La difficile nascita dell’Impressionismo

Di Laura Corchia

In boulevard des Capucines presso lo studio del fotografo Nadar, il 25 aprile 1874, si inaugura la prima mostra della Societé des peintres, sculpteurs et graveurs. Le reazioni del pubblico sono ostili, e così anche della maggioranza dei critici. Ma i tre articoli che pubblichiamo, tratti dalla stampa dell’epoca, documentano come le posizioni degli esperti fossero articolate: all’acre sarcasmo di Leroy si contrappongono le osservazioni, acute e favorevoli, di Castagnary e Chesneau.

Claude Monet vi prese parte con un’opera intitolata Impression, soleil levant (1872). Immerge tutto il quadro in una foschia azzurra in cui appena si percepiscono le forme delle imbarcazioni sullo sfondo. Il pittore invita a guardare la natura attraverso le emozioni suscitate dalle armonie dei colori.

L’esposizione impressionista 

Oh fu davvero una giornata tremenda quella in cui osai recarmi alla prima mostra […] degli impressionisti sul boulevard des Capucines assieme a Joseph Vincent, paesaggista, allievo di Bertin, premiato sotto diversi governi. L’imprudente era andato lì senza pensarci, credeva di vedere della pittura come se ne vede dovunque, buona e cattiva, più cattiva che buona, ma che non attentasse ai buoni costumi artistici, al culto della forma, al rispetto dei maestri. Ah, la forma. Ah, i maestri. Non ne abbiamo più bisogno, mio povero amico! […] Il poveretto ansava, sragionando così, pacatamente, e nulla poteva farmi prevedere il penoso incidente che avrebbe provocato la sua visita a quella mostra. Sopportò persino, senza prendersela di più, la vista delle Barche da pesca che escono dal posto di Le Havre di Monet, forse perché lo strappai a quella pericolosa contemplazione prima che le deleterie figurine in primo piano riuscissero a produrre il loro effetto. Ebbi purtroppo l’imprudenza di lasciarlo troppo a lungo dinanzi al Boulevard des Capucines, pure di Monet. «Ah, ah!» ghignò «questo sì che è riuscito. Eccola qui l’impressione, o altrimenti non capisco nulla; vogliate solo dirmi che cosa rappresentano quelle striscioline nere in basso». «Ma» risposi «sono persone che passeggiano». «Sicché, quando passeggio per il boulevard des Capucines appaio così? Fulmini di Giove: ma, insomma, vi prendete forse gioco di me?» […] Gettai un’occhiata all’allievo di Bertin, il cui volto era adesso di un rosso cupo. Ebbi il presentimento di una catastrofe imminente; doveva essere Monet a dargli il colpo finale. «Ah, eccolo, eccolo!» esclamò dinanzi al n.98. «Che cosa rappresenta questa tela? Guardate il catalogo». «Impressione, sole nascente». «Impressione, ne ero sicuro. Ci dev’essere dell’impressione, là dentro. E che libertà, che disinvoltura nell’esecuzione! La carta da parati allo stato embrionale è ancor più curata di questo dipinto».

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Impression, soleil levant - Calude Monet - 1872
Impression, soleil levant – Calude Monet – 1872

«Ma che avrebbero detto Bidault, Boisselier, Bertin, dinanzi a questa tela importante?» «Non venitemi a parlare di quegli schifosi pittorucoli!» urlò il povero Vincent. L’infelice rinnegava i suoi dèi. […] Il vaso, alla fine, traboccò. Il cervello classico del vecchio Vincent, assalito da troppe parti insieme, venne sconvolto del tutto. Si fermò dinanzi al costume che vigila su tutti quei tesori e, prendendolo per un ritratto, comincia a farne una critica alquanto rigorosa: «Ma quanto è brutto!» fece alzando le spalle. «In faccia ha due occhi, un naso e una bocca. Non sono di sicuro gli impressionisti che si sarebbero lasciati andare in tal modo al particolare. Con tutte le cose inutili che il pittore ha sprecato in questa faccia, Monet avrebbe fatto almeno venti custodi». «Se circolaste un poco?» gli disse il ritratto. «Lo sentite? Non gli manca neppure la parola. Quel pedante che lo ha dipinto ce ne deve aver messo di tempo per farlo!» E per dare al suo aspetto tutta la serietà che occorreva, il vecchio Vincent si mise a ballare la danza dello scotennatore davanti al guardiano, gridando con voce strozzata: «Hugh! Io sono nell’impressionismo in marcia, la spatola venditrice. Boulevard des Capucines di Monet, la Casa dell’impiccato e l’Olympia moderna di Cèzanne! Hugh! Hugh! Hugh!»

