Roma e il recupero dell’antico

Di Laura Corchia

A Roma l’intesse per l’antico si realizza più tardi rispetto a Firenze e a Venezia e ha come massimi esponenti Poggio Bracciolini, Leon Battista Alberti, Pomponio Leto e Flavio Biondo.

Se con papa Martino V si inizia a guardare le vestigia classiche come ad un patrimonio da salvaguardare, è con papa Paolo II che inizia la tendenza a raccogliere e a collezionare i reperti antichi, come testimonia la lettera di Carlo dè Medici. Alcuni pezzi della sua ingentissima collezione di gemme, monete, medaglie, cammei, fra cui la preziosa tazza Farnese passeranno poi a Lorenzo il Magnifico.

Tazza Farnese - piatto da libagione (phiale) di epoca ellenistica e di scuola alessandrina, fabbricato in agata sardonica e del diametro di 20 cm circa, probabilmente non usato per i banchetti ma per libagioni rituali, attualmente conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli
Tazza Farnese – piatto da libagione (phiale) di epoca ellenistica e di scuola alessandrina, fabbricato in agata sardonica e del diametro di 20 cm circa, probabilmente non usato per i banchetti ma per libagioni rituali, attualmente conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli


Il suo successore, Sisto IV, dona al popolo romano un importante nucleo di bronzi antichi collocandoli in Campidoglio. Questa prima raccolta pubblica stimolerà alla fine del Cinquecento l’apertura degli Uffizi e dello Statuario pubblico di venezia.

Giulio II, nell’ambito di un grandioso programma politico, incarica il Bramante di incorporare la villa di Innocenzo VIII in un vasto complesso che prevedeva anche un teatro, un museo, un giardino e una biblioteca. All’estremità del cortile della Pigna trovarono posto le statue antiche, come ci testimonia la descrizione degli ambasciatori veneziani.

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Sotto il pontificato di Leone X, Raffaello affresca le logge vaticane “a grottesche”, ad imitazione della Domus Aurea, come testimonia Michiel nei diari.

Nel 1519 Raffaello, nominato ispettore generale delle belle arti, invia al pontefice una lettera in cui fornisce un articolato resoconto delle misure necessarie di salvaguardia e delle diverse fasi e sistemi costruttivi dell’architettura imperiale allo scopo di ricostruire, attraverso una pianta, le vestigia dell’antica Roma. A partire da tale periodo sarà costante la tendenza dei pontefici ad affidare ad esperti tecnici la salvaguardia dei beni artistici.

A Napoli l’umanesimo fu essenzialmente un fenomeno di importazione. Il palazzo di Ludovico da Montalto e di Diomede Carafa conservavano, come ricorda il Summonte in una lettera indirizzata a Marco Antonio Michiel, pezzi antichi di gran valore.

Tra il 1536 e il 1543 l’umanista e storico Paolo Giovio fa costruire una dimora sul lago di Como destinata a conservare le sue collezioni. La villa ci è nota dalla descrizione del poligrafo Anton Francesco Doni e viene definita dal proprietario “iocundissimo museo”. Il termine viene qui usato per la prima volta nella sua accezione moderna, ovvero uno spazio destinato a esporre opere d’arte e oggetti preziosi. Uno dei saloni della villa, decorato con immagini delle Muse, ospitava una grande raccolta di ritratti di uomini illustri nell’intento di creare una galleria di personaggi eccellenti divisi per generi. La novità proposta dal Giovio determina un’evoluzione nella storia del collezionismo: allo studiolo si sostituiscono i giardini, i saloni, le logge, i cortili, prima di arrivare alla galleria nel seicento.

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Veduta della villa-museo di Paolo Giovio
Veduta della villa-museo di Paolo Giovio

A Roma, le facciate dei palazzi iniziarono ad accogliere sculture e fregi antichi. Ne è un esempio la facciata interna del Palazzo Capranica della Valle nota da una descrizione del Vasari o quella della villa del Cardinale Ferdinando dè Medici o del palazzo Mattei realizzato da Carlo Maderno.

Così, sull’esempio del Belvedere, giardini, orti e vigne si popolarono di statue, come l’interno dell’abitazione del fiorentino Bindo Altoviti noto dalla descrizione dell’Aldrovrandi e il giardino del banchiere Jacopo Galli che esponeva il Bacco di Michelangelo. Il rustico padiglione del cardinale Cesarini e il giardino di Ciriaco Maffei sono concepiti non solo per il piacere del proprietario, ma anche per il diletto di amici e visitatori.

Accanto alle grandi collezioni di statue e reperti classici, diffusissimo era l’uso di raccogliere monete, gemme e cammei antichi che, per la prima volta, vennero apprezzati come preziose testimonianze visive dell’antico. Marco Altieri, nei suoi vivaci resoconti, ne attesta la voga presso i circoli di appassionati conoscitori. Lo scultore Leone Leoni ci informa in una lettera all’arcivescovo di Arras dell’esistenza di raccolte specializzate come quelle dei Corsini e di Pirro Ligorio.

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L’interesse per le recenti scoperte archeologiche sono evidenti dalle rime del Prospettivo Milanese identificato in Bramante e riguardanti le escursioni alla domus aurea, dai ricordi autobiografici di Benvenuto Cellini, dalle lettere del cardinal Francesco Del Monte e dalle notizie dello Zuccari sul ritrovamento delle Nozze Aldobrandine, capolavoro di età augustea.

All’inizio del Seicento il gusto delle rovine e l’interesse per l’antiquaria divengono anche moda e vezzo intellettuale provocando feroci satire, come quella del Doni sul maniaco raccoglitore di anticaglie per lo studiolo, o le beffarde rime del Berni.

 

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