Sui criteri di disposizione delle opere d’arte tra Cinque e Settecento

Di Laura Corchia

Nella letteratura e nella storiografia artistica  italiana mancano saggi e trattati specifici dedicati ai criteri e alle norme di arredo degli ambienti come regole e suggerimenti per disporre quadri e disegni.

Nonostante ciò, alcune norme possono essere estrapolate dalla letteratura artistica e dalla trattatistica architettonica.

Leon Battista Alberti, nel De re edificatoria, effettua una distinzione tra spazio pubblico e spazio privato. Nella casa dei cittadini eminenti, l’unico spazio pubblico è quello della biblioteca che deve contenere, oltre ai libri, strumenti matematici, carte geografiche e ritratti di personaggi antichi.

Filoteo Achillini, in un’epistola inviata a Rodolfo Germanico, descrive la dimora ideale del sapiente, in cui si privilegiano gli ambienti di rappresentanza in un percorso che si snoda dall’atrio decorato di statue e di contenitori di medaglie, fino alla sala della musica, all’armeria, alla biblioteca e al teatro.

Paolo Cortesi, nel suo De Cardinalatu, dà indicazioni su come deve essere strutturato il palazzo di un principe della chiesa. Egli distingue tre zone: una privata, una destinata agli intimi e una pubblica. Quest’ultima consiste in vari ambienti ubicati al primo piano: biblioteca, sala per udienze, sala per banchetti e dattiloteca, ossia un piccolo museo per gemme e monete antiche.

Tra la fine del Cinquecento e gli inizi del seicento si elaborano suggerimenti e prontuari iconografici ad uso degli artisti per un conveniente impiego delle immagini negli edifici.

Il Paleotti, nel suo Trattato in linea con i dettami del concilio di Trento, distingue le immagini lecite da quelle immorali sostenendo che è sconveniente decorare gli spazi pubblici con affreschi e dipinti di soggetto classico e pagano. Allo stesso modo, il Lomazzo nel Trattato dell’arte della pittura, scoltura e architettura enuncia i contenuti più convenienti ai vari ambienti.

Il Trattato della pittura e scultura, uso et abuso loro scritto dal gesuita Ottonelli e da Pietro da Cortona sostiene che negli spazi pubblici le decorazioni dovranno obbedire a criteri di assoluto decoro, mentre negli spazi privati si possono anche usare soggetti licenziosi.

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Con la metà del Seicento gli ambienti e gli spazi di rappresentanza divengono sempre più importanti: gallerie, librerie, sale di lettura, saloni per banchetti e ricevimenti acquistano un ruolo fondamentale nei palazzi.

Un manoscritto attribuito a Cassiano dal Pozzo offre puntuali indicazioni per la costruzione del palazzo-villa principesca: oltre alla galleria e allo studio, che presenta ancora analogie con le Wunderkammern, grande rilievo è posto nella organizzazione in più spazi della libreria.

Il Sansovino descrive una delle più importanti dimore patrizie veneziane in cui si evince l’aumentato risalto accordato agli ambienti destinati all’esposizione delle proprie collezioni.

Dalle testimonianze seicentesche emerge l’evoluzione della galleria nei criteri di arredo e di allestimento. I dipinti venivano, infatti, disposti sulle pareti senza cesure spaziali e senza riguardo alla loro specifica visibilità.

Una lettera del Marchese Vincenzo Giustiniani offre una testimonianza di questo nuovo stile dopo aver distinto lo stile della pittura italiana in dodici maniere.

 

Alla base di questo nuovo tipo di allestimento vi era sempre la volontà di stupire e annientare il visitatore e di dare l’impressione del fasto e della solennità.

Oltre alle testimonianze letterarie, anche alcuni dipinti illustrano l’arredo barocco, ad esempio la galleria dell’arciduca Guglielmo a Bruxelles del Teniers e le vedute dello studio e della tribuna del Rubens.

Grande importanza assumono poi i disegni eseguiti da Diacinto Marmi, architetto e arredatore delle residenze medicee. Da essi emerge il fondamentale ruolo decorativo della pittura che è peraltro intimamente connessa alle suppellettili e ai mobili.

Il Marmi progetta inoltre un sontuoso paramento rosso che prevedeva l’abbinamento di ritratti principeschi riccamente incorniciati alternati a stemmi medicei e che ci è noto da un testamento.

