La scienza al servizio dell’arte: le tecniche spettroscopiche

di Laura Corchia

Le  tecniche analitiche  definite spettroscopiche,  sono  basate cioè sull’interazione tra la materia e le radiazioni elettromagnetiche. L’intensità  e il tipo  di questa   interazione  possono   essere  sfruttati   a  scopo  qualitativo  per   identificare elementi  o   composti   chimici   e   a   scopo  quantitativo   per   determinarne  la concentrazione nei dei campioni analizzati. Sono molto utilizzate in archeometria

 

La  luce  visibile  non  è  che  un  ristretto  intervallo della  radiazione elettromagnetica: è infatti  la parte alla quale è sensibile l’occhio umano;

L’insieme delle  radiazioni elettromagnetiche si definisce spettro;  questo  è anche il termine che  si usa per definire  un intervallo di λ sfruttato analiticamente.

Le   tecniche  spettroscopiche   si    differenziano   in   base    all’energia  della radiazione luminosa  utilizzata e in base al meccanismo che  si sfrutta analiticamente. Irraggiando la materia con  la radiazione luminosa  si creano effetti diversi a seconda dell’energia utilizzata:  si va  da  reazioni  che interessano  il nucleo (raggi  gamma), a reazioni  che interessano gli elettroni degli  strati più  interni  (raggi  X), a  reazioni  che interessano  gli elettroni esterni (UV, visibile) fino a effetti che  interessano  la vibrazione delle  molecole (infrarosso, microonde). Le molecole sono  costituiti  da  atomi tenuti insieme da  forze dette legami. Le molecole possono  essere visualizzate secondo un modello in cui gli atomi sono rappresentati da  palline  tenute insieme da  molle  che  rappresentano i legami. I legami possono  vibrare  e le molecole ruotare, cioè  esse sono  soggette a  moti  vibrazionali e  rotazionali che  possono  variare  in seguito  ad assorbimento   di   energia.  Solo   la   radiazione   visibile,   l’ultravioletto  e   i raggi    X possiedono  energia  sufficiente  a   causare  transizioni   elettroniche,  le   radiazioni infrarosse causano variazioni  vibrazionali molecolari con  variazioni  rotazionali sovrapposte, mentre le microonde possono provocare solo variazioni rotazionali.

A seconda del range spettrale impiegato si hanno le seguenti  tecniche:

  1. spettroscopia a raggi X
  2. spettroscopia UV-visibile
  3. spettroscopia infrarossa e Raman

A seconda del meccanismo sfruttato si ha invece la seguente suddivisione:

  1. metodi in assorbimento, nei quali si misura la quantità e il tipo  di luce assorbita dal   campione irraggiato  con una   sorgente  luminosa   a  λ  definita o  con   un intervallo di λ
  2. metodi in emissione,  nei  quali  invece  si  misura  la  quantità  e  il tipo  di  luce emessa  dal  campione quando ad  esso viene  somministrata energia sotto  forma di calore
  3. metodi in fluorescenza, nei quali  il campione viene  irraggiato con  luce  a  λ1 definita e si misura la quantità di luce emessa a λ2, con λ2 > λ1 in quanto si ha una perdita di energia per fenomeni vari
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Dalla  combinazione di queste due  classificazioni si hanno numerose tecniche delle  quali, nel seguito,  verranno descritte quelle  più utilizzate nell’analisi di campioni di  interesse  artistico-archeologico.  In  base  al  tipo   di  materiale  da   analizzare,   le tecniche più idonee sono le seguenti:

La spettroscopia molecolare studia l’assorbimento o l’emissione delle radiazioni elettromagnetiche da parte delle molecole.

Il dato sperimentale che si ottiene, chiamato rispettivamente spettro di assorbimento o di emissione, mette in relazione l’intensità della radiazione assorbita o emessa al variare della frequenza o della lunghezza d’onda. Da tali spettri si ottengono informazioni sulla natura delle molecole e in molti casi è possibile avere precise informazioni su forma, dimensioni, flessibilità e struttura elettronica.

Questo tipo di analisi consente:

  1. La caratterizzazione dei materiali;
  2. L’individuazione di prodotti di degrado;
  3. Indagini tecnologiche.

Nella spettroscopia molecolare, il campione è irraggiato con luce avente lunghezza d’onda nell’ultravioletto, nel visibile e nell’infrarosso. Le molecole che compongono il campione assorbono l’energia irradiata se essa è in quantità sufficiente per far vibrare i loro gruppi funzionali oppure per promuovere transizioni elettroniche. La risposta del campione viene registrata e, in base ai segnali raccolti, è possibile risalire alla composizione del campione in termini di molecole.

Spettroscopia UV-visibile di assorbimento

Si tratta di una  tecnica molto comune che  si basa  sull’assorbimento, da  parte del campione,  di  radiazioni  nel  campo  dell’ultravioletto e  del  visibile,  assorbimento dovuto  alla   presenza   nel   campione  di   gruppi  funzionali   aventi  caratteristiche particolari  e   facilmente  riconoscibili  in  base   allo   spettro.   Si   può   applicare  in particolare all’analisi di campioni colorati.

