Oskar Kokoschka (1886-1980): la penetrazione psicologica

di Laura Corchia

Nato a Pöchlarn nel 1886, Oskar Kokoschka studiò dapprima chimica, poi dal 1903 al 1909 frequentò l’Accademia di belle arti di Vienna, la stessa a suo tempo frequentata da Klimt.

Iconoclasta e ironico, poetico e sognatore, Kokoschka si rivela ben presto un personaggio scomodo a causa del proprio temperamento artistico e delle posizioni sociopolitiche assunte.

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Nel 1912 espone a Berlino e a Colonia e intreccia una pericolosa relazione con Alma Mahler, la colta e affascinante vedova del musicista.

Allo scoppio della guerra si arruola volontario, forse anche per superare il dolore per la fine della storia con la donna. Gravemente ferito, si congeda e si trasferisce a Dresda dove, nel 1919, ottiene una cattedra all’Accademia. Inizia per lui un decennio di fervente attività artistica e nel 1939 l’amore bussa per la seconda volta alla sua porta: questa volta ad infiammargli il cuore è Olda Palkovska, sua futura moglie e grande musa ispiratrice.

Nel 1938, accusato dal regime hitleriano di essere un “artista degenerato”, si rifugia a Londra e nel 1953, dopo un breve soggiorno negli Stati Uniti, si stabilisce sul lago di Ginevra, dove muore nel febbraio del 1980.

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Fin dagli esordi, Kokoschka si sente allievo spirituale di Klimt, dal quale eredita la convinzione che un bravo artista deve padroneggiare tutte le tecniche di esecuzione. Straordinario disegnatore, predilige la figura umana e il ritratto, condotti talvolta ad estrema compiutezza. I suoi lavori grafici si caratterizzano per i segni netti e decisi, senza ripensamenti e senza effetti di chiaroscuro. Le forme sono sintetizzate in poche linee e, grazie a qualche sapiente pennellate ad acquerello, prendono volume e concretezza.

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Nell’arco della sua carriera, Kokoschka dipinge molto ad olio. La ritrattistica gli permette di scavare a fondo nell’animo dei suoi personaggi, giungendo quasi ad un’accurata indagine psicoanalitica. La figura è fatta da un nervoso rincorrersi di pennellate, come se fosse sbozzata, ricavata da una materia angolosa e tagliente. Non c’è naturalismo né attenzione alle proporzioni. La struttura risulta deformata e incerta e la materia stessa del colore, grassa e densa, appare il frutto di una profonda operazione mentale.

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Grande capolavoro di Kokoschka è La sposa del vento, un grande olio su tela risalente al 1914. L’opera rappresenta la fine del travolgente e tormentato rapporto d’amore con Alma, adagiata insieme all’artista su una sorta di letto scomposto. Il convulso agitarsi della scena vuole essere un richiamo alla tempesta di passione, all’intensità devastante dell’amore. La donna è caduta in un sonno sereno, forse ignara della prossima fine. A vegliare sul suo sonno c’è l’artista, con gli occhi che osservano un punto fisso e le mani formate da un intreccio di nodi. La tavolozza, giocata sui molti toni del blu e dei grigi, partecipa al disordine interiore e all’angoscia che dilaniano il cuore di Kokoschka.

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“Io non sono un maestro, sono un eterno principiante”, diceva di sé l’artista. La sua continua ricerca, lunga quasi quanto un secolo, svela sempre l’umiltà dell’insegnamento quotidiano e l’attenzione a un mondo di sentimenti e debolezze che paiono come strappati a forza dal cuore dei tanti personaggi che il suo pennello ha dipinto.

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