero l’inchino che tutti, compresi gli uomini di Chiesa dovevano fare alla presenza del papa. Questo, però fa intuire che il ritratto non è la rappresentazione di una cerimonia solenne, ma di un’udienza privata. Dal suo sguardo, si nota che Ottavio fa l’inchino per dovere e quasi con riluttanza, perché stando ai dati storici Paolo III fondò il ducato di Parma e Piacenza e anziché darlo a lui, come si aspettava anche il suocero Carlo V, lo diede a suo figlio Pier Luigi e anche dopo la morte di questi in una congiura non lo governò affatto. Infatti, dovette attendere il papato di Giulio III, perché gli venisse restituito. Ritratto di profilo, rivela forme asciutte e svelte. Il suo naso è leggermente aquilino, i baffi sottili e corti, il mento piccolo e senza barba e il collo leggermente lungo. Il corpo e le gambe sono appena abbozzati. Veste da gentiluomo con un abito corto scuro, con maniche a sbuffo e un risvolto di pelliccia che scende sul petto, un corpetto rossiccio e una catena che gli pende dalle spalle. Le gambe e i piedi indossano calze e scarpe della stessa tinta bianca. Mentre alle mani guanti scuri. Infine, con la mano destra sorregge un cappello con piuma bianca e con l’altra sorregge il fodero della spada. Gesti, insomma che lo mostrano in atto di riverenza, in una posa che qualcuno ha voluto leggere come un rimando al Discobolo di Mirone, a conferma dell’atteggiamento di Tiziano nei confronti dei celebri marmi classici, da lui stesso definiti, “in una lettera a Carlo V […] maravigliosissimi sassi antichi”. Paolo III, ottantenne ma ancora energico, è invece ritratto al centro nell’atto di rivolgere di scatto il suo sguardo severo al nipote Ottavio appena arrivato. Siede su una larga poltrona da camera rivestita di rosso, tenendo la mano destra munita di anello pastorale ben stretta al bracciolo quasi a intendere il suo forte attaccamento alla vita, mentre la sinistra (appena abbozzata) su un tavolo coperto da una tovaglia rossa, sul quale è posta una clessidra. Porta in testa un camauro rosso di panno listato di pelliccia che insieme alla barba bianca inquadrano il suo sguardo. La stessa barba poi nasconde le sue labbra larghe e sottili, che si serrano nell’ira e infine la mantellina, anch’essa rossa, con cappuccio, foderata di ermellino e abbottonata al centro con larghe maniche e coda. Sotto indossa la veste di stoffa bianca, da cui s’intravede il piede sinistro calzato da una scarpa rossa con sopra ricamata una croce d’oro. Di uguale fattura, ma più tenui e meno brillanti della stoffa della tovaglia sul tavolo e del rosso violaceo sbiadito che segna le penombre nella mantellina del pontefice, sono gli abiti dell’altro nipote, il cardinale Alessandro Farnese. Qui è ritratto in piedi a fianco del papa con le mani poggiate sulla spalliera della sedia da camera, quasi a voler sottolineare la sua futura successione al soglio pontificio. È l’unico ad avere lo sguardo circondato dalla corta barba e il berretto rosso, rivolto allo spettatore, apparendo indifferente e soprattutto passivo a ciò che sta accadendo in sala. Molto probabilmente fu lui ad ordinare il ritratto di famiglia, desiderando di figurare col nonno e il fratello Ottavio. Inoltre, tra i tre si direbbe l’unica figura finita. Per questo dipinto, Tiziano dovette prendere ispirazione dal Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi di Raffaello, ma la sua rigida costruzione viene qui scardinata, dando alla scena movimento e un ulteriore livello narrativo. Di fatto, le uniche parti che risultano terminate sono i volti degli effigiati che attraverso i loro gesti e la loro fisionomia rappresentano stati d’animo di timori e sospetti rendendo il ritratto carico di tensione in una scena calda, ma cupa come lo era la famiglia. D’altronde Tiziano, abitando a Belvedere, aveva la possibilità di vivere a contatto con questi personaggi e di spiarne la vita nella loro intimità.