A testimonianza di questo gusto sontuoso per l’arredo restano pochissimi ambienti: le gallerie Doria-Pamphili, Borghese e Spada a Roma; la Corsini, la Martelli e la quadreria di Palazzo Pitti a Firenze; la Durazzo a Genova.

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L’allestimento “a incrostazione” rimane prevalente almeno fino a tutto il Settecento. Ne è un esempio la galleria del card. Silvio Valenti Gonzaga e la galleria del Piranesi.

Nel Seicento non mancano comunque proposte innovative, come quella che emerge da una lettera di Cassiano dal Pozzo all’amico Agnolo Galli. Egli suggerisce una sistemazione inusuale per generi: prospettive urbane e paesaggi alternati ritmicamente e disposti a distanza conveniente e ad altezza d’occhio per poter essere goduti sia singolarmente sia nell’insieme.

Cornelis de Baellieur, Galleria di un collezionista, 1635 c.
Cornelis de Baellieur, Galleria di un collezionista, 1635 c.

I criteri di allestimento proposti da Cassiano dal Pozzo furono applicati soltanto nella disposizione della Tributa degli Uffizi.

Nel 1620 il medico e dilettante Giulio Mancini pubblica le Considerazioni sulla pittura, che può essere considerato una vero e sintetico saggio di Museografia.

Dopo aver effettuato una distinzione dei vari generi di pittura, egli elabora una casistica sulla loro più conveniente e decorosa sistemazione nei vari ambienti di un palazzo signorile: i disegni, divisi per tecnica, grandezza, maniera epoca e scuola, andranno conservati in volumi e custoditi in luoghi appartati; i paesaggi e le carte geografiche in ambienti di passaggio; i soggetti licenziosi in spazi privati; le raffigurazioni storiche, i ritratti, gli emblemi, le imprese nelle anticamere e nei saloni pubblici; i soggetti religiosi e i piccoli formati nelle camere da letto. La galleria dovrà invece contenere tutti i generi di pittura. Le opere di dovranno disporre tenendo conto delle loro diverse condizioni di visibilità e del loro formato.

Tale tipo di allestimento per scuole e per cronologia, diverso dalla fastosità scenografica delle gallerie barocche, non venne tuttavia recepito dai contemporanei. Le gallerie e le quadrerie nobiliari mantennero infatti, fino al primo Ottocento, lo stile d’arredo a incrostazione.

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Le pinacoteche pubbliche, invece, a partire dalla seconda metà del Settecento cominciarono a seguire la disposizione proposta dal Mancini: il Museo di Dresda e la galleria degli Uffizi sono i primi spazi pubblici ad essere allestiti secondo un criterio cronologico.

I disegni e le stampe, già dal Cinquecento, erano oggetto di un fiorente mercato e di raccolte specifiche. Come si evince da una lettera di Giorgio Alario a Scipione Gonzaga, le grandi raccolte di disegni potevano rappresentare solo un costoso e piacevole  passatempo estivo per personaggi eccellenti.

Il Libro dei disegni del Vasari conteneva una raccolta di disegni in undici tomi ordinati secondo un criterio cronologico e in ordine d’acquisto.

Il Museum Chartaceum di Cassiano dal Pozzo raccoglieva invece disegni rinascimentali e seicenteschi sistemati per argomenti e per temi e costituiva il più importante e completo repertorio visivo del mondo classico.

Anche il cardinale Leopoldo de’ Medici possedeva una straordinaria raccolta di disegni disposti in ordine cronologico secondo i consigli del suo bibliotecario, lo storiografo Filippo Baldinucci che ce ne offre una descrizione.

I disegni erano collocati di regola in album o in portafogli mobili e seriati non solo per cronologia e misure ma anche per artista e per soggetto.

Dalla fine del Cinquecento è documentato anche l’uso di esporli come quadri sulle pareti. I più ricercati erano gli studi, i capricci e i disegni d’invenzione considerati manifestazione immediata del genio creativo dell’artista.

I criteri di catalogazione e di ordinamento delle raccolte grafiche furono codificati nel corso del Settecento. un esempio di tali norme ci è offerto da Bartolemeo Benincasa nella descrizione della raccolta di stampe di Jacopo Durazzo.

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