La vita e la morte in Pirandello

di Andrea Soccini

Pochi sanno che Luigi Pirandello era un grande appassionato di cinematografia e, mentre assisteva a Cinecittà alle riprese di un film tratto dal suo romanzo Il fu Mattia Pascal, nel novembre 1936 si ammalò di polmonite.  Aveva 69 anni, e aveva già subito due attacchi di cuore; il suo corpo, ormai segnato dal tempo e dagli avvenimenti della vita, non sopportò oltre. Al medico che tentava di curarlo, disse: «Non abbia tanta paura delle parole, professore, questo si chiama morire»; dopo 15 giorni, la malattia si aggravò e il 10 dicembre 1936 Pirandello morì, lasciando incompiuto l’ultimo lavoro teatrale, I giganti della montagna.

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Oggi vogliano ricordarlo contrapponendo due “elementi” molto differenti: una poesia dello stesso Pirandello, Amor sincero, sulla vita e lo sconfinato amore che il poeta provava per le donne; e Le ceneri di Pirandello, un foglietto comune sul quale egli scrisse le sue ultime volontà. Speriamo che questa contrapposizione tra la vita e la morte sia di riflessione per tutti noi.

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Lunga speranza e desiderii brevi…

la catena, perché? Troppo gravate

portiam le membra di catene: lievi

ci sieno almen le poche gioje. Fate,

donne giovani e belle e innamorate,

solo a modo d ’un uom che tutte v ’ama:

in questa vita breve lunga brama

non nudrite giammai, né vi legate.

Noi sempre andiamo perseguendo un bene

che dai nostri desiri in fuga è volto;

ma trista veramente chi l ’ottiene!

Cogliendo fiori di molti sentieri

corriam la vita! E voi datemi ascolto,

che questi son consigli sani e veri.

II

Io vorrei che le donne graziose

fossero come i fiori d ’un giardino.

Io me n ’andrei tra le animate rose,

cantando pei viali ogni mattino;

tra lor m ’adagerei pianin pianino,

me le vedrei d ’attorno, in su lo stelo

chine vêr me, parlarmi davvicino,

e sarei pago del lor dolce anelo.

Poi tutte, ad una ad una, io le côrrei;

mi starebbe ciascuna un dí sul seno,

a godersi i miei baci e i sospir miei.

Oppur nessuna ne vorrei toccare;

vorrei, senza succhiar miele o veleno,

il profumo aspirarne, ed oltre andare.

«Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui.»

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Per sua volontà il corpo, senza alcuna cerimonia, fu cremato. Le sue ceneri furono deposte in un vaso greco e portate nella villa di contrada “Caos”. Nel 1947, in contrasto con la volontà dello scrittore, vennero traslate in una bara su richiesta del vescovo di Agrigento e, dopo una cerimonia religiosa, vennero messe a riposare nuovamente nella villa, in attesa della costruzione di un monumento. Solo dopo parecchi anni dalla morte, nel 1962, le ceneri, in un’urna metallica, furono infine incassate in una scultura monolitica (alla presenza di personaggi come Leonardo Sciascia e Salvatore Quasimodo), mentre una parte venne dispersa, rispettando il desiderio di Pirandello stesso.

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