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Louis Leroy, in Le Chiarivari, 25 aprile 1874


L’esposizione sul boulevard Des Capucines

Monet ha dei tocchi appassionati meravigliosamente efficaci. a dire il vero, non sono riuscito a trovare la posizione ottimale da cui osservare il suo Boulevard des Capucines; penso che avrei dovuto attraversare la strada ed ammirare il dipinto da dietro le finestre della casa di fronte. Ma le nature morte della sua Colazione sull’erba sono superbe ed audaci e la sua alba nella nebbia soffusa riecheggia le note della sveglia mattutina. Il consenso che unisce questi pittori, facendo di loro, in quest’epoca di disintegrazione, una forza collettiva è la loro determinazione a non cercare un’esatta rappresentazione della realtà quanto piuttosto a fermarsi all’immagine generale. Una volta catturata e fissata l’impressione, essi dichiarano di aver fatto la loro parte. L’epiteto di giapponesi, assegnato loro in un primo momento, non aveva alcun senso. Se volessimo definirli, dovremmo coniare una una parola: impressionisti. Sono impressionisti nella misura in cui non rappresentano tanto il paesaggio quanto la sensazione in loro evocata dal paesaggio stesso. E proprio questo termine è entrato a far parte del loro linguaggio: non paesaggio ma impressione è il titolo dato nel catalogo all’alba di Monet. Da questo punto di vista essi hanno lasciato alle loro spalle la realtà per entrare nel regno del puro idealismo. Quindi la differenza essenziale tra gli impressionisti ed i loro predecessori è una questione di qualcosa in più e di qualcosa in meno nell’opera finita. L’oggetto da rappresentare è lo stesso, ma i mezzi per tradurlo in immagine sono modificati, alterati, a detta di alcuni. È questo l’intento degli impressionisti.

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Jules Castagnary, in Le Siècle, 29 aprile 1874


Girando per il Salon 

Bè: in questa esposizione ho trovato più o meno una dozzina di opere che effettivamente aprono prospettive inattese sulla varietà di effetti realistici che si possono ottenere con il colore. Per esempio, mai prima la luce mattutina del Nord era stata resa con quel potere d’illusione espresso nel dipinto di Manet [sic] dal titolo Colazione sull’erba. La sbalorditiva vivacità della strada animata, la folla brulicante sui marciapiedi, le automobili sulla carreggiata, gli alberi tremanti del boulevard tra polvere e luce: ma, mai un movimento elusivo, fugace, istantaneo, è stato catturato e fissato nella sua straordinaria fluidità come in questo meraviglioso, eccellente schizzo che Manet [sic] ha intitolato Boulevard des Capucines. Da una certa distanza, in questo fluire di vita, in questo scintillio di grandi ombre e grandi luci reso più drammatico da ombre ancor più profonde e luci ancor più vivide, noi salutiamo un capolavoro. Ci avviciniamo, e tutto svanisce; resta soltanto un insieme caotico, come di indecifrabili raschiature di tavolozza. Ovviamente, questa non è l’ultima parola dell’arte, e neppure di quest’arte particolare. Egli deve raggiungere il punto in cui lo schizzo diventa un’opera compiuta. Egli deve raggiungere il punto in cui lo schizzo diventa un’opera compiuta. Ma quali squilli di tromba per coloro che hanno orecchie per sentire, e come echeggiano nel futuro!

Ernest Chesneau, in Paris-Journal, 7 maggio 1874

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