Il mito di Eros in pittura: “Omnia vincit amor”

di Laura Corchia

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer sì forte,

che, come vedi, ancor non m’abbandona. 

(Dante Alighieri)

Nella mitologia greca, Eros è il dio dell’amore. I greci lo raffiguravano come un giovinetto bellissimo, nudo, armato di arco e frecce. Appena nato, fu portato dalla madre Afrodite al cospetto di Zeus, il quale capì subito quali e quanti danni il divino fanciullo avrebbe provocato e le consigliò di sopprimerlo.

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Afrodite lo nascose nei boschi e il piccolo sopravvisse nutrendosi con il latte delle belve feroci. Ancora giovane, si costruì da solo arco e frecce e imparò a ad usarlo esercitandosi colpendo le stesse bestie che lo avevano allevato. Anche da adulto, tirò dardi contro gli dei dell’Olimpo, scatenando intense passioni. Dalle ferite provocate, nasceva il mal d’amore.

Dal punto di vista iconografico, gli artisti lo hanno rappresentato come un fanciullo o un efebo, spesso alato, armato di un arco con cui scaglia sugli uomini le frecce, più raramente con fiori o una lira. Per indicare che l’illusione amorosa non fa vedere i difetti della persona amata, spesso veniva raffigurato con gli occhi coperti da una benda ed una face accesa gli fiammeggiava in una delle mani. Nell’arte ellenistica e romana non ci sono descrizioni riguardanti la cecità di Cupido, che non viene raffigurato bendato. La benda fa la sua comparsa in una miniatura datata 975. In età ellenistica la sua figura diviene più molle, femminea, sempre più infantile, finché venne rappresentato come un putto alato. A questo periodo risale anche la nascita del mito di Amore e Psiche.

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Luca Cranach il vecchio inventò una nuova personificazione: dipinse un Cupido che si toglie la benda, trasformandosi in amore veggente.

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Caravaggio ha raffigurato invece Cupido nei panni dell’amore vincitore. Il dipinto fu commissionato da Vincenzo Giustiniani tra il 1602 e il 1603. Dal punto di vista iconologico, rappresenta l’amore vincitore sulle arti, come è dimostrato dalla presenza dei libri e degli strumenti musicali. A posare per l’artista è Cecco Boneri e le sue ali somigliano a quelle di un’aquila. Nudo e ridente, il fanciullo divarica le gambe senza alcun pudore. Il suo sorriso è un segno di disprezzo nei confronti delle arti, come a dire che questo amore vince tutto, vince la stessa attività artistica, la musica,il potere (della guerra e della scienza). È come se Caravaggio avesse fatto un autoritratto di sé, non mettendo il suo ritratto, ma il suo spirito forte, energico, lieto. 

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Spesso, Cupido compare nei dipinti in compagnia di Venere. Prendiamo il caso dell’opera di Pontormo, dipinta su cartone di Michelangelo. La figura femminile giace occupando tutta la lunghezza del dipinto. Ruota il capo per baciare Cupido, figlio e amante. I corpi si intrecciano e rivelano una derivazione michelangiolesca nelle forme scultoree di Venere e nella complicata posizione degli amanti, colti in torsioni innaturali.

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