“Noa Noa”: il diario di viaggio di Paul Gauguin

Di Laura Corchia

Nel 1891 Paul Gauguin arriva a Tahiti, dove si fermerà per tre anni e dove ritornerà nel 1895, dopo un breve e penoso rientro in Francia.

“Possa venire il giorno (e forse verrà presto) in cui fuggirò nei boschi di qualche isola dell’Oceania, a vivere d’estasi, di calma e d’arte, circondato da una nuova famiglia, lontano dalla lotta europea per il denaro. Lì a Tahiti potrò ascoltare, nel silenzio delle belle notti tropicali, la dolce musica sussurrante degli slanci del mio cuore in amorosa armonia con gli esseri misteriosi che mi saranno attorno. Finalmente libero, senza preoccupazioni di denaro, potrò amare, cantare e morire”, così scrive Gauguin alla moglie Mette qualche mese prima di partire per i Mari del Sud.

Lontano dalle regole e dai preconcetti di una società che l’artista non riesce più ad accettare e che sente come limitante, questo paradiso terrestre rappresenta per lui un approdo, una meta dove ritrovare sé stesso e dove riprendere la sua pittura.

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Gli anni di Tahiti rappresentano il periodo più fecondo della sua intera esistenza. Gauguin vuole fondersi con questa nuova civiltà, diventarne parte integrante. Per cercare un senso di appartenenza alle varie comunità che lo ospitano, egli va alla scoperta del profumo di questa terra (noa-noasignifica appunto ‘che profuma’). Ed è Teura, la tredicenne sposa tahitiana, a guidarlo; la dolce piccola Teura diviene per Guaguin quasi una sacerdotessa di quel magico, inestricabile paradiso. Egli dirà di lei: “É entrata nella mia vita al momento giusto: più presto forse non l’avrei capita e, più tardi, sarebbe stato troppo tardi. Ora sento quanto l’amo e, grazie a lei, penetro finalmente misteri che fino a qui mi restavano ribelli”. 

Per Gauguin, e soprattutto per la sua pittura, è un’esperienza decisiva, è come tornare alle radici dell’esistenza, a un mondo fatto di istinto, di genuinità, di ritmi naturali e di silenzi. Ed è questa realtà che Gauguin ritrae nelle sue tele e racconta nelle pagine di un quaderno che intitola semplicemente “Noa Noa”, profumo. Un taccuino d’impressioni, che l’artista trascrive una volta rientrato a Parigi:“Preparo un libro” scrive alla moglie nell’autunno del 1893 “su Tahiti che sarà molto utile per far capire la mia pittura”. Una sorta di memoriale, a supporto della sua arte, a rafforzare quel sentimento di primitività così nuovo e così difficile da far comprendere ai moderni europei.

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Gauguin torna in Francia definitivamente nel 1901, richiamato in patria da importanti affari di famiglia. Il rammarico di questo addio si avverte nelle sue parole: “Addio, terra ospitale, terra meravigliosa, patria di libertà e di bellezza! Parto con due anni di più, ringiovanito di venti, più barbaro anche di quando sono arrivato eppure più sapiente. Sì, i selvaggi hanno insegnato molte cose al vecchio civilizzato, molte cose, quegli ignoranti, della scienza del vivere e dell’arte di essere felici”: Mentre è immerso in questi pensieri, il piroscafo lascia  per sempre il porto di Tahiti. Le giovani donne tahitiane piangono i loro amanti di un giorno e, le loro bocche aride paiono intonare una vecchia litania maori:

Voi, brezze leggere del Sud e dell’est, che vi unite

per giocare e accarezzarvi sulla mia testa,

correte in fretta dall’altra isola;

vi troverete colui che mi ha abbandonato

seduto all’ombra del suo albero preferito.

Ditegli che mi avete visto in lacrime.

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