Paul Gauguin, il selvaggio dell’arte

di Laura Corchia

 “Io partirò. Battello che dondoli l’alberatura
leva l’àncora verso la natura esotica!”
(Mallarmé, Brise marine)

La vita di Paul Gauguin (1848-1903) fu un moto perpetuo tra l’Europa, il Sud America e l’Oceania.

Nato a Parigi nel 1848, era figlio di un giornalista e di Aline Marie Chazal. La famiglia si trasferì in Perù con l’avvento al potere di Napoleone III e rientrò in Francia nel 1855.

Nel 1865, a soli diciassette anni, Gauguin iniziò a viaggiare per il mondo e nel 1873 sposò Mette Sophie Gad, una cittadina danese. Impiegato come agente di cambio, l’artista dovette abbandonare il lavoro a causa di una grave crisi economica attraversata dalla Francia. L’evento non fu però così traumatico per Gauguin che poté così dedicarsi completamente alla pittura. Nel 1885 si trasferì in Bretagna alla ricerca di una vita semplice, primitiva e libera da condizionamenti.

Nudo di donna che cuce, olio su tela, 115x80 cm, 1880, Ny Carlsberg, Copenaghen
Nudo di donna che cuce, olio su tela, 115×80 cm, 1880, Ny Carlsberg, Copenaghen

Dopo un inizio nel solco dell’Impressionismo, lo stile di Gauguin mutò completamente: i colori, stesi a campiture piatte, erano quelli primari: rosso, giallo e blu. Forte influenza ebbe sull’artista l’arte giapponese: “Guardate i giapponesi, che pure dipingono in modo ammirevole e vedrete una vita all’aria aperta e al sole, senza ombre. Usano i colori solo come combinazione di toni, di armonie diverse […] voglio staccarmi quanto più è possibile da qualsiasi cosa che dia l’illusione di un oggetto, e poiché le ombre sono il trompe-l’oeil del sole, sono propenso a eliminarle. Ma se una sfumatura entra nella composizione come forma necessaria, allora è diverso […] Così, mettete pure delle ombre, se le giudicate utili, oppure non le mettete: è la stessa cosa, se non siete schiavi dell’ombra. È piuttosto questa che deve essere al vostro servizio”.

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La visione dopo il sermone, olio su tela, 73x92 cm, 1888, Nat. Gall. of Scotland, Edinburgh
La visione dopo il sermone, olio su tela, 73×92 cm, 1888, Nat. Gall. of Scotland, Edinburgh

Proprio come nell’arte giapponese, Gauguin adottò una visione antinaturalistica della realtà: spiagge rosse, acqua gialla e verde. Dall’amico Bernard, Gauguin apprese il cloisonnisme, una tecnica consistente nel contornare con un marcato segno nero cose e persone e nel riempire lo spazio così definito con il colore, come spiega Eduard Dujardin : “Questi quadri danno l’impressione di una pittura decorativa, un tracciato esterno, un colore violento e di getto richiamano inevitabilmente l’imagerie e le giapponeserie. Poi, sotto il tono ieratico del disegno e del colore, s’intuisce una verità sorprendente che si libera dal romanticismo della passione, e soprattutto, poco a poco, la nostra analisi viene richiamata sulla costruzione intenzionale, razionale, intellettuale e sistematica […] il pittore traccerà il disegno entro linee chiuse entro cui porrà diversi toni, la sovrapposizione dei quali darà la sensazione della colorazione generale ricercata, poiché colore e disegno si compenetrano a vicenda. Il lavoro di questo pittore è qualcosa come una pittura per compartimenti simile al cloisonné, e la sua tecnica risulterà una specie di cloisonnisme “.

Il Cristo giallo, olio su tela, 92x73 cm, 1889, Albright-Knox A. G., Buffalo.
Il Cristo giallo, olio su tela, 92×73 cm, 1889, Albright-Knox A. G., Buffalo.

