René Magritte, il poeta dei sogni

di Laura Corchia

“Il mondo è così totalmente e meravigliosamente privo di senso che riuscire ad essere felici non è fortuna: è arte allo stato puro.”

(René Magritte)

Accostatosi al Surrealismo dopo aver conosciuto i dipinti di De Chirico, René Magritte nacque il 21 novembre 1898 a Lessines, in Belgio. Nel 1912 una tragedia famigliare sconvolse la vita del giovane: la madre morì gettandosi nel fiume Sambre e, secondo le fonti dell’epoca, fu ritrovata con la testa avvolta dalla camicia da notte. Questa immagine traumatica ricorre spesso nei dipinti di Magritte, come il peggiore degli incubi.

Quattro anni più tardi, René si iscrisse all’Accademia di belle arti di Bruxelles e nel 1927 si trasferì a Parigi. Entrato in contatto con i Surrealisti, avviò la sua personale ricerca incentrata sul nonsenso delle cose, sui rapporti tra visione e linguaggio, sulla creazione di situazioni inattese ed impossibili, sulla decontestualizzazione di oggetti quotidiani che si rivelano in tutto il loro mistero. Risale al 1928-1929 L’uso della parola I, un dipinto in cui è raffigurata una pipa accompagnata dalla scritta “Ceci n’est pas une pipe” (Questo non è una pipa). Magritte voleva in questo modo sottolineare la differenza tra l’oggetto reale e la sua rappresentazione. Per la prima volta, un’opera d’arte invita lo spettatore a riflettere, a decodificare il suo messaggio implicito.

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Scrisse l’artista: “Io mi sforzo di non dipingere se non immagini che evochino il mistero del mondo. Perché ciò sia possibile, devo essere ben vigile, ossia devo cessare di identificarmi interamente con idee, sentimenti, sensazioni”.

René Magritte, Il figlio dell’uomo, 1964
René Magritte, Il figlio dell’uomo, 1964

La capacità poetica dei dipinti di Magritte è accresciuta dal titolo scelto, mai esplicativo del soggetto rappresentato ma, in un certo modo, ad esso attinente. Ad esempio il nome di Euclide è connesso con la geometria in Le passeggiate di Euclide; la bellezza, la delicatezza e la grazia di un uccello reso natura vegetale si addice, invece, a Le grazie naturali. 

“Non credo di essere un pittore nella piena accezione del termine. Se, quand’ero giovane, la pittura era un grande piacere, in certi momenti non ero insensibile a un sentimento spontaneo che mi sorprendeva, precisamente quello di esistere senza conoscere la ragione del vivere e del morire. E’ questo sentimento che mi ha indotto a rompere con interessi -del resto assai poco precisi – d’ordine puramente estetico. Per esempio, mi accadeva di smettere all’improvviso di dipingere per essere stupito di essere, di avere un modello vivente davanti a me e di sentire che vedere la ‘vita’ aveva un’importanza ben maggiore che dedicarsi ai piaceri dell’arte d’avanguardia. Nel 1925, stanco di quei piaceri, ho pensato che poco importava trovare un nuovo modo di dipingere ma che per me si trattava piuttosto che bisogna dipingere, di sapere perché il mistero sia messo in questione”.

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Queste parole furono scritte da Magritte pochi mesi prima di morire e rendono bene la personalità di un artista capace di scavare a fondo nella realtà e di restituirci un’immagine di essa priva di luoghi comuni e di immagini stereotipate: “Ciò che vedete sulla superficie di quel muro non è un insieme di linee e di colori; è una profondità, un cielo, delle nuvole che hanno alzato il sipario del vostro tetto, una vera colonna intorno a cui potete girare, una scala che prolunga i gradini su cui vi trovare 8 e voi fate già un passo nella sua direzione, vostro malgrado), una balaustra di pietra da cui si stanno affacciando per vedervi i volti attenti dei cortigiani e delle dame, che portano nastri e abiti uguali ai vostri, che sorridono al vostro stupore e ai vostri sorrisi, facendo verso di voi dei segni che trovate misteriosi soltanto perché hanno già risposto senza aspettare quelli che voi farete loro”.

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