Le porte bronzee tra Oriente e Occidente

di Selenia De Michele

Il bronzo, per tutto il medioevo, assume un alto significato non solo per la sua preziosità ma anche e soprattutto per i riferimenti all’antichità imperiale. Già Carlo Magno aveva arricchito la sua capitale Aquisgrana con bronzi antichi e a Roma, nella piazza del Laterano sede del potere papale, si potevano ammirare un gruppo di bronzi quali la Lupa e il Marco Aurelio che richiamavano il passato imperiale della città e mostravano a tutti la continuità tra la Roma dei Cesari e quella dei Papi.

Nella metallistica medievale un posto d’onore tocca alle porte bronzee. In Occidente si realizzano ininterrottamente dall’età carolingia alle soglie del Rinascimento, mentre nel mondo bizantino non si avverte quasi soluzione di continuità tra i prodotti di età romana e le eccelse produzioni costantinopolitane che si snodano dall’età giustinianea alla caduta dell’impero. La principale fonte di ispirazione sono le porte antiche di età romana, alcuni esemplari dei quali erano stati reimpiegati nelle chiese e replicate per gli edifici dei primi secoli del cristianesimo. L’operazione di transfert della materia di cui erano fatti gli strumenti liturgici, i metalli appunto, dagli spazi chiusi del coro alla facciata esterna disponibile alla vista dei fedeli, arricchisce il monumento e permette allo spettatore di vivere un’esperienza illuminante di avvicinamento a Dio. La porta, già mezzo per avvicinarsi a Dio, acquista maggiore valore proprio in relazione alla sua funzione e al materiale con cui viene realizzata. Il significato può essere desunto da un passo di Sugerio, abate di Saint Denis dal 1122 che, nella ricostruzione della chiesa consacrata nel 1140, fece inserire in facciata un portale dai battenti in bronzo dorato ispirato ad esemplari italo bizantini dell’XI secolo. Si legge “chiunque tu sia, se vuoi celebrare la gloria di queste porte, non ammirare nè l’oro nè la spesa, ma il lavoro dell’opera. Riluce la nobile opera, ma l’opera che nobilmente riluce illumina le menti per modo che esse possano procedere, attraverso vere luci, alla luce vera dove Cristo è la vera porta”.

porta di amalfi

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Nel secolo dell’anno Mille si comincia con una certa frequenza soprattutto per gli edifici di maggior prestigio a far realizzare porte bronzee nello spirito di emulazione dell’età antica. L’area germanica conserva un notevole nucleo dei primi decenni dopo il Mille, a partire dalla porta del duomo di Magonza realizzata intorno al 1000. Di qualche anno successive sono le valve del duomo di Augusta con numerosi riquadri che recano storie bibliche e figure mitologiche. L’esemplare più significativo è la porta della cattedrale di Hildesheim (1015) con scene della genesi e della vita di Gesù in ampi riquadri istoriati con figure rilevate. L’opera con le due valve fuse ciascuna in un unico getto che rivela grande maestria tecnica, fu voluta dal grande committente, il vescovo Bernoardo che aveva preso a modello le porte di Santa Sofia a Costantinopoli, viste in occasione della sua presenza in città in quanto tutore di Ottone III. I due battenti sono composti ciascuno dalla sovrapposizione di otto riquadri rettangolari dove le figure campeggiano, in forte aggetto, su uno sfondo liscio caratterizzato da sintetiche annotazioni naturalistiche o architettoniche. La stretta rispondenza di episodi della Genesi, sul battente sinistro, e di scene della Vita di Cristo, sul destro, evoca un programma iconografico volto a illustrare la salvezza dell’uomo attraverso l’avvento e il sacrificio del Messia.

Nella storia di lunga durata dei rapporti culturali ed artistici tra Bisanzio e l’Occidente, un punto fermo è segnato dalla realizzazione della porta bronzea per la cattedrale di Amalfi (ante 1065) che apre una lunga e ben nota serie di manufatti analoghi eseguiti per le chiese della penisola. La porta di Amalfi fu realizzata da’l’artista orientale Simone di Antiochia. Questa porta è impropriamente detta di bronzo in quanto analisi accurate hanno evidenziato che si tratta di una lega ternaria composta di rame, zinco e piombo. La porta presenta quattro figure ageminate in argento. Nella parte superiore si notano il Cristo Redentore e la Beata Maria Vergine madre di Dio affiancati da simboli alfabetici greci. Nella parte sottostante vi sono gli apostoli fratelli Andrea e Pietro. Il primo è chiaramente collegato al culto diffusosi nel territorio amalfintano essendo protettore della città. La presenza di San Pietro può essere giustificata dal fatto che la porta fu realizzata pochi anni dopo lo scoppio dello Scisma d’Oriente durante il quale Amalfi e la sua Chiesa svolsero un’importante opera di mediazione tra cattolici ed ortodossi salvando numerose vite. Le figure sono ben delineate mediante il panneggio delle lunghe vesti. Le formelle della porta presentano a ripetizione la croce trilobata orientale posta sul Calvario e su una di queste croci è trascritto l’albero genealogico del donatore “Pantaleo filius Mauri filii Pantelonis de Mauro de Maurone Comite”. La porta ha inoltre svariate teste di leone recanti un anello in bocca. Uno di questi, distinti dagli altri per fattura artistica apparteneva ad un attracco portuale bizantino del IV secolo.

