La donna ideale: sei secoli di ritratti

di Selenia de Michele

Ormai da secoli i molteplici aspetti della bellezza femminile sono stati indagati e codificati. Il rapporto tra bellezza e fascino, fra bellezza ed età, fra bellezza e clima, ciò che una donna bella ispira agli uomini e alle altre donne, i pericoli derivanti dalla bellezza, la constatazione che la bellezza stessa della donna sia un tranello teso agli uomini dalla natura erano canoni ben noti a filosofi, esteti, moralisti e pensatori del Rinascimento che li avevano attinti dall’antica Roma che li aveva a sua volta importati dalla Grecia. È inoltre risaputo da tempo che la specie umana è la sola in cui la femmina viene considerata più bella del maschio. La domanda su quale sia il metro di giudizio della bellezza ha ottenuto ben poche risposte convincenti tuttavia l’opinione corrente risale a Dante “quella cosa dice l’uomo esser bella, le cui parti debitamente rispondono, perchè della loro armonia risulta piacimento”. La moda, cioè le acconciature, gli indumenti e i cosmetici, modificano di continuo l’idea della bellezza e a volte molto in fretta. La Fornarina, la Gioconda e la Belle Ferroniere sono suppergiù coetanee tuttavia non si somigliano affatto e furono giudicate come delle bellezze assolute. . Per avere fortuna con la clientela femminili, i ritrattisti debbono usare notevoli accorgimenti come ringiovanire le vecchie, trasformare le giovani, dare alle bionde la vivacità delle brune e a queste il languore delle bionde. Un’arte dunque estremamente difficile come ebbe modo di accorgersi il Mantegna, quando, già al culmine della sua carriera, si vide rifiutare da Isabella Gonzaga il ritratto che le aveva dipinto e che non soddisfece l’illustre modella.

raffaello - dame con liocorno

Il campionario di ritratti femminile si fa generalmente partire dal Quattrocento, tuttavia negli anni precedenti i gusti non dovevano essere troppo diversi. Bellezza e chiarità erano sinonimi: le Madonne dipinte sono tutte bionde con la carnagione candida. Sappiamo che le dame e le donzelle non badavano alla fatica né al dolore pur di schiarirsi i capelli e la pelle. L’uso poi di tirarsi drasticamente i capelli sulla nuca, raccogliendoli in pesanti trecce, spiega abbastanza bene le fronti altissime, che l’altezza stessa fa apparire bombate. Inoltre, le sante di un’infinità di pale, la celeberrima Eva di Van Eyck, la Venere di Botticelli, presentano sempre spalle cadenti ed un minuscolo busto sopra l’addome prosperoso. Il modo di vestire, le strettissime fasce che cingevano il seno delle donne fin dai primi anni di vita, costituiscono un chiarimento parziale per questa fisionomia. Per il resto bisogna credere che le frequenti gravidanze siano la causa del rigoglio delle forme dalla cintola in giù. Dato poi che la moda imponeva tale rigoglio sapienti pieghe e generose imbottiture sopperivano ad eventuali deficienze fisiche.

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Anche la maggiore diffusione di opere riguardanti le donne in tale periodo storico non è un caso: durante il Medioevo l’invettiva contro le donne aveva regnato sovrana, mentre il maturare del Rinascimento porta con sé uno spirito femministico. Nelle opere d’arte si moltiplica la presenza delle donne ed invade la ritrattistica. La più famosa tra quante si misero in posa è sicuramente la Gioconda opera che gode di una fama già antica visto che già il Vasari, solitamente sbrigativo nello descrivere i ritratti, gli dedica una folta pagina. Buona parte di essa riguarda le ciglia: “per avervi (Leonardo) fatto il modo del nascere i peli della carne, dove più folti e dove così rari, e girare secondo i pori della carne, non potevano essere più naturali”. Significativo e singolare in quanto il ritratto della Gioconda non ha le ciglia. Ciò è tuttavia giustificabile in quanto noto che i Rinascimentali, appassionati all’antico che per loro consisteva solo nelle statue emerse dagli scavi, avevano solo queste come modello e si sa le statue classiche non hanno ciglia. Pertanto lasciarne priva un’immagine dipinta era un modo di adeguarsi agli ammiratissimi modelli.  La mancanza di ciglia non è l’unico motivo per considerare il ritratto della Gioconda come un prodotto tipico del suo tempo. L’enorme prestigio raggiunto dal gentil sesso incoraggiò i codificatori della bellezza e nel solo Cinquecento se ne contano parecchi. Il più autorevole fu sicuramente Agnolo Firenzuola, ex benedettino, il quale stabilì che i capelli della donna ideale non dovevano essere biondi bensì tendere al bruno pur mantenendo riflessi “simili all’oro”, le sopracciglia assottigliate verso l’estremità dovevano essere “color dell’ebano”, la fronte – non più bombee, larga più che alta, gli occhi scuri, la bocca né grande né piccola e con il labbro inferiore “che gonfia un poco”, il collo tornito, il busto ampio e “carnoso”, le mani “grandi e pienotte”. La Gioconda in persona dunque.

