La bottega del Botticelli: luogo di mirabili dipinti e di proverbiali burle

Di Laura Corchia

Nel suo magistrale testo “Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti” il Vasari, oltre a narrare nel dettaglio la formazione e le opere dei maggiori artisti, racconta brevi aneddoti di vita quotidiana davvero gustosi.
Sandro Botticelli, riferisce il Vasari, era un tipo facile allo scherzo. La sua bottega era situata negli spazi angusti della città medievale, tra bambini che giocano per strada, ambulanti che vendono la loro mercanzia, donne che stendono i panni alla finestra, puzzolenti colle animali in ebollizione, pavimenti sempre sporchi di sacchetti di terre.

La famiglia di Mariano di Vanni Filipepi, conciatore di pelli nel quartiere di Santo Spirito, era numerosissima. Sandro era l’ultimo di quattro figli e, almeno agli inizi della sua carriera da pittore, lavorava in una casa popolata da fratelli, cognate e nipoti.  Un giorno, venne a vivere accanto a casa sua un tessitore che aveva allestito ben otto telai e, quando questi lavoravano a pieno regime, producevano un gran fracasso, facendo persino tremare i muri della casa di Botticelli. Il pittore, infastidito, si recò dal vicino, facendogli presente che, con tutto quel rumore, lui non riusciva più né a lavorare né a starsene in santa pace a casa sua. Il tessitore, malgrado le vibrate e ripetute proteste di Sandro, imperterrito continuò a far andare i suoi telai al solito ritmo, incurante di provocare disagio e malessere nel suo prossimo. Anzi, in occasione di un alterco con il Botticelli, lo liquidò, secondo il Vasari, sostenendo che in casa sua voleva e poteva far ciò che più gli piaceva. Botticelli, furibondo, se ne andò. Lungi però dal volerla dar vinta ad un campione di arroganza e prepotenza, mise in atto quello che, senz’ombra di dubbio, si può definire un colpo di genio. Il muro della casa di Botticelli, infatti, era molto più alto di quello della casa del tessitore e l’astuto Sandro pose proprio lì sopra, in bilico, un pesantissimo e gigante masso, che, ad ogni vibrazione del muro, prendeva ad oscillare dando l’impressione di dover precipitare da un momento all’altro, abbattendosi sul tetto e sui telai del vicino. Il tessitore, spaventatissimo, corse subito da Botticelli, pregandolo di porre rimedio a quella pericolosa situazione e spiegando che no, lui non poteva vivere così, con la minaccia incombente di un macigno che traballava sulla sua testa e col rischio di finire morto schiacciato. E Botticelli, beffardo, replicò: in casa mia voglio e posso far ciò che più mi piace. 

Una delle opere dipinte da Botticelli e dai suoi aiuti.
Una delle opere dipinte da Botticelli e dai suoi aiuti.

 

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L’animo di Botticelli, particolarmente incline alla facezia e all’ironia, era rinfrancato dai garzoni che dimoravano presso di lui. A tal proposito, Vasari dice: “Dicesi che Sandro era persona molto piacevole e faceta e sempre baie e piacevolezze si facevano in bottega sua, dove continovamente tenne a imparare infiniti giovani, i quali molte giostre e uccellamenti usavano farsi l’un l’altro”. Un’altra testimonianza del clima ilare e gioioso che si respira nella bottega botticelliana viene dal Poliziano. Nei “Detti Piacevoli”, l’autore de “Le Stanze” narra del giorno in cui l’artista venne messo alle strette da messer Thomaso Soderini che lo invitava a prender moglie. Botticelli raccontò che una notte aveva sognato di sposarsi. Destatosi, per paura di ricadere nell’orribile incubo, andò “tutta notte a spasso per Firenze come un pazzo, per non havere cagione di riaddormentarmi”. Da questa allegra scenetta Thomaso capì che “non era terreno per porvi vigna”.

Vasari racconta di un altro scherzo ordito da Botticelli ai danni di un suo ex- allievo di nome Biagio che aveva dipinto un tondo. Il dipinto doveva essere venduto e fu portato nella bottega del maestro. A quel punto, il pittore, Jacopo (un altro allievo) e il cliente stesso concordarono lo scherzo. Nel corso della notte furono ritagliati dei cappucci, che vennero incollati sulla testa degli angeli raffigurati. Al mattino seguente, Biagio, nel vedere il quadro così trasformato, ebbe l’impressione di svenire. A confortarlo sopraggiunsero le parole del compratore, che ne elogiò i singolari copricapi. Per portare a termine l’affare, Biagio decise di tacere. Ma Botticelli, non appena fu possibile, tolse i cappucci senza farsi vedere. Il malcapitato pensò quindi di essere vittima di un’allucinazione, come gli fecero credere il maestro e gli altri aiuti.

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Ma la burla forse più artistica e destinata a durare fino ai nostri giorni è impressa nella Chiesa di Santa Lucia d’Ognissanti. Nell’ affrescocon San’Agostino dipinto dal Botticelli si vede, sullo scaffale, un libro sul quale il maestro ha scritto: “Dov’è fra Martino? E’ scaphato. E dove è andato? E’ abdato fuor dela Porta al Prato”. La frase si riferisce a qualche frate Umiliato che, tentato dalle cose terrene aveva visto vacillare la propria vocazione, guadagnando la campagna fuor dalle vicine mura cittadine.

 

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