Storia di Narciso: il fatal amor proprio

di Laura Corchia

Da Caravaggio a Poussin, da Waterhouse a Dalì, sono molti gli artisti che hanno raffigurato il mito di Narciso, il fanciullo che incarna l’immagine dell’amor proprio, una venerazione divenuta poi fatale.

Il mito di Narciso lo troviamo per la prima volta nelle Metamorfosi di Ovidio; ripreso poi in età medievale con la traduzione in volgare delle stesse Metamorfosi.

Narciso era figlio figlio del dio fluviale Censo e della ninfa Lirope. La madre, preoccupata per la sorta del bellissimo fanciullo, interrogò l’indovino Tiresia, il quale predisse che egli sarebbe vissuto finché non avesse conosciuto sé stesso. Narciso conduceva una vita spensierata finché un giorno non incontrò la ninfa Eco che si innamorò perdutamente di lui. Sentitasi rifiutata, invocò giustizia agli dei: “Che possa innamorarsi anche lui e non possedere chi ama!”. Nemesi ascoltò le preghiere della ninfa e fece sì che Narciso si specchiasse in un laghetto e che si innamorasse della sua stessa immagine. Distrutto dall’idea di non poter avere sé stesso, il giovane si lasciò morire, consumato da un amore vano e ridicolo:

“Io sono io! L’ho capito, l’immagine mia non m’inganna più!
Per me stesso brucio d’amore, accendo e subisco la fiamma!
Che fare? Essere implorato o implorare? E poi cosa implorare?
Ciò che desidero è in me: un tesoro che mi rende impotente.
Oh potessi staccarmi dal mio corpo!
Voto inaudito per gli amanti: voler distante chi amiamo!
Ormai il dolore mi toglie le forze, e non mi resta
da vivere più di tanto: mi spengo nel fiore degli anni.
No grave non mi è la morte, se con lei avrà fine il mio dolore;
solo vorrei che vivesse più a lungo lui, che tanto ho caro.
Ma, il cuore unito in un’anima sola, noi due ora moriremo.”
(Ovidio, Le Metamorfosi, Libro VIII).

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Al suo posto spuntò un fiore giallo e bianco che prese in suo nome.

John William Waterhouse, Eco e Narciso, 1903
John William Waterhouse, Eco e Narciso, 1903

Nel Medioevo, la storia di Narciso assunse un duplice significato: era infatti un’ammonimento contro la vanità, ma assumeva anche la sofisticata visione della conoscenza di sé stessi.

Leon Battista Alberti nel De Pictura (1436) ricorre al mito di Narciso per spiegare le origini della pittura: “Perciò usai di dire tra i miei amici, secondo la sentenza de’ poeti, quel Narcisso convertito in fiore essere della pittura stato inventore; ché già ove sia la pittura fiore d’ogni arte, ivi tutta la storia di Narcisso viene in proposito. Che dirai tu essere dipignere altra cosa che simile abracciare con arte quella ivi superficie del fonte?”. 

Caravaggio, Narciso, 1597-1599
Caravaggio, Narciso, 1597-1599

Come si è detto, tra gli artisti che hanno raffigurato il mito di Narciso, c’è Caravaggio. L’opera è stata eseguita tra il 1597 e il 1599. Narciso è ritratto in vesti rinascimentali e, in modo speculare, l’immagine si riflette in basso. L’ambiente è buio, per dare una maggiore centralità alla figura del giovane che ammira sé stesso. In quelle acque torbide è celato il suo infelice destino.

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Diversa è la versione di John William Waterhouse. La scena è ambientata in un bosco reso con una forte attenzione al dato realistico. Il giovane guarda la sua immagine riflessa nelle acque mentre Eco lo osserva con uno sguardo carico d’amore. In primo piano, i narcisi sono già spuntati, preludio di ciò che sta per accadere:

“Specchiandosi nell’acqua tornata di nuovo limpida,
non resiste più e, come cera bionda al brillio
di una fiammella o la brina del mattino al tepore
del sole si sciolgono, così, sfinito d’amore,
si strugge e un fuoco occulto a poco a poco lo consuma.”
(Ovidio, Le Metamorfosi, Libro VIII)

 

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