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Dei due tipi umani fondamentali, il longilineo e il brevilineo, si era affermato il secondo mentre gli antichi greci avevano prediletto il primo. La svolta impressa dai Rinascimentali può forse essere spiegata in questo modo: le Veneri greche si erano trasformate, sotto gli scalpelli dei copisti romani, da flessuose fanciulle in solide matrone. Queste copie costituirono secoli dopo il vero punto di partenza per la riscoperta dei canoni classici compiuta dal Rinascimento. Quanto all’incupirsi delle acconciature questo è riferibile al nuovo interesse per la realtà quotidiana e in Italia la maggior parte delle donne hanno i capelli castani. Tuttavia ciò non può essere assunto a paradigma in quanto i pittori veneziani portarono alla ribalta la bellezza dai capelli di fiamma, sfavillanti su corpi di luminoso biancore. Inoltre si tratta di matrone d’una floridezza fino ad allora sconosciuta.

Giovanni boldini madamoiselle Lanthelme

La dilatazione delle forme prosegue nel Seicento quando Rubens e i fiamminghi celebrano le carni muliebri. Le popolane del Caravaggio e degli altri realisti non sono da meno eccezion fatta per i capelli corvini al posto delle molli trecce bionde che le borghesi d’oltralpe si sciolgono sulle spalle. Tuttavia questa trionfale vitalità non è destinata a durare. Alle corti di Spagna e di Francia s’impongono rigorose etichette che presto finiranno per castigare tale rigoglio comprimendolo nei corsetti messi in voga a Parigi dalla sovrana Caterina dei Medici. Nasce il cosiddetto “vitino di vespa”. Il gusto barocco condiziona anche la silhouette muliebre purchè si paghi lo scotto di indossare un inflessibile traliccio di ferro. È la raffinatezza dei pasti a snellire le bellezze settecentesche, così le marchese diventano modelle perfette per i pittori del loro tempo amanti dei colori velati, dei toni preziosamente sommessi e della rarefatta consistenza dei pastelli.

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Il ritorno alla natura invocato da Rousseau e l’infatuamento per i pepli romani messo in auge dalla scoperta di Pompei accrescono l’esibizione di pelle femminile e presto si arriva alle spregiudicatezze più vertiginose. I pittori e gli scultori neoclassici conferiscono a quelle estese superfici più o meno velate una levigatezza uniforme. Tutto deve apparire liscio, regolare, terso e compatto come le illustri pietre della romanità e con opportuni raccordi ogni viso si marca di un timbro greco.

Il 1839 è un anno importante: lo scultore Lorenzo Bartolini, maestro all’Accademia di Firenze, proponendo un gobbo come modello per gli allievi, spiegava “tutta la natura è bella”. Goya l’aveva capito prima tuttavia ancora molte Veneri, Andromache, Cornelie ed eroine di ogni genere sarebbero state raffigurate con sembianze “ideali” ma una molla decisiva era scattata. Tre decenni dopo, in una lettera da New Orleans, Degas dice: “le donne di qua sono quasi tutte carine e molte annoverano nel loro fascino anche quel tantino di brutto senza di cui non c’è attrazione”. La nuova galleria della bellezza si compone di profili all’insù, musetti sporgenti, labbra polpose, guance che sporgono o così tirate da ricelare zigomi come nocche, spalle curve o quadrate, figure abbondanti o asciutte, longilinee e dinoccolate o rotondette e minuscole: c’è posto per tutte.

 

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