La Basilica Neopitagorica di Roma: un tesoro nascosto

A cura di L’Asino d’Oro Associazione Culturale

La storia della Basilica Sotterranea di Porta Maggiore incanta fin dall’inizio. Scoperta del tutto casualmente nel 1917 a causa di uno smottamento del terreno sotto la ferrovia, lungo la linea Roma-Cassino-Napoli, destò fin da subito ammirazione e sorpresa. Ci troviamo a Porta Maggiore, all’interno di quell’area che già dall’epoca della Repubblica e poi per tutto il periodo imperiale fu scelta da importanti famiglie per edificarvi sontuose residenze extraurbane, i celebri Horti: non solo edifici imponenti, ma soprattutto immensi spazi verdi decorati con opere d’arte e stupefacenti giochi d’acqua.



E’ qui che Tito Statilio Tauro, un facoltoso uomo della Roma di I secolo d.C., costruì i propri horti, dei quali si innamorò perdutamente Agrippina Minore, consorte dell’imperatore Claudio e madre di Nerone. Si racconta che pur di entrarne in possesso, la donna abbia fatto accusare il proprietario di magia, costringendolo per riscattare il nome della famiglia al suicidio. Ed era all’interno di questi possedimenti, che si trovava anche la Basilica, un grande edificio concepito già in origine sotterraneo, interamente decorato con stucchi e affreschi. Sotto Claudio e Nerone però i giardini vennero divisi in più proprietà e di fatto la Basilica fu chiusa per sempre, fino alla sua riscoperta avvenuta in epoca moderna. L’edificio venne costruito in maniera semplice ed economica: pilastri e muri furono ottenuti scavando direttamente all’interno del tufo in cui poi fu gettata la massa di cementizio. Una volta consolidato il tutto, si procedette con l’asportazione della terra, svuotando quindi lo spazio dell’atrio, dell’aula centrale e delle due navate laterali, fino a ben 7 metri di profondità. Una struttura quindi grezza e grossolana che ricorda molto quella in uso per le cisterne, ma che poi di fatto, diventò assai pregiata grazie all’apparato decorativo interno.

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Grazie ad un corridoio a gomito era possibile raggiungere, dall’esterno, la basilica sotterranea a cui si accedeva tramite un piccolo atrio dal delicato pavimento in tessere di marmo bianco e nero, illuminato da un piccolo lucernario sul soffitto – unico punto di ingresso di luce e aria – che riproduce esattamente la pianta della basilica. Trattandosi di una basilica, l’interno fu diviso in tre navate: pareti e coperture sono interamente intonacate e rivestite di stucchi bianchi ma è forse la navata centrale quella che desta il maggiore stupore. Nell’abside ben si distingue ancora oggi la poetessa Saffo ritratta mentre sta per lanciarsi dalla Rupe di Leucade al cospetto di Apollo e Faone; davanti a lei Leucotea apre il proprio velo come per accoglierla dopo il lancio direttamente nelle acque. Nell’elaborata volta della navata centrale, tra cornici e vari motivi ornamentali, appaiono uno dopo l’altro alcuni personaggi della mitologia greca: Paride insieme ad Elena; Oreste ed Ifigenia; Achille e Girone; Giasone e Medea; Eracle ed Athena e al centro di tutto Ganimede. Nelle navate laterali invece si susseguono lungo le pareti vittorie alate, danzatrici, scene di sacrifici, oggetti rituali di culto e ancora molti altri eroi e divinità, come Oreste e Polissena o Hermes e Alcesti.

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Una ricchezza decorativa davvero unica, che non ha confronti o eguali in tutto il mondo antico: nulla infatti è mai stato trovato di simile, né a Roma né in altre città dell’Impero. E’ difficile per archeologi e studiosi poter comprendere pienamente non solo il messaggio dei miti qui rappresentati ma anche e soprattutto la destinazione d’uso della stessa basilica. C’è infatti chi ha ipotizzato che l’edificio dovesse funzionare come un criptoportico per l’otium; chi lo ha identificato come un monumentale ninfeo; chi come una basilica funeraria, ipotesi questa che sembra ben sposarsi con i soggetti delle decorazioni, in larga parte legate ai temi della morte e della rinascita/risurrezione. L’ipotesi però più evocativa è quella che vede la basilica come un santuario per il culto neopitagorico, in onore quindi del pensiero di Pitagora, i cui adepti – aderendo a un culto misterico e quindi segreto – avrebbero qui svolto riti magici incentrati sulla trasmigrazione e sul reintegro delle anime. Ma anche questa ipotesi apre molte contestazioni, soprattutto perché il neopitagorismo era probabilmente praticato solo fino al secolo precedente, non essendo più menzionato nel I secolo d.C. Il dibattito quindi è ancora aperto: l’augurio è che grazie alla campagna di restauro tuttora in corso, sia possibile scoprire qualche nuova e fondamentale informazione.

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Bibliografia:
Domizia Lanzetta, Roma orfica e dionisiaca nella Basilica “pitagorica” di Porta Maggiore, Roma 2007.
Salvatore Aurigemma, La basilica sotterranea neopitagorica di Porta Maggiore in Roma. Guida, Roma Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato 1975

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