La tecnica della pittura a tempera nei Trattati di Teofilo e di Cennini

Di Laura Corchia

Per tempera si intende quella tecnica che usa acqua per sciogliere i colori  e per agglutinante emulsioni di uovo, latte, lattice di fico, colle, gomme e cere.

Il supporto (pietre, legno, metallo, cartone, tela o carta), per poter ricevere il colore, deve prima essere preparato con una imprimitura.

In epoca Medievale, la pittura a tempera veniva solitamente eseguita su legno. Le varie assi venivano incollate con caseina, calce e cavicchi di legno e le linee di connessione venivano coperte con strisce di tela di lino. Su una prima mano di colla, si passava gesso e colla, che dopo l’asciugatura veniva reso piano e polito. Con un pennello, si giungeva poi a passare fino a otto strati di gesso sempre più fino e colla.

Le opere anteriori al Duecento mostrano una tecnica basata su sovrapposizioni successive di colore. Il pittore, segnati i profili delle figure, stendeva i colori locali e poi definiva le particolarità, i rilievi e le incavità con un andamento lineare delle pennellate. Infine dava i lumi. Il trattato De diversis artis di Teofilo (XII secolo) si rivela utile per comprendere le tecniche allora in uso. Nei primi capitoli, il monaco dice di preparare il colore della carne e darlo sul dipinto nelle parti nude; aggiunto a quel colore un colore verde-nero e un po’ di rosso si segneranno occhi, bocca, narici, rughe e barba. Per le zone scure dei volti «… mescolerai al rosa il cinabro e ne stenderai nel mezzo della bocca in modo tale che il colore precedente appaia ancora al sopra e al di sotto. Stendine tratti sottili sul rosa del volto, sul collo e sulla fronte e ne segnerai le articolazioni delle palme e le giunture di tutte le membra, e le unghie. Se il viso è ancora scuro e non è bastata la prima “luce”, aggiungi più di bianco a quel colore e sopra la prima stesura dappertutto stendine a sottili tratti». Per gli abiti si procede in maniera simile: prima la coloritura dell’abito intero, poi i tratti scuri, poi si definiscono le luci.

Tra il Due e il Trecento si assiste ad una novità: il colore non si stende più per campiture uniformi ma per accostamento e per fusione. Tale innovazione è ben illustrata nel Trattato di Cennino Cennini, il quale raccomanda di eseguire un accurato disegno preparatorio a carboncino: «con acqua chiara e alcune gocciole d’inchiostro, va raffermando tutto il disegno. Spazzato il carbone, va aumbrando alcuna piega e alcuna ombra del viso. E così ti rimarrà un disegno vago, che farà innamorare ogni uomo de’ fatti tuoi».

Anche i colori vengono preparati per accostamento: «come hai fatto i tuoi colori di grado in grado, così gli metti in tuoi vasellini di grado in grado, acciò che non erri del pigliarme uno per un altro».

Si procedeva con tutti i colori zona per zona, figura per figura, fino al compimento.

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Per l’applicazione del fondo oro ci si serviva di una sottilissima lamina e come coesivo si passava il bolo, una terra argillosa stemperata in chiara d’uovo a neve. Dopo l’adesione, la lamina d’oro veniva brunita con dente di cane o lupo.

Nella seconda metà del Quattrocento si afferma l’uso delle velature allo scopo di conferire il massimo della profondità alla rappresentazione. Botticelli ricercava attraverso questa tecnica graduazioni più dolci e una grande varietà di riflessi luminosi, lasciando talvolta trasparire il bianco della preparazione.

Sandro Botticelli, Madonna della melagrana.
Sandro Botticelli, Madonna della melagrana.

Oltre alla tempera propriamente detta, spesso si addizionavano anche degli olii e spesso le i colori oleo-resinosi venivano adoperati in fase di finitura, per ottenere trasparenti velature, dopo aver dato sulla tempera un leggero strato di vernice. Pertanto, in fase di restauro è fondamentale riuscire ad individuare esattamente la tecnica pittorica. Una pulitura eccessiva potrebbe, infatti, causare la rimozione dei ritocchi dati sopra vernice.

 

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