La forte linea di contorno mette in risalto ciò che è rappresentato in modo bidimensionale, senza alcuna allusione alla profondità spaziale. Il Cristo giallo è un valido esempio di queste idee: raffigura delle donne bretoni inginocchiate ai piedi di una statua del Crocifisso. Le colline sono gialle, gli alberi di un rosso vivo e il Cristo, contornato di nero e di verde, è giallo. Le figure hanno tratti appena abbozzati e sintetici.

Dopo la traumatica esperienza di Arles insieme a Van Gogh, si trasferì a Tahiti, dove visse dal 1891 al 1893. In quel periodo scrisse alla moglie: “Sono un grande artista e lo so. Proprio perché lo sono, ho sopportato molte sofferenze: per seguire la mia vita, se no mi considererei un bandito. Che è quello che sono, del resto, per molte persone. In fondo, che importa? Ciò che mi tormenta di più non è tanto la miseria quanto gli intralci continui alla mia arte, che non posso realizzare come la sento, e come potrei fare senza la miseria che mi lega le mani. Tu mi dici che ho torto a voler restare lontano dal centro dell’arte. No, ho ragione: da un pezzo so che cosa faccio e perché lo faccio. Il mio centro artistico è nel mio cervello e non altrove, e io sono grande perché non mi lascio frastornare dagli altri e perché faccio quello che è in me”.

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Vahine no te tiare, olio su tela, 70x46 cm, 1891, Ny Carsberg, Copenaghen.
Vahine no te tiare, olio su tela, 70×46 cm, 1891, Ny Carsberg, Copenaghen.

Nell’isolamento dei mari del Sud, la pittura di Gauguin diede il meglio di se stessa. Protagoniste delle sue opere sono molto spesso le donne tahitiane, come in Vahine no te tiare (Donna col fiore):

“ama la bellezza squadrata, senza finezze, sicura e forte, delle donne di Tahiti; sente simpatia per la loro ingenua naturalità; è entusiasta dei toni caldi e ricchi della loro carne. Egli ama troppo la sua modella per sacrificarla al sintetismo; e perciò dipinge in modo sintetico ma non sintetistico.; la sua forma è tutta accenti, ma nulla che valga è tralasciato; e nulla è astratto, perché ogni linea e ogni tono son pieni di ammirazione e di gioia. Il doloroso, malefico Gauguin è scomparso. lontano dalla civiltà, oltre Papeete, nella foresta, egli ha ritrovato la sua calma, la sua umanità, la sua gioia. E con la sua gioia ritrova la giustezza del tono, scuro su chiaro, e l’armonia calma non più esasperata dei colori. Il giallo bruno delle carni, l’azzurro nero dei capelli e l’azzurro viola della veste (appena interrotti da qualche zona bianco-rosa) risaltano sul fondo chiaro, arancione in alto e rosso in basso, sparso di foglie verdi. E persino certe mancanze costruttive, proporzionali, volumetriche o luministiche, diventano qualità perché sottintendono freschezza o vivacità d’espressione, spontaneità creativa. Gauguin ha fatto opere belle come questa, ma non migliori”.

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Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?, olio su tela 139 x 374,5 cm, 1897, Museum of Fine Arts, Boston.
Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?, olio su tela 139 x 374,5 cm, 1897, Museum of Fine Arts, Boston.

Poco prima di un tentativo non riuscito di suicidio, Gauguin dipinse il suo testamento spirituale: Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?. L’artista stesso ne spiegò il significato:

“Dove andiamo? Accanto alla morte di una vecchia. Un uccello strano stupido conclude. Che siamo? Esistenza giornaliera. L’uomo d’istinto si chiede che significa tutto ciò. Da dove veniamo? Fonte. Bambino. La vita comune. L’uccello conclude il poema in comparazione dell’essere inferiore di fronte all’essere intelligente in questo grande tutto che è il problema annunciato dal titolo. Dietro a un albero due figure sinistre, avvolte in vesti di colore triste, pongono accanto all’albero della scienza la loro nota di dolore causata da questa scienza stessa in confronto con gli esseri semplici in una natura vergine che potrebbe essere un paradiso di concezione umana, abbandonatasi alla gioia di vivere”.

L’artista si spense l’8 maggio 1903 nella sua casa a a Hiva Oa. 

 

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