Storia e tecnica dell’affresco

Di Laura Corchia

La tecnica dell’affresco si ha quando per fermare il colore, intriso nell’intonaco ancora umido, ci si avvale del principio della carbonatazione della calce. Essa, combinandosi con i gas carboniosi dell’aria, si trasforma in una superficie compatta e chiude in sé il colore.

Poiché devono resistere all’azione caustica della calce, non tutti i colori sono utilizzabili nell’affresco. Solitamente, si preferiscono i pigmenti di origine minerale: il bianco di S.Giovanni (carbonato di calcio), calce spenta (idrossido di calcio), ocre naturali, oltremare, nero d’avorio, di osso o di vite. Altri colori, invece, a contatto con l’umidità subiscono dei viraggi: il bianco di piombo e il cinabro (solfuro di mercurio) diventano neri, l’azzurrite (carbonato basico di rame) assume una colorazione rossastra.

I colori vengono mescolati con acqua e con l’asciugatura subiscono un abbassamento di tono.

Il muro destinato a ricevere la decorazione deve essere di pietre o di mattoni e, ovviamente, deve essere esente da umidità. Sul supporto viene steso l’arriccio, un impasto formato da una parte di calce grassa spenta e due o tre parti di sabbia di fiume.

L’intonaco, detto anche tonachino, è destinato a ricevere il colore ed è composto di sabbia fine, polvere di marmo e calce in parti pressoché uguali. Esso deve restare umido per tutto il corso del lavoro di coloritura.

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Altichiero da Zevio, Crocifissione.

 

In età paleocristiana e durante l’Alto Medioevo, la tecnica prevedeva una stesura “a pontate” (zone secondo l’impalcatura). Segnati i contorni con ocra rossa, si davano i colori generali, per poi terminare definendo ombre, luci e particolari. Per i colori che mal tollerano la calce, ci si aiutava con leganti aggiuntivi: colla, gomma o albume.

A differenza di altre aree geografiche, dove i contorni erano delineati in nero, in Italia e in Francia si usava tracciarli con ocra rossa. Negli incarnati veniva spesso adoperato il verdaccio, prescritto anche da Cennino Cennini.

In Italia, tra il Due e il Trecento fanno la loro comparsa due grandi novità: l’uso della sinopia e il procedere per “giornate” nell’applicazione dell’intonaco. L’artista si assegnava ogni giorno la parte che avrebbe colorito e su questa stendeva l’intonaco, ripeteva il disegno della sinopia e applicava il colore. Le parti eseguite dal maestro, solitamente, sono individuabili da una sinopia appena abbozzata, mentre le zone spettanti agli aiuti presentano un disegno molto più rifinito e ricco di particolari. Per la stesura del colore, si partiva dalle ombre e poi si stendevano le zone più chiare. Le mezze tinte e i toni vivi venivano realizzati per ultimo.

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L’uso della sinopia scompare nel corso del Quattrocento per cedere il posto all’uso dello spolvero e poi del cartone. Il disegno era eseguito su carta a grandezza naturale e con punte metalliche si perforavano tutti i contorni. Dopo la preparazione del tonachino, si ritagliava la parte del disegno da dipingere, la si appoggiava sul muro e con sacchetto di polvere di carbone si tamponava la sagoma. L’intonaco così segnato mostrava le linee della composizione che, per maggior accuratezza, venivano ripassate a pennello. A differenza dello spolvero, il cartone non veniva bucato e la traccia sull’intonaco veniva segnata per calco con una punta. Per trasporre il disegno in grande si usava il metodo della quadrettatura e, in questo modo, le linee compositive contenute in ciascun quadrato venivano con facilità riportate proporzionalmente nel quadrato corrispondente del cartone.

Nel corso del Cinquecento, si cercò di ottenere una superficie meno liscia e più pastosa, in modo da creare effetti pittorici più vibranti e pastosi. Michelangelo, ad esempio, nel Giudizio Finale aveva usato una superficie più granulosa. Tiepolo, invece, aveva adottato il pastellone, ossia l’intonaco con qualche parte di cocciopesto.

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Tuttavia, è assai raro trovare cicli pittorici eseguiti interamente a buon fresco. Spesso i pittori usavano completare o correggere i dipinti con colori a calce o a tempera. La pittura su muro a secco consente vantaggi immediati: l’uso di più colori, la verifica immediata dell’esito, la possibilità di apportare correzioni. Ma mentre il buon fresco ha una resistenza fortissima, la pittura a secco deperisce molto più velocemente. Il muro per la pittura a secco veniva preparato con gesso e colla e come legante si adoperava l’uovo e acqua di calce limpida oppure caseina. Ma fu anche usato l’olio. A tal proposito, Giorgio Vasari ci dà varie indicazioni e a proposito di Sebastiano del Piombo dice: «usava costui siffatta diligenza, che faceva l’arricciato grosso della calcina con mistura di mastice e pece greca e quelle insieme fondute al fuoco e date nelle mura, faceva poi spianare con la mescola da calcina fatta rossa ovvero rovente al fuoco donde le sue cose reggere all’umido e conservare benissimo il colore senza fargli mutazione».

 

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