 

Spettroscopia infrarossa di assorbimento

Anch’essa molto  utilizzata  e  di  principi  analoghi alla  precedente, dalla quale si differenza per  l’intervallo spettrale utilizzato,  l’infrarosso  appunto, la  cui  energia è sufficiente per  far  vibrare   in  maniera specifica i gruppi  funzionali  delle  molecole presenti  nel  campione che  possono  essere così rivelati.  Lo spettro  di  assorbimento infrarosso permette quindi  di determinare, attraverso i gruppi funzionali,  la struttura di alcune molecole contenute nel campione, costituendone un’impronta digitale. La tecnica è molto usata soprattutto nel campo dell’analisi dei pigmenti e del materiale di natura organica (residui di alimenti, tessuti, ecc.). Dal punto di vista del  consumo di  campione,  la  tecnica  può   essere  applicata  in  situ  oppure  direttamente  su campioni; in alternativa, è necessario  prelevare una  piccola aliquota di campione da inglobare in una pastiglia di bromuro di potassio (KBr).

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La spettroscopia IR  è  stata  applicata nel  campo dei  beni  culturali   fin  dagli   anni Sessanta,  anlizzando  vernici  protettive,  pigmenti,  leganti prodotti di  corrosione e degrado presenti in materiali cartacei e lapidei.

Un esempio di applicazione della Spettroscopia infrarossa è lo studio condotto su una Madonna con Bambino e San Giovannino ritrovata nelle collezioni di Villa Carlotta, Museo e Giardino Botanico sul Lago di Como. Il dipinto su tavola si riteneva una copia di fine Ottocento della Scuola del Perugino ma grazie ad un accurato lavoro di pulitura, a cura di Paolo Aquilini, restauratore interno della dimora tremezzina – e dello studio milanese di Barbara Ferriani e alla successiva analisi dei pigmenti color blu del quadro, si è arrivati ad una nuova collocazione storica.
Le analisi chimiche sono state eseguite dal Laboratorio di Ricerca di Chimica Analitica dell’Università degli Studi dell’Insubria a cui sono state affidate dall’antica Dimora. In particolare il team ha impiegato la spettroscopia infrarossa in riflessione che ha permesso l’analisi delle componenti pittoriche senza necessità di prelievi di campioni dall’opera. Tali analisi hanno confermato la veridicità della datazione per quanto riguarda il mantello della Madonna. “Oltre alle prove scientifiche, accreditano la scoperta anche lo stile e la tavolozza dell’opera. Sono molte, infatti, le “assonanze visive” tra la Madonna con Bambino e San Giovannino e le tele cinquecentesche, a partire dal classico schema compositivo a tre dove la raffigurazione della Madonna, Gesù e San Giovannino ripropone un canovaccio progettuale tipico della pittura tra il XV e XVI secolo e creano un link immediato a quella del Perugino. Un rapporto che è confermato anche dalla fisionomia di Maria, dall’aspetto aggraziato di Gesù e San Giovannino, dall’equilibrio della posa e della composizione e suggellato ulteriormente dalle cromie nitide e dalla luce tersa.

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Spettroscopia Raman

Questa   tecnica  è  basata  sull’effetto Raman:   un  campione,  irraggiato  con   luce monocromatica, cioè a λ singola, riemette luce  a λ maggiore (energia inferiore)  in quanto in  parte l’energia viene  assorbita  per  far  vibrare   i gruppi funzionali  delle molecole presenti   nel  campione che   in  questo   modo possono  essere  rivelati  in maniera analoga alla spettroscopia infrarossa, di cui la tecnica è complementare. A differenza dell’infrarosso, tuttavia, non si misura la luce assorbita ma quella che  viene restituita o diffusa dai gruppi funzionali  dopo l’assorbimento. La risposta è visibile sotto forma  di spettro.  Si tratta di una  tecnica attualmente molto  utilizzata nel campo dei beni culturali,  grazie al fatto di essere completamente non distruttiva e di permettere l’esecuzione di  misure  in situ, cioè   direttamente sul campione senza  necessità  di asportarne una parte per effettuare la misura in laboratorio.

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La strumentazione necessaria per  effettuare una  misura Raman  è costituita da  una sorgente laser a λ fissa, da un microscopio per focalizzare il raggio laser sul campione e da un sistema di rivelazione  della  radiazione Raman  emessa dal campione.

Dopo  l’irraggiamento  con   il  laser,  si   registra   l’energia  luminosa   riemessa   dal campione  sotto  forma   di  spettro,   che   consente  di  vedere  quali   sostanze  sono presenti  in base  ai  segnali  rilevati.  Nei  sistemi portatili, con i quali  è possibile fare  analisi in situ , la radiazione laser e la radiazione Raman  vengono trasportate mediante un cavo a fibra  ottica e una  sonda  puntata sul campione: ciò permette di avvicinarsi  a distanze minime  (pochi mm) alle superfici che  si vuole analizzare.

Un’applicazione  interessante   del   Raman   è  quella  dell’analisi  dei   manoscritti  è possibile  effettuare la  misura  direttamente sull’oggetto, rivelando gli  inchiostri  e  i leganti utilizzati. La misura è fatta mediante una sonda  che  porta la radiazione laser sul campione e  raccoglie  il segnale Raman   emesso  dal  materiale  analizzato.  Il campione non subisce danni.

L’applicazione principale della  spettroscopia Raman  in  campo archeometrico è, attualmente, nel  settore  del  riconoscimento di  pigmenti sui manufatti pittorici (in particolare  sugli affreschi). Essa può  essere  utilizzata  anche per  l’autenticazione di materiali preziosi.

Va ricordato che  dal punto di vista tecnico l’analisi effettuata con  il Raman  è di tipo superficiale: le informazioni provengono da  uno  strato  spesso alcuni  µm posto  sulla superficie; inoltre,  mediante l’uso del  microscopio, l’area interessata  è dell’ordine di poche decine o centinaia di µm2.

 

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