Spontanea felicità di colori e grazia mozartiana di ritmi: la pittura di Raoul Dufy

di Selenia De Michele

Raoul Dufy è un artista all’apparenza semplice ed immediato: pittura chiara e luminosa, mobile e vibrante, sulla trama di uno schema grafico sottile che compenetra ogni parte della composizione con la sicurezza di chi non conosce l’ombra di un pentimento. Dufy (Le Havre 1877 – Forcalquier 1953) nasce in una casa di musicisti, tre fratelli e tre sorelle, e conserva nella sua arte la grazia mozartiana tipica della musica senza essersi però mai proposto un programma di pittura musicale.
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Il termine mozartiano rimanda ad uno dei caratteri più immediati dei suoi lavori: un’aria di infanzia, di letizia spontanea, di disposizione alla gioia. Tuttavia questa apparente “innocenza” non basta a spiegare la complessità della sua arte le cui radici più profonde vanno ricercate nel cammino da lui percorso. La sua formazione avvenne seguendo in prima battuta i corsi serali di Belle Arti alla Scuola Municipale di Le Havre. Nel 1901 debutta al Salon des Artistes Francais, nel 1903 al Salon des Independents e nel 1905 al Salon d’Automne. Nel frattempo viene a conoscenza con l’operato degli Impressionisti (anche Monet era nativo di Le Havre) ma se ne stacca dai modi per una diversa impostazione di fondo che rimane sua caratteristica: gli impressionisti cercano di afferrare la luce nelle sue diverse apparizioni cercando di dominarla e di riprodurne la sostanza luminosa. Dufy si concentra sull’afferrare dall’aria dei suoi paesaggi un ritmo di linee e forme che fa pensare ad un gioco dove i protagonisti sono l’apparenza della luce e le suggestioni che essa suscita. Mentre per gli impressionisti il principio basilare era penetrare e conoscere la realtà tramite la sicura intuizione ottica, per Dufy la conoscenza del reale è un pretesto più lontano. Nello stesso periodo viene a contatto anche con i Fauves e l’incontro del 1906 con Matisse è una tappa miliare nella sua formazione. Grazie a lui riesce a liberarsi dall’eredità impressionista: i colori vengono forzati fino a dare loro un valore lirico al punto da fargli assumere timbri acuti e contrastanti. Risale a questo periodo il momento più prolifico ed intenso della sua attività. I soggetti raffigurano strade decorate da bandiere, facciate di case dipinte con colori lucenti, ombrelli colorati, balli campestri e regate, terrazze sulla spiaggia e vele al vento. Le suggestioni raccolte e le influenze dei Fauves si traducono  in un divagare della fantasia di fronte alla realtà: i suoi paesaggi, i suoi interni, una composizione qualsiasi non sono altro che fiabe raccontate.

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Con ciò si spiega il continuo ricorso a tecniche diverse fino all’approdo al mondo cubista. Numerose opere prodotte tra il 1908 e il 1919 hanno una chiara impronta cubista che tuttavia non snatura lo stile ma anzi lo arricchisce. I paesaggi si disfano e si ricompongono attraverso l’analisi e la sintesi cubiste. In questo periodo lavora a stretto contatto con Braque e con lui dipinge un paesaggio caro a Cezanne: l’Estaque. Il colore ha toni più bassi e meno squillanti pur rimanendo essenziale nel suggerire le variazioni della luce e nel consolidare la forma. Verso il 1920 si viene a determinare il suo stile: l’artista crea vari piani, li scompone, li riavvicina o li allontana attraverso la trama di un segno leggero. Il colore diviene vibrazione del segno e compartecipe della sua stesura entro le campiture nette dei contorni. Fonti di ispirazione sono i viaggi compiuti in questi anni: nel 1922 si reca in Sicilia soggiornando a lungo a Taormina, nel 1926 è la volta del Marocco, a seguire la Provenza.
E’ nei ritratti che si nota tutta la sua singolarità rispetto al panorama di artisti cresciuti nell’ambiente parigino. La sua arte non nasce solo come dono naturale e disposizione felice dell’animo ma è frutto di una semplificazione essenziale degli elementi stilistici. Spesso anche i soggetti della sua pittura si sviluppano come variazioni sul tema: i paesaggi di mare divengono quasi irreali nella serie delle “Navi da carico sul mare”. Si tratta di marine dove domina la vampata scura del colore nella zona di luce zenitale con un procedimento caro a Matisse nell’invertire l’illusione della luce, solitamente espressa in toni chiari, in una variazione di neri intensi. Procedimento analogo si ritrova nelle regate, nei ricevimenti, nella raccolta delle messi, nei concorsi ippici, gli interni dello studio dell’artisti, nei concerti e negli strumenti musicali.
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Negli ultimi anni del suo lavoro Dufy si fa ancora più raffinato ed intenso: la pittura aspira ad una purezza lontana da qualsiasi tipo di fisicità, il ritmo acquista un’incisività prima conosciuta e il colore trova una forte intensità timbrica. Malato si oppone con mirabile forza d’animo al male fisico e trova nuovi momenti di gioia nell’arte e nella ricerca di una bellezza lungamente sognata sia nella natura che nella vita.
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BIBLIOGRAFIA CONSULTATA PER LA REDAZIONE DI QUESTO ARTICOLO:
  • Guido Perocco, Dufy, in I maestri del colore:  n° 101
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