Monet: la rivoluzione delle Cattedrali. Un articolo storico e un video

di Laura Corchia

Tra il 1892 e il 1894 Monet dipinse la serie delle cinquanta vedute della Cattedrale di Rouen, procedendo nella sua ricerca di una luminosità sempre più intensa. La facciata perde la sua precisa identità, anche per il punto di vista ravvicinato che stravolge i contorni e, come era accaduto per i covoni e per le ninfee, la superficiè pittorica diventa una realtà in sé, differente e autonoma rispetto a quella naturale.

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Di seguito pubblichiamo un interessante articolo comparso nel 1895 su La Joustice da Georges Clemenceau:

“Con la scuola impressionista viene affermata finalmente la sovranità della luce. La luce esplode, invade l’essere, si impone come colei che conquista, domina il mondo, sostegno per la sua gloria, strumento del suo trionfo […]. Non è questa una concezione totalmente nuova della sensazione e dell’espressione? L’oggetto, scuro in se stesso, riceve tutta la sua vita dal sole, tutta la potenza per dare un’impressione visiva. Ma queste onde luminose che lo avviluppano, che lo penetrano, che lo fanno irradiare nel mondo sono in perpetua turbolenza, colpite da alte lame, raffiche o tempeste di luce. Quale sarà il modello sotto quella furia di atomi vivi, attraverso il quale si rende visibile a noi? ecco ciò che dobbiamo vedere adesso, ciò che deve essere espresso con la pittura, ciò che l’occhio deve scomporre e la mano riporre. Questo è in effetti ciò che l’audace Monet aveva l’intenzione di fare con i suoi venti dipinti della cattedrale di Rouen, divisi in quattro serie che io chiamerei serie grigia, serie bianca, serie arcobaleno, serie blu. Con venti dipinti dai diversi effetti, scelti a ragion veduta, il pittore ci ha fatto intendere che avrebbe potuto, dovuto, fare cinquanta, cento, mille dipinti, tanti quanti sono i secondi della sua vita, se la vita fosse durata quanto il monumento di pietra e se avesse potuto fissare su una tela tanti momenti quanti sono i battiti del suo cuore. Per tutto il tempo in cui il sole la illuminerà, ci saranno tanti aspetti della cattedrale di Rouen quante sono le scansioni del tempo che l’uomo sarà capace di individuare. L’occhio perfetto riuscirebbe a distinguerle tutte perché esse si riassumono nelle vibrazioni perfettibili, perfino per la retina dell’uomo moderno. L’occhio di Monet, un precursore, è più avanti del nostro e ci guida nell’evoluzione visiva che rende la nostra percezione del mondo più penetrante e più sottile […].

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Non parlerò di tecnica, non è il mio compito, Non so più quale pittore dell’antichità, incapace di rappresentare la bava della bocca di un cavallo indomabile, gettò il suo pennello e, colpendo la tela, si rese conto per caso di ciò che l’arte non era mai stata capace di fare. Guardando le cattedrali di Monet da vicino sembrano fatte da chissà quale indefinibile muratura di colore, frantumata sulla tela in un eccesso di rabbia. Quest’impulso selvaggio è senza dubbio frutto della passione, ma anche della scienza. Come possa l’artista esser conscio, a qualche centimetro della sua tela, di un effetto sia preciso che sottile, impossibile da apprezzare e vedere se non ad una distanza di diversi metri, questo è il mistero sconcertante del suo occhio. Quel che mi interessa è vedere il monolite sollevarsi nella sua potente unità, nella sua sovrana autorità. Lo schizzo solido, chiaro, matematicamente preciso attesta la concezione geometrica dell’insieme, le masse che si dispongono secondo un ordine e l’acuto spigolo che emergono dalla confusione scultorea dalla quale nascono le statue. La pietra è dura e resistente sotto il peso dei secoli. La massa resiste, solida nella foschia evanescente, resa tenera sotto cieli diversi, esplode in un fiore di pulviscolo di pietra sotto un sole in fiamme. Fiore di pietra vibrante, imbevuto di una luminosità vitale, porge ai baci del sole le sue conturbanti volute di gioia e fa zampillare vitali e voluttuose carezze d’oro […].