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san Michele ad Hildesheim

Dopo l’esemplare amalfitano si diffondono le porte in bronzo e compaiono a Montecassino (1066), a San Paolo fuori le Mura (1070), al santuario di San Michele a Monte Sant’angelo (1076) e alla cattedrale di Salerno (1084 ca.).

Oggi , splendidamente restaurata, la porta maggiore della cattedrale di Troia (1119), costituita da 28 formelle quadrangolari e 20 rettangolari fissate su un supporto ligneo, fu realizzata utilizzando tanto la tecnica dell’agemina quanto la fusione di pezzi, anche a tutto tondo, con un effetto finale davvero sorprendente. Le immagini occupano i vari registri seguendo una precisa gerarchia che, partendo dal Cristo giudice nella mandorla, si snoda attraverso i santi Pietro e Paolo, il vescovo Guglielmo e due personaggi identificati come Bernardo ed Oderisio, rispettivamente il principale pratrocinante della costruzione della concattedrale ed i costruttori della porta, ed i santi protettori della città (Secondino, Eleuterio, Ponziano ed Anastasio rifatti nel Cinquecento) tutti caratterizzati dalla lieve vibrazione cromatica conferita dall’agemina. Il continuo crescendo del ritmo all’altezza del registro centrale si fa palpabile nelle croci fogliate a rilievo basso che con il loro morbido chiaroscuro anticipano i violenti contrasti chiaroscurali delle maschere leonine reggi maniglia e ancor più dei draghi alati avviluppati come molle pronte a scattare. Nella quarta fila al centro compaiono i  due draghi con la bocca aperta a mostrare i denti aguzzi da cui pende un anello con sonagliera. I draghi, simbolicamente, sono i guardiani del tesoro ma anche i simboli del male: essi sono dunque nemici da sconfiggere per conquistare il “tesoro” nascosto all’interno della concattedrale. Alla base dell’architrave del portale centrale, ornato da motivi orientaleggianti, si legge: Istius aecc(les)iae p(er) portam materialis introitus nobis tribuatur spiritualis, la cui traduzione letterale dal latino è «L’ingresso attraverso la porta di questa chiesa materiale ci procuri quella spirituale». In generale tutto l’insieme rappresenta questo passaggio dal peccato alla salvezza.Il capitello sinistro rappresenta il motivo dell’iniziazione: in esso sono incise le figure di un caprone con le corna (che ha la testa dura), una capra (che rappresenta il neofita che ha dei dubbi) e un cane (il cristiano che, dopo essersi confessato, torna a compiere i propri peccati). Infine è rappresentata un’anima dannata.Il capitello destro rappresenta la parte positiva dell’iniziazione: sono scolpiti l’albero della vita con i suoi frutti e un’anima eletta, beata.

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Venendo alla tecnica dell’agemina questa è un metodo di lavorazione dei metalli, usata fin dall’antichità per ottenere una decorazione policroma mediante l’intarsio di metalli di diverso colore sulla superficie metallica di un oggetto. Tracciato il disegno, scolpito a cesello e scalpello o per impressione, si procede all’inserimento a freddo nei solchi così ottenuti di fili o foglie di argento, oro, rame, poi battuti con il martello.

Si trova associata alla tecnica del niello e rifinita con incisioni già nell’arte egiziana e cretese micenea (pugnale dalla tomba della regina Aahotep, sec. 16° a.C.); l’associazione con il niello è presente anche nel periodo ellenistico e romano, in mobili, vasi e patere, statue bronzee. Fu molto usata dall’arte bizantina  soprattutto per la realizzazione di porte bronzee ed importata in Italia nell’XI sec. come dimostrano gli esemplari della già citata Amalfi, Atrani, Cassino, Monte S. Angelo, Roma. Dal Rinascimento ha avuto largo impiego nelle armi e armature da parata e nella decorazione dei mobili di lusso.

 

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