 

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Quando poi i Farnese diedero a Tiziano le prime istruzioni per questo quadro, erano passati solo pochi mesi dalla creazione del ducato di Parma e Piacenza. Primo duca fu investito, come già detto, Pier Luigi Farnese, che però nel quadro non compare e questo per due ovvie ragioni:
-la prima sconsigliava di ritrarre vicino al papa il figlio.
-la seconda era la resistenza da parte di Carlo V a riconoscere Pier Luigi duca di Parma e Piacenza e ritrarlo avrebbe significato sbandierare la sua ingombrante presenza anche nel quadro.
Inoltre, Ranuccio e Orazio Farnese furono esclusi perché il primo, nominato anch’egli cardinale era odiato da Alessandro per concorrenza e lo stesso per il secondo da parte di Ottavio e addirittura dallo stesso Carlo V. Quando poi il ritratto venne trasferito nel ducato ebbe un posto d’onore, ma per ironia della sorta negli inventari del 1680 e 1708, il cardinale Alessandro venne scambiato per il fratello Ranuccio e il duca Ottavio con il padre Pier Luigi. Molto probabilmente il ritratto non venne concluso a causa dei continui litigi tra Paolo III e il nipote Ottavio o forse perché Tiziano capì che non avrebbe mai ottenuto dai Farnese il tanto sospirato beneficio per il figlio e decise allora di tornarsene a Venezia, lasciandolo così com’era. Tuttavia, il ritratto è utile a farci capire come esattamente dipingesse Tiziano: abbozzata questa pittura dapprima a larghe e spaziose masse di colore con tinte neutre, che formava una specie di chiaroscuro colorato e molto indeciso nella tinta, vi ritornava sopra con colore della stessa natura, sino ad aver ottenuto l’insieme che voleva, e collocate bene al suo posto tutte le parti vi dipingeva sopra, modellando le forme e dandole vita. Si nota, inoltre una sinfonia di rossi che si bloccano in fondo a destra per il bianco della veste del papa e dei calzari di Ottavio. La figura del papa ci mostra, inoltre come Tiziano fosse solito dare un primo e deciso rilievo alle parti essenziali con semplici e rapide pennellate a tinte indefinibili, e come costruisse il gioco delle luci e delle penombre, fissando quelle con pennellate bianche e queste con mezze tinte, e quindi rafforzando il bianco nelle convessità della veste e le tinte rosso-violacee nelle concavità formate dalla mantellina sul petto e sulle spalle. L’efficienza decorativa della tela è costruita sulla differenziazione dei toni rossi (abito del cardinale e tovaglia sulla tavola), dei toni viola (camauro e mantellina del pontefice), dei toni arancione (tenda che colora lo sfondo a destra della stanza), con le enormi pause dei bianchi dorati e argentati nella veste di Paolo III e nelle calze di Ottavio. Dalle radiografie sono poi emersi alcuni ripensamenti da parte del pittore, ad esempio la clessidra, che sta indicare il tempo come rimedio ai mali della famiglia, all’inizio era un calamaio pieno d’inchiostro, come se Tiziano volesse ricordare ai committenti la loro firma per il beneficio promessogli o addirittura la posa del cardinale Alessandro, che all’inizio era spostata leggermente più a sinistra (Fig. 49). La tecnica del non finito, che in alcune parti della tela rasenta l’effettiva incompiutezza, accentua l’atmosfera di intrigo e di untuosa cerimonialità di un’opera che in una regale ma insieme soffocante armonia di rossi riassume le impressioni di Tiziano durante il soggiorno a Roma. Tra i quattro ritratti, questo ebbe maggior fama, tanto che alcuni scrittori in viaggio per Napoli lo citarono nei loro diari, come il filosofo Charles de Brosses (1709-1777): “quel Tiziano perfettamente bello”. Winckelmann scrisse che: “la maggior parte de’ Quadri e i migliori sono disposti in 20 gran Stanzioni […] Il gran ritratto originale di Paolo III Farnese di Tiziano anch’esso di tre figure sta accanto a quell’altro come l’Apollo del Callimaco al Febo dell’Omero e come la Diana dell’Eneide a quella dell’Odissea”.

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BIBLIOGRAFIA

-J. J. Winckelmann, Lettere italiane, a cura di G. Zampa, Milano 1961, p. 312
-C. De Brosses, Lettres familières ècrites d’Italie en 1739 et 1740, Paris 1740, ed. it. a cura di A. Terenzi, 2 voll., Milano 1957; ed. Cit., Viaggio in Italia, Bari 1973, p. 439
-S. Zuffi, Tiziano da Venezia al mondo in La Storia dell’Arte, Vol. X, a cura di S. Zuffi, Milano 2006, pp. 398-400

 

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