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Nelle sue profondità, nelle sue sporgenze, nelle sue possenti pieghe o nei suoi angoli pieni di vita il montare dell’immensa marea solare che giunge dallo spazio infinito si frange in onde luminose colpendo la pietra con tutti i fuochi del prisma o sprofondando in lucenti oscurità. Quest’incontro comprende il giorno che varia, il giorno che vive, il giorno nero, grigio, bianco, blu, purpureo, l’intera gamma della luce. Tutti coloro ardono nella luminosità, «riportati», secondo un’espressione di Duranty,«a quella unità luminosa che fonde i sette raggi prismatici in un unico raggio incolore che è la luce». Nel modo in cui sono disposti, i venti dipinti sono per noi venti meravigliose rivelazioni, ma temo che la stretta relazione che li collega sfugga all’osservatore frettoloso. Ordinati in base alla loro funzione potrebbero apparire come la perfetta equivalenza tra arte e fenomeno: cioè, il miracolo. Immaginateli allineati lungo le quattro pareti come oggi, ma in una serie che segue le fasi di transizione della luce: la grande massa nera all’inizio della serie grigia che avanzando diventa sempre più chiara fino a giungere alla serie bianca passando dalla luce soffusa alla precisione più estrema che prosegue e che culmina nei fuochi della serie dell’arcobaleno e si placa nella quiete della serie blu per divenire evanescente nella divina nebbia dell’azzurro. Poi, con un solo grande sguardo circolare avrete la stupefacente rivelazione del mostro, la rivelazione del prodigio. E queste cattedrali grigie, purpuree o azzurre e impreziosite dall’oro per mano dell’uomo; e queste cattedrali bianche con i portici di fuoco che ardono fra fiamme verdi, rosse o blu; e queste cattedrali dell’arcobaleno che ci sembra di vedere attraverso uno spettro mobile; e queste cattedrali blu che sono rosa, all’improvviso vi trasmettono la visione duratura non di venti ma di cento, mille, un milione di versioni della cattedrale eterna nell’immenso ciclo dei soli. Questa è la vita stessa perché ci trasmette la sensazione della sua intensa realtà – la perfezione compiuta dell’arte, mai prima raggiunta.

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Questo è quanto io ho visto nelle cattedrali di Monet ed è così che dovrebbero essere disposte da Durand-Ruel perché possano essere sentite e capite nell’armonia del loro insieme. Ho appreso dal catalogo che un collezionista comprerà uno di questi dipinti perché lo seduce in modo particolare. E un altro ne compra un altro. Come è possibile? Non uno di quei miliardari ha capito neanche lontanamente il significato di queste venti cattedrali giustapposte e ha detto: «Compro tutta la serie» come avrebbe fatto con una partita di merci. Questa è una vergogna per la professione dei Rothschild.

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E Voi, Félix Faure, mio sovrano per un giorno, Voi che governate con benevolenza nel palazzo di Madame de Pompadour con Roujon e Poincaré al Vostro fianco per guidarVi nei Vostri giudizi artistici, ho letto che avete fatto non so che tipo di acquisti personali e non so che tipo di affari in campo artistico; questi sono fatti Vostri. Ma Voi non siete Félix Faure e basta, Voi siete il Presidente della Repubblica, e della Repubblica Francese per giunta, ed è ovviamente a questo titolo che l’altro giorno siete andato a vedere il comodino di Napoleone come se fosse là che il grand’uomo avrebbe lasciato il suo genio. Come mai, invece, non vi è venuto in mente di andare a vedere l’opera di uno dei Vostri contemporanei grazie al quale la Francia sarà celebrata in tutto il mondo, molto dopo il Vostro nome sarà caduto nell’oblio? Cosa ha fatto Poincaré? Cosa ha detto Roujon? Può darsi che siano stati invasi dal sonno ristoratore di Kaempfen? Non svegliateli, quei dormiglioni; visto che in Voi c’è un pizzico di estro, andate a vedere questa serie di cattedrali, da buon borghese che siete, senza chiedere nulla a nessuno; forse potrete capire e, ricordando che Voi rappresentate la Francia, forse potrete prendere in considerazione di donare alla Francia questi venti dipinti che insieme rappresentano un momento dell’arte – in altre parole un momento per l’umanità stessa, una rivoluzione senza fucili.

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Sappiate che la storia ricorderà questi dipinti. E se voi avete la legittima ambizione di voler vivere nella memoria degli uomini, atteneteVi a Claude Monet, il contadino di Vernon. É più affidabile del voto del congresso o della politica di Alexandre Ribot”.

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